Abbiamo vissuto per secoli
in situazioni in cui gli sfondi e le figure erano relativamente
stabili ed era stabile soprattutto il rapporto tra loro.
Lo stato nazionale moderno è
stato il tentativo di determinare uno sfondo di stabilità in una
situazione di crescente proliferazione e disordinamento delle figure.
Oggi ci troviamo a vivere
una situazione in cui lo stato si è fatta solo figura e lo sfondo è
caratterizzato dai processi economico-finanziari della
globalizzazione transnazionale.
Nessuna figura potrà mai
gestire o governare uno sfondo.
Da qui la fine del senso e
della funzione degli Stati, che oggi non possono più rappresentare
la risposta ai processi in corso.
(vedi l'interessantissimo 'La fine degli stati', di Rana Dasgupta https://www.internazionale.it/sommario/1254).
Essi, forse e con molta
creatività (che oggi non si vede e, quando c'è, non trova spazio),
potrebbero tornare ad essere governabili dalla politica se questa si
facesse carico di tre istanze di limitazione, che presuppongono però
la fine degli stati stessi e la creazione di forme nuove di
intermediazione politica:
-la limitazione dei poteri
di minoranze ricche e straricche, proterve e strapotenti
(democratizzazione), anche attraverso
-la limitazione dello
sviluppo e della crescita (decrescita economica e disinquinamento) e
-la limitazione dei poteri
di maggioranze socio-culturali e la difesa-valorizzazione di
minoranze marginalizzate, impotenti, minacciate
(bio-socio-diversità).
Roba da far tremare i polsi,
è evidente. Molto più probabile la catastrofe, ovviamente.
Le risposte che oggi infatti
arrivano non si pongono a questi livelli di analisi ed azione, ma
restano ancorate a modelli e piani del passato, in primo luogo alla
persistente ed illusoria centralità degli stati-nazione, come se
essi potessero ancora fare da sfondo garante e regolatore.
Di questa natura sono gli
attuali tentativi di tornare a forme di protezionismo economico e di
ri-territorializzazione del conflitto; come se la risposta ad un
impero capitalistico transnazionale (quello che va avanti a colpi di
fatti compiuti, dispositivi tecnici e spread) potesse essere
contrastato ed ingrippato da scelte locali, definite da programmi che
si richiamano a parole ormai anacronistiche, propagandistiche e
ininfluenti quali 'autodeterminazione dei popoli', 'potere al
popolo', 'sovranità dei cittadini elettori' o 'prima gli
italiani...gli americani...gli ungheresi...etc'.
E' all'interno di questa
cornice che va visto il fallimento del tentativo giallo-verde.
Le democrazie degli stati
nazionali non sono più compatibili con i processi globali
dell'economia e della finanza, che impongono alle figure-stato di
modellarsi al loro sfondo, e non viceversa.
Tutti i tentativi inversi
sono e saranno destinati a fallire, anche se ottenessero il 100% dei
voti ad un'elezione o ad un referendum (vedi Grecia).
Se si deve scegliere tra
economia e democrazia, la scelta è d'obbligo oggi e va alla prima
contro la seconda. Il resto è solo retorica.
Solo un cambiamento
strutturale che vada a superare gli stati-nazione verso qualcosa che
assomigli di più alle reti impiantate dai mercati (quelle sì già
anarco-capitaliste) piuttosto che ai riti e alle procedure delle
burocrazie politiche nazionali, potrebbe darci qualche possibilità
di uscirne vivi e migliori.
Tutto il resto è solo
illusione e determinerà tragedie e disastri che iniziamo ad
intravvedere e immaginare.
Ragionando più in piccolo,
credo che dagli eventi di questi giorni emergano alcune impressioni:
-c.v.d., la protervia dei
capi-bastone locali, in primis Mattarella, che riconsegna il paese
addirittura a Cottarelli (più provocazione di così!), decretando di
fatto la vittoria di chi ha perso le elezioni e la sconfitta di chi
le aveva vinte;
-l'astuzia a breve termine
di Salvini, che sacrifica la possibilità di governare ai suoi fini
elettorali personali e particolari, impuntandosi sul nodo Savona, e
preparandosi a fare nuova messe di voti alle prossime elezioni,
ponendosi a difesa del popolo contro il padre-regime e le cattive
matrigne;
-la pollaggine e il
semplicismo neofita dei poveri Cinquestelle, che si sono fatti
ingenuamente impallinare da amici leghisti e nemici di ogni dove,
continuando a confidare nelle regole democratiche formali o nel
potere di cambiare la realtà attraverso il voto; fingono di non
ricordare che sul PCI la conventio ad excludendum è andata avanti
per 40 lunghi anni nel deserto, ed è finita solo quando il PCI ha
smesso di essere e dirsi comunista;
-la totale e crescente
incapacità dei sistemi politici rappresentativi di far funzionare i
propri apparati e la propria organizzazione centrale: i Parlamenti
hanno smesso di funzionare da tempo, ma ora non si riesce neppure più
a farli nascere e a farli iniziare ad operare, neppure formalmente.
E' la prima volta che accade
in Italia e in Occidente.
Ed è un segno ulteriore della
catastrofe irreversibile e incipiente dei regimi parlamentari (non
solo qui, ma anche in Spagna e, a breve, in Germania).
Se gli stati insisteranno ad
esistere, la vittima è e sarà la democrazia parlamentare.
Non sarebbe necessariamente
un male. Ma la soluzione è alle porte e sarebbe peggiore del male:
maggioritario spinto e neo-presidenzialismo decisionista, alla
francese.
Credo che tutti i leader si
dirigeranno ancor più verso questa direzione, in nome della
governabilità.
Ma vedete quel che sta
accadendo a Macron, dopo un anno dalla vittoria.
Tra un po', dovrà ricorrere
all'esercito.
A marciare non saranno più
i suoi elettori, ma i suoi soldati.
Lo stato esisterà solo come gendarme, luogotenente armato dei mercati.
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