lunedì 28 maggio 2018

figuracce e sfondamenti

Abbiamo vissuto per secoli in situazioni in cui gli sfondi e le figure erano relativamente stabili ed era stabile soprattutto il rapporto tra loro.
Lo stato nazionale moderno è stato il tentativo di determinare uno sfondo di stabilità in una situazione di crescente proliferazione e disordinamento delle figure.
Oggi ci troviamo a vivere una situazione in cui lo stato si è fatta solo figura e lo sfondo è caratterizzato dai processi economico-finanziari della globalizzazione transnazionale.
Nessuna figura potrà mai gestire o governare uno sfondo.
Da qui la fine del senso e della funzione degli Stati, che oggi non possono più rappresentare la risposta ai processi in corso.
(vedi l'interessantissimo 'La fine degli stati', di Rana Dasgupta https://www.internazionale.it/sommario/1254).
Essi, forse e con molta creatività (che oggi non si vede e, quando c'è, non trova spazio), potrebbero tornare ad essere governabili dalla politica se questa si facesse carico di tre istanze di limitazione, che presuppongono però la fine degli stati stessi e la creazione di forme nuove di intermediazione politica:
-la limitazione dei poteri di minoranze ricche e straricche, proterve e strapotenti (democratizzazione), anche attraverso
-la limitazione dello sviluppo e della crescita (decrescita economica e disinquinamento) e
-la limitazione dei poteri di maggioranze socio-culturali e la difesa-valorizzazione di minoranze marginalizzate, impotenti, minacciate (bio-socio-diversità).
Roba da far tremare i polsi, è evidente. Molto più probabile la catastrofe, ovviamente.

Le risposte che oggi infatti arrivano non si pongono a questi livelli di analisi ed azione, ma restano ancorate a modelli e piani del passato, in primo luogo alla persistente ed illusoria centralità degli stati-nazione, come se essi potessero ancora fare da sfondo garante e regolatore.
Di questa natura sono gli attuali tentativi di tornare a forme di protezionismo economico e di ri-territorializzazione del conflitto; come se la risposta ad un impero capitalistico transnazionale (quello che va avanti a colpi di fatti compiuti, dispositivi tecnici e spread) potesse essere contrastato ed ingrippato da scelte locali, definite da programmi che si richiamano a parole ormai anacronistiche, propagandistiche e ininfluenti quali 'autodeterminazione dei popoli', 'potere al popolo', 'sovranità dei cittadini elettori' o 'prima gli italiani...gli americani...gli ungheresi...etc'.

E' all'interno di questa cornice che va visto il fallimento del tentativo giallo-verde.
Le democrazie degli stati nazionali non sono più compatibili con i processi globali dell'economia e della finanza, che impongono alle figure-stato di modellarsi al loro sfondo, e non viceversa.
Tutti i tentativi inversi sono e saranno destinati a fallire, anche se ottenessero il 100% dei voti ad un'elezione o ad un referendum (vedi Grecia).
Se si deve scegliere tra economia e democrazia, la scelta è d'obbligo oggi e va alla prima contro la seconda. Il resto è solo retorica.
Solo un cambiamento strutturale che vada a superare gli stati-nazione verso qualcosa che assomigli di più alle reti impiantate dai mercati (quelle sì già anarco-capitaliste) piuttosto che ai riti e alle procedure delle burocrazie politiche nazionali, potrebbe darci qualche possibilità di uscirne vivi e migliori.
Tutto il resto è solo illusione e determinerà tragedie e disastri che iniziamo ad intravvedere e immaginare.

Ragionando più in piccolo, credo che dagli eventi di questi giorni emergano alcune impressioni:
-c.v.d., la protervia dei capi-bastone locali, in primis Mattarella, che riconsegna il paese addirittura a Cottarelli (più provocazione di così!), decretando di fatto la vittoria di chi ha perso le elezioni e la sconfitta di chi le aveva vinte;
-l'astuzia a breve termine di Salvini, che sacrifica la possibilità di governare ai suoi fini elettorali personali e particolari, impuntandosi sul nodo Savona, e preparandosi a fare nuova messe di voti alle prossime elezioni, ponendosi a difesa del popolo contro il padre-regime e le cattive matrigne;
-la pollaggine e il semplicismo neofita dei poveri Cinquestelle, che si sono fatti ingenuamente impallinare da amici leghisti e nemici di ogni dove, continuando a confidare nelle regole democratiche formali o nel potere di cambiare la realtà attraverso il voto; fingono di non ricordare che sul PCI la conventio ad excludendum è andata avanti per 40 lunghi anni nel deserto, ed è finita solo quando il PCI ha smesso di essere e dirsi comunista;
-la totale e crescente incapacità dei sistemi politici rappresentativi di far funzionare i propri apparati e la propria organizzazione centrale: i Parlamenti hanno smesso di funzionare da tempo, ma ora non si riesce neppure più a farli nascere e a farli iniziare ad operare, neppure formalmente.
E' la prima volta che accade in Italia e in Occidente.
Ed è un segno ulteriore della catastrofe irreversibile e incipiente dei regimi parlamentari (non solo qui, ma anche in Spagna e, a breve, in Germania).
Se gli stati insisteranno ad esistere, la vittima è e sarà la democrazia parlamentare.
Non sarebbe necessariamente un male. Ma la soluzione è alle porte e sarebbe peggiore del male: maggioritario spinto e neo-presidenzialismo decisionista, alla francese.
Credo che tutti i leader si dirigeranno ancor più verso questa direzione, in nome della governabilità.
Ma vedete quel che sta accadendo a Macron, dopo un anno dalla vittoria.
Tra un po', dovrà ricorrere all'esercito.
A marciare non saranno più i suoi elettori, ma i suoi soldati.
Lo stato esisterà solo come gendarme, luogotenente armato dei mercati.






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