sabato 28 giugno 2014

califfati

Avanza il califfato in Medio Oriente, sostenuto sotto banco da sauditi e siriani.
Quelle che si spacciavano per nazioni democratiche e stati unitari si scoprono in guerra permanente, grazie anche ai nostri interventi di pacificazione.
E si ipotizzano nuovi imperi, ma non americani.
Hanno nomi del passato, ma parlano la lingua del fanatismo religioso, delle armi, delle torture, della potenza finanziaria. Niente è cambiato, direbbe la poetessa polacca.
Si preparano a gestire, in autonomia dai poteri forti occidentali, gli ultimi decenni di oro nero.
E a sottrarci il controllo dei loro territori, in barba alle nostre profezie di vittoria.

In Europa, intanto, un califfo lussemburghese, certo Juncker, viene eletto a capo della Commissione.
Si sa che il Lussemburgo è la patria della democrazia (infatti è un granducato), della trasparenza finanziaria (infatti è la mecca dei depositi neri), della libertà (di mercato).
Ognuno ha i califfi che si merita.
Ma noi non usiamo la violenza manifesta della guerra per imporli. Troppo sgradevole a vedersi.
Ci bastano le riunioni e i ministri e i parlamenti.
L'importante è che si facciano votare; chi sono, chi proteggono, che cosa fanno,  non importa

Io, intanto, mi faccio un Calippo al giardinetto.
C'era una volta la democrazia...







venerdì 27 giugno 2014

incontrare Mr. Teste...

Non si riesce a concepire, agli inizi della vita riflessiva, che solamente le decisioni arbitrarie consentono all'uomo di creare qualcosa: linguaggio, società, cognizioni e opere d'arte.
Per parte mia, stentavo così tanto a concepirlo, che avevo per regola di considerare nulle o disprezzabili tutte le opinioni ed abitudini dello spirito che nascono dalla vita in comune e dalle nostre relazioni esterne con gli altri uomini, ma che si dissolvono nella solitudine della volontà.
Parimenti potevo pensare solo con disgusto a tutte le idee e a tutti i sentimenti generati e rimescolati nell'uomo solo dai suoi mali e timori, dalle sue speranze e paure, e non dalle sue pure osservazioni delle cose e di se stesso.
Tentai dunque di limitarmi alle mie reali qualità. Avevo poca fiducia nei miei mezzi e facilmente trovavo in me quanto occorreva per odiarmi, ma ero forte del mio infinito desiderio di precisione, del mio disprezzo delle convenzioni e degli idoli, del mio disgusto per la facilità e del senso dei miei limiti.
M'ero fatto un'isola interiore e perdevo il tempo a studiarla e fortificarla.

Se avessi pensato come la maggior parte degli uomini, non solo mi sarei creduto superiore a loro, ma lo sarei anche sembrato. Ho preferito me stesso.
Ciò che gli altri chiamano un essere superiore è un essere che si è ingannato.
Perchè ci si meravigli di lui occorre che sia visto, per esser visto occorre che si mostri agli altri.
Pertanto ogni grande uomo è macchiato da un errore.
Ogni spirito ritenuto potente, comincia con l'errore di farsi conoscere.
Ho allora sognato che le teste più forti, gli inventori più sagaci, i più esatti conoscitori del pensiero dovevano essere degli sconosciuti, degli avari, degli uomini che muoiono senza palesarsi.
Erano alcuni solitari, invisibili a tutt gli altri con le loro vite limpide, a sapere le cose prima di tutti..., essi col disdegno di render note le loro possibilità ed i loro personali risultati.
Essi avrebbero rifiutato, secondo me, di considerarsi diversi dalle cose...

Stavo per non pensarci più quando feci la conoscenza del Signor Teste.


(Paul Valery, Monsieur Teste, 1958)

mercoledì 25 giugno 2014

siam pronti alla morte...!

Ed anche quest'anno la nostra bella figuraccia ai Mondiali l'abbiamo fatta.
Slogan roboanti, retorica patriottica, soldi a palate.
Ma il bluff, a un certo punto, si vede.
Se non corri, se non hai cuore ed energia, se sei un morto che cammina, non ce la puoi fare.
La tecnica, sempre che ci sia davvero, e il passato (idolatrato, ma mai così distante), non bastano.

Giusto così.
Speriamo che questo ennesimo fallimento ci riconduca ad una più adeguata visione di noi stessi, dei nostri limiti, del declino e del disastro in cui siamo immersi, della catastrofe-paese che ci attende.
L'unica cosa buona fatta da Prandelli in tutto il suo mandato è stata dimettersi.
Dubito che altri lo facciano, in altri ruoli.
Quando il bluff si scoprirà, anche in altri campi, ben più seri e rilevanti per la nostra vita.
Sotto il ruggito niente.

Ma è più probabile che, ancora una volta, dopo qualche giorno di lamentazioni, tutto proseguirà come prima e come sempre.
A rappattumare soluzioni d'accatto, a tappare falle, a far finta di nulla.
Questo è il nostro più grande valore, in fondo.
Non siam pronti alla morte, se non in una canzoncina da fischiettare di tanto in tanto.
Siamo già morti, e non lo sappiamo.
Rassegniamoci.



domenica 22 giugno 2014

genio a lavoro di domenica al giardinetto

E non solo non ci si impadronisce subito delle opere davvero rare, ma all'interno di ciascuna di esse, le parti che si colgono per prime sono proprio le meno pregiate...
Non avendo potuto amare che in tempi successivi tutto ciò che la Sonata mi offriva, non la possedetti mai per intero: assomigliava alla vita.
Ma, meno deludenti di questa, i grandi capolavori non cominciano mai col darci il meglio di sé.
Nella Sonata di Vinteuil, le bellezze che si scoprono per prime sono anche quelle di cui ci si stanca più in fretta, perchè sono quelle che meno differiscono da quanto già conoscevamo.
Ma quando queste si sono allontanate, ci resta da amare quella certa frase il cui ordine, troppo nuovo per offrire al nostro intelletto altro che confusione, ce l'aveva resa impercettibile e serbata intatta; allora, lei davanti alla quale passavamo ogni giorno senza saperlo e che s'era tenuta in disparte, lei che per il solo potere della sua bellezza era divenuta invisibile e rimasta ignorata, viene per ultima a noi.
Ma sarà anche l'ultima che noi lasceremo.
E l'ameremo più a lungo delle altre, perchè ci sarà voluto più tempo per amarla.

E così, per risparmiarsi le incomprensioni della folla, l'uomo di genio si dice che forse, dal momento che i contemporanei mancano del necessario distacco, le opere scritte per la posterità dovrebbero essere lette solo da quest'ultima.
Ma, in realtà, ogni vile precauzione per evitare i falsi giudizi è inutile, essi non sono evitabili.
Quella che noi chiamiamo posterità, è la posterità dell'opera.
Bisogna che l'opera (non tenendo conto dei geni che nello stesso periodo possono preparare per il futuro un pubblico migliore, di cui non loro ma altri geni godranno il beneficio) si crei da se stessa la propria posterità.
Se dunque l'opera si tenesse in disparte, non si facesse conoscere che dalla posterità, quest'ultima non sarebbe nei suoi confronti la posterità, ma un'assemblea di contemporanei vissuti, semplicemente, cinquant'anni dopo.
Bisogna, insomma, che l'artista lanci la propria opera, se vuole che possa percorrere la sua strada, là dove vi sia sufficiente profondità, in pieno e lontano futuro.
Essere costretti, per un'opera d'arte, a includere nella somma della sua bellezza il fattore del tempo mescola al nostro giudizio qualcosa d'altrettanto aleatorio, quanto qualsiasi profezia, il cui mancato avveramento non implicherà in alcun modo la mediocrità intellettuale del profeta, giacchè quel che chiama all'esistenza i possibili o da essa li esclude non è necessariamente di competenza del genio; si può essere stati dei geni e non aver creduto all'avvento delle ferrovie o degli aeroplani, o anche, pur essendo grandi psicologi, non aver supposto la doppiezza di un'amante o di un amico di cui le persone più mediocri avrebbero previsto i tradimenti...

Per passeggiare nell'aria, non occorre avere la più potente delle automobili, ma un'automobile che, interrompendo la corsa a terra e tagliando con una verticale la linea che stava percorrendo, sia capace di convertire in forza ascensionale la sua velocità orizzontale.
Analogamente, gli uomini che producono opere geniali non sono quelli che vivono nell'ambiente più squisito, che hanno la conversazione più brillante, la cultura più vasta, ma quelli che, cessando bruscamente di vivere per se stessi, hanno il potere di rendere la loro personalità simile a uno specchio, in modo che la loro vita vi si rifletta, giacchè il genio consiste nel potere riflettente e non nella qualità intrinseca dello spettacolo riflesso...


(sempre M, Proust, Intorno a Madame Swann...)  

sabato 21 giugno 2014

forza italia!

Sconfitti malamente dal CostaRica e soprattutto dal nostro non gioco.

La difesa non è più quella di un tempo.
Abbiamo preso due gol da polli, molto simili tra loro, in due partite.
Ora si parla del blocco centrale Juventus, dimenticando che -pur essendo il meno bucato in Italia- è stato ampiamente sconfitto e superato in Europa.
E' come il nostro paese: non riusciamo neppure più a mantenere il risultato, a preservare quel che eravamo, a conservare l'esistente.
Ne prendiamo da tutti, e continuiamo a dar la colpa all'arbitro.

Ovviamente, il Grande Centro(campo) è affollatissimo, pletorico, ingorgato.
Il nostro modulo attuale è un 2-8-1, di fatto.
Roba mai vista.
Dovrebbe far da barriera e filtro, ma poi anche essere capace di fare gioco, tener palla e rilanciare.
Tra tutte queste lodevole intenzioni, riusciamo solo (e male) a tener palla, in una sorta di tiki taka di provincia, con i sedicenti piedi buoni che ieri sbagliavano ripetutamente i più semplici passaggi e appoggi.
E' il caldo, si dice. Che, come sempre, c'è solo per noi.

L'attacco non c'è, un'unica punta (un bambinone alto e montato, che sfonda su Twitter ed escort (buon per lui), ma molto meno in campo (no buono per noi).
Immobile resta immobile in panchina, si ricicla Cassano, Insigne e Cerci (i giovani) vengono messi solo per disperazione, alla fine, per stroncargli la carriera.
I soliti giovani maltrattati in Italia, anche se meglio pagati di tutti gli altri, quelli che non erano a Recife, ma vivono a Pompu o a Vibo Valentia.

Nel frattempo Prandelli, il renzian-coach, si inventa cambi di facciata per non cambiar nulla e perchè nulla cambi: un conservatore democristiano travestito da innovatore progessista.
E, come il suo vater, ci invita -dopo l'umiliante sconfitta- 'a guardare avanti e a pensare in positivo'...
Immagino, quindi, che martedì con l'Uruguay giocherà con Jovanotti in porta.
Ma non credo che El Matador Cavani ascolterà le sue canzoni e si commuoverà per noi.
Usciremo dai mondiali, ma con ottimismo.
Dopo aver puntato allo zero a zero, come sempre, per passare il turno, come si dice, 'all'italiana'...




giovedì 19 giugno 2014

sul carro del vincitore

Renzi avanza sul suo carro, imperator vittorioso in tutte le battaglie che non contano (mentre la crisi continua a fare strage di persone e denaro).
E tutti lo inseguono, accorrendo ai suoi richiami, inseguendo ansimanti la sua corsa, con la lingua fuori, penzoloni...
Grillo va a Canossa, non più illuso di poter far cadere il governo o di mandare tutti a casa.
Vendola perde i pezzi, dopo esser stato nel guado di una cosiddetta sinistra di governo che non sta al governo, ma neanche all'opposizione.

La Regione Sardegna, ora che deve far cassa anche con le coste e i mari, non avendo più nient'altro da s-vendere, cerca di liberarsi dell'enorme fardello delle servitù militari.
Anni e anni di pacifismo non hanno ottenuto nulla, ma forse la catastrofe economica qualcosa otterrà.
D'altra parte, il non senso della guerra appare davanti agli occhi di tutti.
La 'missione compiuta' del super vincente George Bush, al cui carro tutti sono corsi un decennio fa, adorando le sue armi dal cielo e le sue bugie, si rivela oggi in tutta la sua fragilità e assurda sicumera.
L'Iraq è in totale caos: gli insurgents sono ormai sostenuti da buona parte del popolo, i governi fantoccio sono soltanto violenza e corruzione, l'ingiustizia è l'unica legge.

C'è sempre tempo per accorgersi di chi vince davvero e chi perde.
Il tempo, talvolta, è galantuomo.
Ma, nel frattempo, prosegue la strage (di persone, risorse e valori).
E corre verso la perdizione, e non lascia il fiato.
 



l'incolore tazaki tsukuru

Dal mese di luglio del suo secondo anno di Università fino al gennaio seguente, Tazaki Tsukuru aveva vissuto con un solo pensiero in testa: morire.
Metter fine ai suoi giorni gli sembrava la cosa più naturale e coerente.
Per quale motivo, però, non avesse fatto quell'ultimo passo, ancora oggi non riusciva a capirlo.
E dire che in quel periodo attraversare la soglia che separa la vita dalla morte sarebbe stato più facile che bere un uovo dal guscio!
Se Tsukuru non aveva mai veramente cercato di suicidarsi, era forse perchè la sua idea della morte era così pura, così intensa, che nella sua mente non vi aveva mai associato un'immagine concreta che ne fosse all'altezza.
Il problema della messa in pratica era secondario: se a un certo punto avesse visto nei paraggi una porta che conduceva alla morte, probabilmente non avrebbe esitato ad aprirla.
Girare la maniglia, per lui, sarebbe stato un gesto come un altro, qualcosa su cui non c'era da riflettere più di tanto.
Tuttavia, per fortuna o per sfortuna, davanti a sè quella porta non la vide mai.
Spesso Tazaki Tsukuru si ripeteva che sarebbe stato molto meglio morire allora, evitando così di esistere nel presente. Era un pensiero allettante, perchè in tal caso tutto ciò che ora considerava realtà avrebbe smesso di essere reale.
Eppure, ancora oggi, Tsukuru non riusciva a capire quale fosse la ragione che all'epoca 'aveva portato a un passo dalla morte...
In quel periodo aveva vissuto come un sonnambulo, o come uno che non si era ancora reso conto di essere morto.

Si svegliava all'alba, si lavava i denti,indossava i primi vestiti che trovava, saliva sul treno che lo portava all'Università, prendeva appunti durante le lezioni.
Procedeva nelle sue giornate attenendosi alle abitudini di sempre, per lo stesso impulso che spinge una persona investita da una raffica di vento ad aggrapparsi a un lampione.

(è l'inizio, fulminante, del nuovo romanzo di Murakami: L'incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio)

mercoledì 18 giugno 2014

in gabbia

Il marito che ha ucciso la moglie (dopo aver fatto l'amore con lei sul divano) e i figli piccoli (che dormivano tranquilli), sgozzandoli con un coltello da cucina uno dopo l'altro, ha dichiarato che 'si sentiva in gabbia' e che un divorzio 'avrebbe lasciato il problema dei figli'.
A proposito di chi userà anche questo episodio per rafforzare la sua teoria sui maschi violenti ed egoisti (e che per giunta vanno a vedere la partita e ad esultare tra una birra e l'altra dopo il misfatto....!) vorrei far notare che il contesto familiare appare ancora una volta come il peggior indiziato.
La famiglia non va, non è il luogo giusto per molti (che però ci finiscono, legati mani e piedi, in assenza di alternative socialmente apprezzate).
Si entra dentro ruoli, e si finisce dentro gabbie.

Lo stesso vale per il muratore dagli occhi cerulei che ha ucciso l'ormai mitica Yara.
Una vita normale, gran lavoratore, moglie e casetta, tre figli.
Però un giorno rapisce una ragazzina, la sevizia, la uccide e la abbandona in una discarica.
Per alcuni anni, dopo, vive come se niente fosse e nessuno si accorge di nulla.
Possibile che uno così non dia alcun segno 'strano' ai suoi familiari o amici ?
Che non faccia nulla di 'male' anche alle sue figlie o a sua moglie ?
Sembra incredibile.
O non sarà la beneamata famiglia a nascondere sempre tutto, quasi per statuto ?
Una famiglia che copre violenze al suo interno: un must di qualunque società, nei secoli.
Ma continuiamo, imperterriti, a difenderla e a idealizzarla.

La dimensione sessuale (e quella educativa) non potranno mai essere umanamente e pienamente vissute in una famiglia (monogama e proprietaria).
Altre strade andrebbero e andranno percorse, ma non da noi, credo.
Nel frattempo si esulta per le famiglie omosessuali e per i matrimoni gay.
Un ulteriore errore in cui gettarsi a capofitto...
Il ricatto delle leggi, i vantaggi dei sedicenti diritti, una strana visione della parità al ribasso, un conformismo di fondo: tutti elementi che ci riportano a considerare progresso quel che è soltanto il procedere di un'omologazione senza senso, infarcita solo di incorreggibili fallimenti, già ampiamente sperimentati, ma mai seriamente ridiscussi.

Continuiamo così, a farci del male, diceva quello.
A vivere di relazioni virtuali o clandestine, mentre soffochiamo nelle gabbie reali che noi stessi abbiamo scelto per noi e per gli altri, quelli che diciamo di amare.



martedì 17 giugno 2014

come si può ?

' Come può un uomo nascere quando è vecchio ?
Può forse rientrare nel ventre di sua madre e nascere ?
Come può essere ? '...
E Gesù: 'Tu sei maestro di Israele e non conosci queste cose ? '.
(Gv, 3, 2-10)

Molti mi chiamano Maestro, ma neanche io so rispondere a questa domanda.
Eppure non c'è nulla che desidererei di più.
Cosa mi manca ?
Chi mi manca ?

Da alcuni anni, direi ormai almeno cinque, è come se avessi finito di vivere e iniziato a morire.
Allenarsi a morire è un buon esercizio filosofico, che consiglio a tutti.
Ma, nel morire, mi piacerebbe avere almeno la sensazione di rinascere, ogni tanto.
E' riaccaduto, molto brevemente, due estati fa.
Poi più nulla.

Una tesista mi scrive:  
Certo che la vita è proprio bella, Enrico, soprattutto quando ci si dà il tempo di vederla...
Mi ero dato tempo, e mi sto dando tempo, proprio per questo.
Per vederla.
Ma forse, nel morire, la vista e la vita si offuscano.
No, vedo poca bellezza intorno a me, ora.
E sono stanco di cercarla -come si dice, per consolarsi- nelle piccole cose...
Attendo grandi cose, ancora.
Forse è qui che sbaglio ?




sabato 14 giugno 2014

ridicoli

Renzi epura i membri della commissione al Senato.
Il piccolo dittatore, si sa.
Ma chi costringe quelli a stare ancora nel PD ?
Non hanno ancora capito che stanno ormai e da tempo in un partito di centrodestra?
Immagino che l'abbiano capito, ma forse pensano ancora di poter vincere contro uno come Renzi ?
Ridicoli.

Grillo espunge i verdi dal referendum sulle alleanze in UE.
Un altro dittatore, si sa.
Ma chi costringe i cinquestelle a votare ?
Avrebbero potuto protestare e non accettare di esprimersi a quelle condizioni.
E invece no, votano e poi si lamentano.
Sembrano i miei colleghi...

Obama sta a guardare l'avanzata degli islamisti in Iraq.
Ed ora dice che la colpa è dell'esercito iracheno (che -in effetti- si è squagliato) e del governo locale (che -in effetti- non ha proprio tanta autorevolezza).
Ma la cosa bella è che sembrerebbe che in tutto questo gli Stati Uniti non c'entrino.
Dopo tutto quello che hanno combinato lì da almeno vent'anni...
E questa sarebbe una potenza mondiale ?

La nostra Nazionale di calcio si prepara ad affondare l'armata inglese sul Rio delle Amazzoni.
Comunque vada, non sono altro che damerini ultrapagati ed ultraviziati, che non sanno più cosa sia il calcio e lo sport, e neppure il gioco.
In un Mondiale vergognoso, che butta via miliardi di dollari in città piene di favelas e disastri.
Ma basteranno due tre gol e dimenticheremo tutto.



venerdì 13 giugno 2014

e ti ricordo ancora...

Va detto che il modo di essere di cui diamo prova nella seconda parte della nostra vita non è sempre (ammesso che lo sia di frequente) il nostro primitivo modo d'essere sviluppato o appassito, accresciuto o attenuato, ma, a volte, un modo d'essere opposto, un vero e proprio abito rivoltato...
L'aria esitante di Cottard, la sua timidezza e la sua cordialità eccessive gli avevano attirato, in gioventù, continue frecciate.
Quale amico gli consigliò un contegno glaciale ?
Ovunque..., si trasformò in un uomo freddo, perlopiù silenzioso, perentorio quando occorreva parlare, attento a non perdere l'occasione di dire qualcosa di sgradevole.
Sperimentò il suo nuovo atteggiamento con quei pazienti che, non avendolo mai visto prima, non erano in grado di fare confronti e si sarebbero assai meravigliati se fossero venuti a sapere che la ruvidezza non gli era connaturata.
Ciò che principalmente si sforzava di raggiungere era l'impassibilità, e persino durante i turni in ospedale, quando smerciava qualcuno di quei suoi giochi di parole che facevano ridere tutti, lo faceva sempre senza che un solo muscolo si muovesse nel suo volto, d'altronde irriconoscibile da quando si era fatto radere barba e baffi.

E forse sarebbe stato saggio da parte sua non farsi un'idea tanto cupa del futuro, e non escludere che l'incontro sperato potesse aver luogo quando lui non fosse più là a rallegrarsene.
Il lavoro di causalità che finisce col produrre all'incirca tutti gli effetti possibili e, di conseguenza, anche quelli che meno avevamo creduto tali, questo lavoro è talvolta lento, reso ancora più lento ancora dal nostro desiderio -il quale, cercando di accelerare, lo intralcia-, dalla nostra stessa esistenza, e non giunge a compimento che quando abbiamo cessato di desiderare e, qualche volta, di vivere.
Swann non lo sapeva forse per esperienza propria, non era forse già, nella sua vita...una felicità post mortem il matrimonio con l'Odette che aveva appassionatamente amata...e che aveva sposata quando non l'amava più, quando l'essere che, in Swann, aveva tanto sognato e tanto disperato di vivere tutta la vita accanto a Odette, quell'essere, ormai, era morto ?

Ma soprattutto, parlando dei miei gusti che non sarebbero più cambiati, di ciò che era destinato a rendere felice la mia esistenza, mio padre insinuava in me due sospetti terribilmente dolorosi.
Il primo era che (mentre ogni giorno mi consideravo come sulla soglia della mia vita, ancora intatta e pronta a debuttare soltanto l'indomani mattina) la mia esistenza fosse già cominciata – di più: che ciò che ne sarebbe seguito non sarebbe stato molto diverso da ciò che era trascorso.
Il secondo sospetto...era che io non mi trovassi al di fuori del Tempo, bensì sottoposto alle sue leggi...
Teoricamente uno sa che la terra gira, ma di fatto non se ne accorge, il suolo sul quale cammina sembra che non si muova, e si vive tranquilli.
Lo stesso avviene col Tempo nella vita.
E, per renderne percettibile la fuga, i romanzieri sono costretti ad accelerare follemente gli scatti della lancetta, facendo varcare al lettore dieci, venti, trent'anni in due minuti.
All'inizio della pagina si è lasciato un amante pieno di speranza, alla fine della successiva lo si ritrova ottuagenario, mentre nel cortile di un ospizio compie faticosamente la sua passeggiata quotidiana, a stento in grado di rispondere a chi gli rivolge la parola, dimentico del passato.
Dicendo di me: 'Non è più un bambino...', mio padre aveva fatto di colpo apparire ai miei occhi l'immagine di me stesso dentro il Tempo e mi causava un particolare genere di tristezza, come se fossi stato non ancora il vecchio illanguidito dell'ospizio, ma uno di quegli eroi dei quali l'autore, in un tono che l'indifferenza rende particolarmente crudele, ci dice alla fine di un libro:
'Lascia sempre più di rado la campagna. Ha finito per stabilirvisi definitivamente, ecc.'...


(Marcel Proust, All'ombra delle fanciulle in fiore. Intorno a Madame Swann)

lunedì 9 giugno 2014

bel tempo



Ormai una decina di giorni fa, tra le strade di Angkor, il sole era molto alto, e feroce.
Eravamo partiti presto, dopo una bella colazione all'inglese.
2 dollari al giorno per una bici.
Man mano che la giornata avanzava, il tempo era sempre più bello e caldo.
Ma la bici rossa era bucata, e si sgonfiava ripetutamente.
Abbiamo provato a ripararla in corsa, più volte.
Abbiamo speso 10 dollari, e poi alcuni altri, tra una baracchetta e l'altra.
Ma siamo tornati in città con la camera d'aria fuori e al limite del collasso.

Ieri siamo andati al terreno, ad innaffiare gli alberelli da frutto piantati qualche mese fa.
Bellissima giornata di sole, caldo africano, gechi a decine nella casetta.
E' stato un maggio abbastanza piovoso, ma sono bastati alcuni giorni d'estate anticipata e le piante sono boccheggianti, moribonde.
Proviamo a mettere tanta acqua, e preghiamo per la loro anima.

Il Mar Mediterraneo, il Mare nostrum, è rilucente di sole, e senza onde.
Arrivano a migliaia sui barconi, come ogni estate.
E, come ogni estate, la si chiama 'emergenza'.
Potere del bel tempo, in attesa che torni l'inverno, così se ne stanno a casa, tra miseria e guerre.
Intanto, nel cielo terso, piroettano in città le Frecce Tricolori.
Migliaia di persone stanno a faccia in su, ammirate ed entusiaste, felici.

La politica e l'economia italiana vedono il bel tempo davanti a loro.
Renzi profonde ottimismo, ventate d'amore, pensieri tinti di rosa aurora.
Affabili e amabili come non mai, tra una tangente e l'altra.
Nel grigiore del mondo, il sol dell'avvenire risorge all'orizzonte.
Intanto, per il bel tempo di domenica, l'astensionismo diventa maggioranza elettorale.

Per una volta sono uscito di casa e ho ascoltato una conversazione ad un festival letterario dedicato al gioco. Due amabili signori, serenamente pieni di sé e in vena di piacevole esibizione, ci distraevano, discorrendo di libri e del loro futuro (quello dei libri, immagino...).
Aneddotica da settimana enigmistica più che scambio tra sapienti.
Tanto vale tornare al giardinetto a leggere Proust, a fare parole crociate senza schema, e a ri-voltarsi verso il tempo perduto.
Una bella madre si aggira sperduta con la piccola figlia tra le panchine.
Altri bambini giocano intorno al grande ficus, guidati dalle amate maestre.
A fianco, in un angolo, pisciano dei negri.
Anche i barboni si moltiplicano a dormire sulla piazza, ora che c'è bel tempo...









martedì 3 giugno 2014

al giardinetto

da solo, infine, dopo giorni di rientro, tra sonno e veglie animate da amici e ospiti.
mi rivolgo al mio giardinetto, anche per cercare una rete wireless gratuita.
fioriscono, attorno a me, ancora una volta, le splendide viola jacarande.
una nuova estate si approssima.
provo a riambientarmi qui.
il jet lag fa ancora i capricci, ma pian piano torno in regola o quasi.

stefano, mio compagno di viaggio, ha scritto i suoi diarietti, ben più puntuali dei miei.
se volete leggerli potete cercare il suo blog: i viaggi di steraniero.
poi ha anche pubblicato un bel pò di foto del nostro viaggio.
le trovate su questo link:


https://plus.googleom/u/0/photos/102387660925909600133albums/6020045977738305041


per ora, è tutto.
non ho voglia di parlare subito di questa italia orribile, di parate militari e di false feste di una finta repubblica, di un premier finto e giigione, di un popolo che non vuole il bene, neppure il suo.
vuole solo vincere e vivere tranquillo, comunque sia.
mi fermo qui.


domenica 1 giugno 2014

tra thai, lao lao e kampuchei

Cosa ricordo di questo viaggio ? E cosa ricordare ? E cosa raccontare e raccontarsi ?

Le distanze.
Quando fai questi salti ti rendo conto di quanto sia grande e diverso il mondo, di quanti passaggi devi fare per starci sopra e dentro, di quante miglia mentali devi attrezzare l'animo.
Per la prima volta ho attraversato due continenti interi (e mezzo, se considero anche la punta afro-egiziana del Sinai e del Mar Rosso, che ho attraversato in pochi minuti, quasi meglio di Mosè...), osservando dall'alto i deserti arabici di sabbia e i deserti di montagna iraniani, le propaggini dell'Himalaya e l'infinito Mekong.
Un altro mondo, davvero.
Abitato da umani davvero diversi, con ossessioni e usi davvero altri.
E, d'altra parte, sentire quanto cresce l'omologazione strisciante, quanto il denaro e le merci ci uniscono, quanto il turismo faccia strage di culture e differenze, e soprattutto di tempi.
E quanto, su questo, comunichiamo.

L'acqua.
E' stato un viaggio caldissimo, madido di sudore, di liquidi che scorrono e ti riempiono e ti svuotano. Un viaggio di fiumi ed acqua, di docce e centinaia di bottigliette di drinking water, di viaggi su barche lentissime, di cascate e pioggie brevi, torrenziali.
Più ci bagnavamo e più avevamo caldo e più sudavamo.
Loro stanno copertissimi, invece, anche al sole. E bevono poco.
Ed hanno ragione, si vede. Ma noi non riuscivamo a cambiare abitudine, e pagavamo.
Le acque stanno nel terreno, sempre intriso, spesso carico di riso.
Dall'alto le città sono spesso acquitrini, paludi e stagni, di acqua dolce o salmastra.
La stessa Bangkok mi è apparsa al ritorno tutta costellata di canali e specchi d'acqua, una metropoli immensa che poggia su qualcosa di liquido.
E così Angkor, con i suoi fossati magnificenti, le sue opere idrauliche e architettoniche e sacre insieme, i suoi artifici d'acqua e di pietra di cui possiamo oggi solo intuire la complessità e la bellezza...

Il cibo.
Ho provato di tutto, credo. Fuorchè i grilli e gli scarafaggi fritti, non ce l'ho fatta.
Ma per il resto, non mi sono tirato indietro davanti al ghiaccio incerto dei succhi di frutta e all'acquavite di riso (lao lao), alla pasta di pesce fermentato, alle sour soup e ai sour sop, ai chilli di ogni origine, alle spezie e alle erbe, alle alghe e alle pizze, agli amok e ai lak lak, alle insalate di mango e papaya in cui c'è tutto fuorchè il mango e la papaya, ai peperoni spacciati per melanzane, ai brodi e alle zuppe con noodle e ramen, alle salse di cocco e curry, ai pesci gatto e alle cernie di fiume, alla carne di bufalo e di altri animali non identificati.
Qualche piccola diarrea ogni tanto, qualche accenno di cistite, ma niente di più.
Anche questa volta il mio sistema interno ha retto, abbastanza assuefatto ormai, grazie ai viaggi in Africa e America latina.
Ho amato i sapori, in fondo sempre estremi: o piccantissimi o dolcissimi, senza mediazione.
Mi è mancato il sale (ieri mattina, appena tornato, al risveglio, mi sono goduto dei crackers con olive, tonno e formaggini...).

Le immagini.
Ho sognato le apsara, le vedevo continuamente, ne ho comprato icone di varia foggia e materia, e le ho portate con me. Ora danzano sulla mia scrivania.
Spero mi portino fortuna.
Vedo ancora i garuda, con i loro baffoni da falsi cattivi.
E onde, tartarughe, angeli e demoni, serpenti alati, che si muovono sull'Oceano di Latte.
Difficile star dietro a tutta quest'orgia di simbologie e mitologie sconosciute, ambivalenti, contraddittorie, stranianti.
Ma è stato un viaggio di colori: arancioni e rossi e neri, e oro.
Di incensi e fuochi, di gong e tamburi, di milioni di Buddha (sdraiati, con le mani avanti, incrociate sulle gambe o sul petto, in cammino, morti e rinati, mai nati e mai morti, risvegliati e dormienti, santi e profani, ridicoli e grassi, ridenti e sofferenti, vecchi e infanti...).

I luoghi più belli.
Il mercato di Chiang Mai, unica tappa in terra Thai.
La bellezza dell'arte e del commercio, della vita vera e per turisti, tutta intrecciata insieme.
I templi e i cartoni animati di vetro nel palazzo reale a Luang Prabang, città davvero elegante e sinuosa, quasi europea e del tutto orientale.
La processione dei suoi monaci all'alba, che ricevono riso e cibo in elemosina sulla strada.
Le Quattromila isole e soprattutto, fra queste, la dolce Don Khon, e la signora della Souksanh che ci accolto coi suoi triclini, in faccia al Mekong e alle sue file di palme perfette.
E -ancor più di Angkor Wat- lo splendore di Angkor Thom e soprattutto le facce surreali e inquietanti del Bayon, mitomani e stupende.
E l'intrico di giungla e pietre, legati da immensi intrichi dei kapok, a Ta Prohm.
E i viaggi fluviali, e i villaggi fluttuanti su zattere, e la vita quasi primitiva di chi ci vive, tra animali e piante, in una relazione ancora quasi intatta, non ancora immunizzata, tra i viventi.

Le fissazioni.
Lasciare le scarpe fuori dai templi, dalle case, dagli hotel. E' un continuo mettersi e togliersi le scarpe: il secondo giorno mi sono comprato dei sandali.
Aprire sezioni del Cambodian People's Party per ogni dove. Un comunismo oscuro, leggero, assillante.
Offrire the verde scipito o riso bianco, più o meno glutinoso.
Ringraziare continuamente con le mani giunte al petto, e inchinarsi leggermente, oscillando.
Sorpassare a sinistra, a destra o al centro, suonando sempre il clacson, con gusto e perfidia.
Arrivare sempre in ritardo o in anticipo agli appuntamenti, per prenderti di sorpresa (ma quando sei tu in ritardo, partire puntualissimi e senza avviso...).
Giocare ad una sorta di volano, ma con i piedi, compiendo tacchettate mirabolanti.
Mettersi le mascherine in faccia, non si sa se contro i colpi d'aria o lo smog.
Sorridere sempre, qualunque cosa accada, e non arrabbiarsi mai, anche davanti a Pol Pot in persona.

Relax.
Farsi massaggiare da uomini, donne anziane, giovinette, con l'olio o senza, i piedi o tutto il corpo.
Passeggiare la sera, quando sale un leggero vento, sui lungofiume.
Navigare lenti sui fiumi, con ore e ore di viaggio davanti e alle spalle, senza orario.
Il ronzio del ventilatore acceso per tutta la notte, su letti comodi e ampi.
Il silenzio delle foreste, i suoni degli uccelli, il buio dei templi.
Il moto eterno e senza onde dell'immenso Mekong.
La vita nelle palafitte, sul legno e sull'acqua.
I fiori bianchi, rossi, gialli, e le farfalle.
Stare sempre scalzi, e quasi nudi.
Non passare per capitali o grandissime città, se non in aeroporto.
Vedersi le finali Uefa e Champions, alle 2 del mattino, spaparanzati sul letto, al buio e senza volume.
Stare in viaggio con uno come Stefano, che sa sempre orientarsi e organizzarsi meglio di me ( ed è cosa rara, e comoda...).

Catastrofi.
La deforestazione crescente di intere colline, praticata da indigeni per costruire case e ottenere energia, ma soprattutto dalle truppe di cinesi che asfaltano e ammobiliano mezza Asia.
L'offerta sessuale continua, soprattutto in alcune città frequentate da occidentali e riccastri, in una situazione simil-cubana.
Mercati di droga capillari, con migliaia di giovani che vivono tutta la vacanza in paradisi artificiali e a basso costo, in luoghi 'happy' che attirano il dolore e il vuoto.
Molta miseria, tanti disabili (anche vittime delle mine inesplose lasciate dalle nostre guerre), divaricazioni insopportabili tra hotel di lusso e baraccopoli, e anche tra i loro tenori di vita (milioni in bici o in motorino, ma chi ha la macchina gira in Suv enormi, come un boss...).
Bambini e ragazzine sempre in giro o già a lavoro, col viso disfatto dalla fatica e da notti troppo brevi.
Un comunismo di facciata, finto, senza senso, vecchio e inutile, con le faccione ridicole dei capi sempre e ovunque, e col mondo che va altrove.

A babbo morto.
Sono tornato, come si dice, a babbo morto.
Quando non c'era più niente da fare o da dire per lui.
Troppo tardi, insomma.
Sapevo che stava per morire, ma ho fatto bene a partire, e a non tornare.
La mia famiglia d'origine è morta da tempo, io non ne sono che un relitto.
Ora, definitivamente, ancora di più.
Ho pensato a lui tra le rovine, l'ho lasciato andare sui fiumi, l'ho salutato all'alba e al tramonto.
Un commiato ad oriente.
Che le sue carni si macerino, si cremino, si sciolgano nel nulla.
E che anche io accetti la verità di questo viaggio...

A casa.
Ora sono a casa, dopo tanti aerei ed attese.
Godo a dormire nel mio letto, a mangiare le solite cose.
A bere l'acqua del rubinetto.
Ieri, mentre arrivavo dall'aeroporto, mi sono venuti incontro sulla strada quattro ragazzini filippini in bicicletta, vocianti e allegri.
Mi sono schizzati a fianco, scattanti e placidi.
Ascolto la loro lingua, non più così straniera.
Vivono nel mio quartiere, ora, ed io nel loro...