venerdì 31 gennaio 2014

bentornato monsieur guillotin

Visto che hanno deciso di entrarci e di farsi votare, l'unica cosa che una vera opposizione può fare oggi in parlamento è quello che stanno facendo negli ultimi giorni i deputati del movimento 5 stelle: occupare, bloccare, paralizzare le istituzioni, cercare di non farle funzionare, ostruirle.
Fare i noTav dentro l'aula, insomma.
La democrazia è già finita da tempo, occupata e violentata proprio da chi ci governa e che continua a fregarsene di noi, e di tutti voi che votate ancora.
In primo luogo Napo, garante delle banche, della ragion di stato, delle trattative con la mafia, dei militari e dei loro prossimi golpe, e non certo della costituzione.
E poi i soliti noti, i suoi scherani e burattini di turno, agli ordini di Draghi: presidenti del consiglio, nani e ballerine, fonzies blairiani in ritardo, onorevoli disonorati, senatori senza senno.
Viva quindi l'azione diretta dentro le camere, viva la messa in stato d'accusa del vetusto Mazzarino.
Non perchè possano aver successo nella sostanza o nell'obiettivo che si prefiggono, anzi.
Ma perchè drammatizzano il conflitto, lo espongono e lo dissotterrano, rompono la finta pace che copre violenze e inculate a sangue.

La situazione è disperata per i 5 stelle, che giustamente si sentono dei topi in tagliola.
La legge elettorale che sta per essere approvata li toglie di mezzo e li emargina in aula, riducendoli a terza forza ininfluente.
Se provano a forzare come nei giorni scorsi, vengono accusati di squadrismo e di picchettaggio molesto.
Resta aperta una prospettiva aventiniana, con incerte conseguenze.
Ma certo è terminata la fase della speranza di poter cambiare le regole e le istituzioni seguendo le regole.
Le regole sono e saranno fatte da chi sta al potere e da chi ne fa le veci, che si chiamino Letta, zio o nipote, Berlu, Monti, Saccomanni o Renzi.
Quando un gioco è truccato, l'unica possibilità è non giocarlo e non farlo giocare, farne un altro, o far saltare il banco.
I 5 stelle l'hanno finalmente capito e ci stanno provando.
L'ex fascista Gasparri li accusa di mettere a repentaglio la libertà e teme che un giorno possiamo svegliarci con un dittatore che fa proclami in tv per riportare l'ordine.
L'ex pasionaria di sinistra Boldrini agita la ghigliottina e la usa per far passare un decreto illegale che foraggia le banche, si barrica nei suoi uffici e difende il palazzo e i suoi torti marci.
Ma questo è ancora niente...
Ben altri casini, ben altre trappole, ben altre violenze e soprusi, ben altre ghigliottine ci attendono.





giovedì 30 gennaio 2014

frat.tu.re

pre sa u na bu ca in bi ci in via le ter ra pie no
sbat tu to ma la men te te sta e spal la si ni stra
frat tu ra to il col lo o me ra le chi rur gi co
o ra mez zo im mo bi liz za to a ca sa
scri vo con u na so la ma no, po co a po co
spe ro a pre sto
ba ci

martedì 28 gennaio 2014

la giornata dei senza memoria

Anche ieri si è celebrata la Giornata della memoria.
Come ha già ricordato Todorov, le celebrazioni servono a celebrare, non a ricordare.
E servono a dimenticare, a rimuovere il passato, a falsificarlo, a manipolarlo.
E servono a dimenticare il presente: le violenze e i fascismi di oggi, perpetuati dagli stessi che oggi celebrano gli stermini di ieri.
Ogni regime celebra sempre quel che è già stato condonato, e dimentica quel che fa al presente.

Anche Scaiola aveva perso la memoria, ma (secondo i giudici di primo grado) senza dolo.
Veramente non sapeva, e non aveva capito, che Anemone aveva versato più di 1 milione di euro per la sua casa al Colosseo. Ed anche su Anemone è sceso già l'oblio della prescrizione. Tutto torna.
Altro che Giornata della Memoria, qui siamo alla solita Giornata dei Paradossi e dei Senza Memoria...

Così come appaiono smemorati gli elettori di destra e di sinistra, che -a vedere i sondaggi- continueranno imperterriti a votare i loro bugiardi beniamini, novelli bugiardini.
Proseguo a stupirmi della loro capacità di rimozione e di perdono, ma certo sono io che sbaglio.
Eppure è stata proprio l'indifferenza a generare la possibilità dei lager, così come oggi è l'indifferenza a generare la guerra, la democratura, il terrore in cui siamo immersi.

In un paese in cui le diseguaglianze sociali sono sempre più stridenti e tutto va a rotoli, si continua a tentare di farci credere che i modelli elettorali siano la soluzione per giungere ad un equilibrio politico-sociale.
O a una democrazia reale.
Ma possibile che, anche dopo averle provate tutte, non ci si renda conto che le oligarchie al potere se ne fregano ormai della democrazia e che contano solo sul potere del denaro e sulla guerra ?
Il modello americano non è altro che questo, in fondo (al di là della retorica liberale).
Ma si finge di non avere memoria degli ultimi due decenni, dalla prima guerra del Golfo, al tracollo finanziario, dall'11 settembre all'Afghanistan e dintorni, a Guantanamo e Abu Ghraib, etc etc.
Il nuovo sterminio è molto chiaro, da tempo.
Anche per chi non ha memoria.
Anche per chi pensa, come noi, che toccherà sempre ad altri.
No, ora tocca anche noi, tocca anche a noi.

Penso che la supersocietà globale che si sta creando non abbia bisogno delle aree marginali. Il resto del mondo verrà emarginato. Noi siamo dei consumatori di energia vitale e quindi quei miliardi che si contenderanno l'energia saranno non solo inutili, ma anche dannosi per la società del futuro. Tanta forza lavoro non sarà necessaria e, in quanto consumatori, saranno troppo poveri per essere interessanti. Questo grande 'resto del mondo' sarà lasciato al suo destino e se i ricchi vorranno continuare a consumare quel che consumano adesso, il resto del mondo dovrà rassegnarsi a consumare molto meno, cioè a vegetare e a morire.
(Giulietto Chiesa,La guerra come menzogna, Nottetempo, 2003)



  

lunedì 27 gennaio 2014

muri e muretti

La tentazione del muro non è nuova.
Ogni volta che una cultura o una civiltà non è riuscita a pensare l'altro, a pensare l'altro in sè, queste rigide difese di ferro, di filo spinato, di reti elettrificate o di ideologie chiuse si sono innalzate, sono crollate e ora ritornano con nuovi stridori.
L'intimorito rifiuto dell'altro, i tentativi di neutralizzare la sua esistenza, perfino di negarla, possono assumere la forma di una corazza di testi legislativi, la nebbia di una convinzione trasmessa dai media che, abbandonando a loro volta lo spirito di libertà, sottoscrivono soltanto la diffusione all'ombra dei poteri e delle forze dominanti.
La nozione stessa di identità è servita a lungo da muraglia...
(P.Chamoiseau-E.Glissant, Quando cadono i muri, Nottetempo,2008)

Cosa ci dicono i fatti di Siria, Libano, Ucraina ed Egitto ?
Che quando le proteste nonviolente vengono disattese si va verso la guerra civile ed il terrorismo.
Che le diplomazie sono ormai succubi della guerra quale unica soluzione.
Che le situazioni-mondo dentro cui siamo immersi sono ormai irrimediabili, irrimedibili, non mediabili con il semplice richiamo al dialogo e alla tolleranza, alla convivenza pacifica o alla generica solidarietà.
Che i muri e le divisioni che si stanno ergendo tra gli stati e le nazioni crescono esponenzialmente, e non offrono a lungo riparo a nessuno di noi.
Che i muri e le divisioni attraversano ormai gli stati stessi al loro interno, dividono e mettono uno contro l'altro i cittadini della stessa nazione, le autorità dello stato contro i suoi stessi cittadini, e i regimi politici uno contro l'altro nel tentativo di porsi come legittimi e di delegittimare i loro avversari.
E chi mai potrà provare a mediare davvero tutto questo ?
Chi potrebbe averne il ruolo, l'autorevolezza o la credibilità ?
Nessuno, in assoluto.

I tentativi di liberarsi dei tiranni sta portando a nuove tirannie.
Qualunque istanza mostra il suo rovescio e non sai mai da che parte stare, perchè qualunque parte è ambigua, corrotta, parzialmente rivolta soltanto verso i propri interessi e totalemente indifferente a quelli degli altri.
In qualunque lotta popolare, entro breve tempo, si infiltrano armi, servizi segreti, cellule di Al Qaeda o del Pentagono, intercettazioni e segreti, non detti e false dichiarazioni pubbliche.
E tante cose che non sapppiamo e non sapremo mai, tante verità sconosciute anche a chi c'è dentro sino al collo.
D'altra parte, senza ribellione non c'è possibilità di uscire da questa trappola.
Non saranno certo le riforme elettorali, le elezioni o i cortei fasulli a liberarci, qui da noi, da quel che quotidianamente subiamo e sopportiamo, quasi senza reazione.

Stiamo precipitando, giorno dopo giorno, insieme agli umani che vivono altrove e che sono già arrivati, esplicitamente, allo stadio catastrofico della guerra civile permanente.
Noi ci siamo già, ma ancora implicitamente: la camuffiamo dietro paraventi formali, procedure, minuetti e apparenti conflitti di immagine, ma siamo lì, lambisce ormai anche le nostre vite, e ci sta per sommergere.
Altro che valori europei, moderni, progressisti, liberali, altro che Europa unita...
Siamo in guerra, continua, persistente, tra famiglie, tra clan, tra ricchi e poveri, tra potenti e impotenti.
E non potrà che crescere, e manifestarsi con violenza, sempre più.





venerdì 24 gennaio 2014

ancora su alceste

Il dramma di Alceste non può avere una conclusione, salvo trovare in questa conclusione una 'definizione' gravemente limitatrice.
Alceste non può sposare Selimene, salvo avviarsi ad accettare il mondo qual'è; non può sposare Eliante salvo rifiutare il mondo qual'è e dimenticare il fascino che esso esercita su di lui; non può suicidarsi, salvo ridurre il proprio caso alla patologica condizione di un atrabiliare inguaribile; e non può neppure mettere in pratica  il proprio dichiarato progetto di fuggire dal mondo, e di trovare la sincerità dei rapporti umani, in una società composta da lui solo, salvo eliminare il problema stesso e la ragione stessa del proprio dramma.
La mia opinione è che la storia di Alceste si interrompa, nel racconto di Moliere, dopo aver completato un ciclo: essa non ha un principio, una progressione, un'acme, uno scioglimento o una soluzione: Alceste è sempre così e sarà sempre così; la sua vicenda ha un andamento ciclico.
Egli può anche vivere in quel mondo così diverso da lui, fino a che un qualsiasi incidente non scatena la crisi; la crisi raggiunge un suo parossismo, al termine del quale Alceste decide la rottura con quel mondo che gli è ormai insopportabile, ma gli amici interverranno, la crisi stessa si allenterà, Alceste ricomincerà daccapo.
Così come non ha una definizione, il suo dramma non può avere una soluzione: la sua storia si sviluppa in un mondo 'a porte chiuse'.

(da L.Lunari, La più ardua commedia di Moliere, in Il misantropo, BUR, 1982)



da Carlo Alfredo Clerici e Laura Veneroni, Ipnosi animale, immobilità tonica e basi biologiche di trauma e dissociazione ,Roma, Aracne, 2011, intervista a Gallup:

«Varie osservazioni hanno portato a sviluppare l'ipotesi della distanza difen­siva. È stato osservato che quando la preda rileva la presenza di un predatore la risposta iniziale è quella di fermarsi per minimizzare la localizzazione; se la distanza tra i due inizia a diminuire, e quindi la lo­calizzazione è avvenuta, la risposta più comune è quella di "prendere il volo" o comunque di scappare. Man mano che diminuisce la distan­za, ed avviene il contatto, la reazione più probabile nella sequenza è quella di "ribellarsi" a questo contatto, ma se la distanza diminuisce ancora, a quel punto la risposta difensiva è l'immobilità. Sembra che i predatori siano programmati dalla storia evolutiva a ri­spondere ai comportamenti di difesa delle vittime e, se succede che le vittime si arrestino e non oppongano più resistenza, allora può accadere che molti predatori non portino a termine la sequenza predatoria»

giovedì 23 gennaio 2014

la nuova cordialità

Poi erano ideali alla cogliona, fatti coi miti del '63
i due Giovanni e pace un pò alla buona, Ramblas di Barcellona,
la prima crisi dura dentro in me.
Io credo che sappiamo che è diverso, se le cose sono state poi più amare,
continui, tiri avanti e non hai perso se sono differenti dal sognare
perchè non è uno scherzo sapere continuare...

Non voglio far felice proprio adesso
tua madre che odiò l'italiano istrione
quando disse a tuo padre che era un fesso
lui e il liberal progresso
e urlò  'rivoluzione'...!
(F. Guccini, 100 Philadelphia Avenue)

Imparare a convivere con i propri giorni fa parte oggi dell'arte di conoscere se stessi
(Lalla Romano, La penombra che abbiamo attraversato)

Frequenta molta gente ? chiede. Cioè ,voglio dire -prende il toro per le corna- c'è un uomo nella sua vita ?
Lei lo guarda male. -Ho degli amici. Alcuni sono donne e altri uomini, non faccio distinzioni.
Il sentiero si restringe, lei va avanti, lui la segue e osserva la curva dei suoi fianchi. preferisce le donne con un pò più di carne sulle ossa. E tuttavia Elena gli piace.
-Per quel che mi riguarda non è una distinzione cui posso rinunciare- dice. O alla quale vorrei rinunciare...Non so com'è per lei, ma il passato non è morto per me. I particolari possono essere un pò sfocati, ma la sensazione di com'era prima la vita è ancora molto vivida. Uomini e donne per esempio: lei dice di essere andata oltre quel modo di pensare; ma io no. Io continuo a pensare che sono un uomo e che lei è una donna... Posso chiedere -le dice- se è anche andata oltre la possibilità di sentire qualsiasi cosa per un uomo ?
-Non è che non sento niente -risponde lei lentamente e con cautela- Al contrario, mi sento piena di cordialità. Verso di lei e verso suo figlio. Piena di calore e di cordialità.
-Con cordialità intende dire che ci augura tutto il bene ? Ho difficoltà ad afferrare il concetto. Prova benevolenza nei nostri confronti ?
-Già, proprio così.
-La benevolenza, le devo dire, è quel che continuiamo a incontrare da queste parti. Tutti ci augurano il bene. Tutti son gentili con noi. Siamo decisamente trasportati su una nuvola di cordialità. Ma resta tutto un poco astratto. Possibile che la cordialità da sola soddisfi i nostri bisogni ? Non è nella nostra natura il desiderio di qualcosa di più tangibile ?
Elena sfila cautamente la mano da quella di lui.
-Si può aspirare a qualcosa di più della cordialità, ma è sicuro che quel che si desidera sia meglio della cordialità ? Questo dovrebbe chiedersi. Si ferma.

In quel momento gli è tutto chiaro...Dalla cordialità vengono l'amicizia e la felicità, i picnic al parco, o le passeggiate pomeridiane nel bosco tra amici. Mentre dall'amore, o almeno dal desiderio nelle sue manifestazioni più impellenti, vengono frustrazione, dubbio e angustia. E' molto semplice. E che cosa vuole lui poi da Elena ? Spera di sedurla perchè in quei ricordi che non ha del tutto perso sedursi è una cosa che uomini e donne fanno ? Vuole ribadire la superiorità del personale (desiderio, amore) sull'universale (cordialità, benevolenza) ? E perchè non fa altro che porsi domande invece di vivere come fanno tutti ? Fa tutto parte di una transizione troppo tardiva dal vecchio e confortevole (il personale) al nuovo e inquietante (l'universale) ? E questo percorso in cui ci si interroga su se stessi non è altro che una fase nello sviluppo di ogni nuovo arrivato, una fase che persone come Elena hanno ormai felicemente superato ? E se è così, quanto dovrà aspettare prima di emergere a sua volta come un uomo nuovo, migliore ?

(dall'ultimo libro di J.M.Coetzee, L'infanzia di Gesù, davvero mirabolante...)



martedì 21 gennaio 2014

villacidro murgia (e fernet renzi)

L'altra sera mi sono trascinato alla presentazione che Michela Murgia, candidata alla Presidenza della Giunta Regionale, faceva in un grand hotel del centro.
Molta gente, anche giovane, varie facce conosciute, ma anche nuove.
Metodi di lavoro partecipativi, secondo le regole dell'OST (ma la sala era rigidamente impostata, e gli interventi della sera erano tradizionali e frontali...).
Lei è certo una persona intelligente, accorta, sensibile, generosa.
Ma, ascoltando i programmi dei suoi assessori in pectore, mi sono annoiato come sempre.
Roba solita, trita e ritrita, con le solite promesse, e le solite premesse.
Produzione, svuluppo, competitività, lavoro, trasparenza, onestà, con qualche tocco di sostenibilità e rinnovabilità, e un accenno indipendentista, qualche spruzzata di ecologia e pace...et voilà!
Nessuna visione del futuro, mero riformismo senza speranza.
Sarà anche il meno peggio, ma non mi basta per andare a votarli.
Idee (e parole) condivise e blaterate ormai da tutti, peraltro; sembrava un convegno del PD, con persone meno scafate e più ingenue.
Niente di più e di meglio, sinceramente, almeno per uno come me, ormai fuori da qualunque parametro di 'normal soddisfazione del cliente'.
Le mie intenzioni di (non)voto si sono così chiarite ulteriormente.
Almeno a questo la serata è servita.

Anche Renzi prosegue nel suo intento, con velocità e decisione.
Distruggere la sedicente sinistra PD, spaccare il partito.
Forse, speriamo, ce la farà.
Vedo che, invece, non ha alcuna intenzione di far fuori Letta a breve.
Anzi, coerentemente, ha deciso di rafforzare l'alleanza con il conte zio Gianni.
E di resuscitare Berlu, ancora una volta.
Per fare una legge elettorale a liste bloccate e per cambiare istituzioni e Costituzione, insieme al Padre della Patria Galera.
Ovviamente, come sempre, nell'ipotesi di fare un'alleanza col diavolo per poi batterlo alle elezioni (che si spostano al 2015, come minimo, così potrà ricandidarsi anche il suddetto pregiudicato...).
Elezioni che, regolarmente, perderà (come Veltroni) o vincerà di poco (come Prodi) condannandosi alla graticola a vita (e condannandoci ad una palude infernale eterna).
Insomma, l'unica cosa che muore definitivamente - e giustamente- è la sinistra.
Il resto si trasforma con chiarezza in un conflitto tra democristiani (che essi vivano, si mostrino o meno, sotto qualunque sigla, e che si chiamino Letta, Renzi, Alfano, Casini, Formigoni, Fioroni, Monti o chi volete voi...).
Renzi rende palese quel che da tempo esiste, ma coperto.
Almeno a questo il suo avvento sarà servito.
E' un fernet dolciastro, ed anche un pò spunto.
Ma è l'unica bottiglia rimasta sullo scaffale, e -pare- riscaldi chi ha lo stomaco per berlo.
Alla salute!










catastrofiche sorprese

Sono convinta che se solo una volta ogni tanto (proprio solo una volta ogni tanto) avessi sentito qualche garbato accenno, anche solo casuale, al fatto che la conoscenza dovrebbe condurre alla saggezza e che se non conduce alla saggezza è solo una disgustosa perdita di tempo, non mi sarei sentita così giù di morale! Ma mai una volta che lo facciano!
All'Università non ti accennano mai, nemmeno una volta, che la saggezza dovrebbe essere la meta della conoscenza. Quasi nemmeno la nominano, la saggezza.
Vuoi sapere una cosa buffa? Vuoi sapere una cosa proprio buffa? In quasi quattro anni di Università (è la verità sacrosanta!), in quasi quattro anni di Università, mi ricordo di aver sentito l'espressione 'uomo saggio' una volta sola, a dottrine politiche, quand'ero matricola!...
Non dico che succeda così a tutti, ma mi sento tanto sconvolta quando ci penso che mi vien voglia di morire...
(J.D. Salinger, Franny e Zooey, 1955)

Qualche giorno fa sono rimasto davvero sorpreso dalla qualità e dalla varietà di idee ed esperimenti che gli studenti mi hanno portato all'esame.
Un gruppo che sembrava poco creativo e intraprendente si è rivelato incredibilmente capace di creare, inventare, mettersi in gioco, provare a fare cose nuove, rischiare qualcosa.
C'è chi si è finto cieco per un giorno ed ha girato per il suo paese con una benda, per vedere cosa sdi provava e come ti vedevano gli altri.
C'è chi ha intervistato a lungo una cieca vera.
C'è chi ha giocato con bambini di vari paesi e famiglie, riunendoli nel cortile della zia.
C'è chi ha torturato vari adolescenti e giovani a Monte Claro per fargli domande sulle catastrofi che avevano vissuto o che temevano per loro.
C'è che ha reinventato giochi di ruolo con le carte, o un cadavre exquisse ben scritto e colorato a due.
Insomma, tante cose belle e varie e intelligenti e divertenti...

Quando si lascia spazio ai giovani, quando li si motiva con il lavoro e la passione, quando ci si mette in gioco con loro, qualcosa accade...
Un attimo di respiro in questo enorme grigiore.
Un attimo di saggezza condivisa in questo freezer per atomi senza contatto.

giovedì 16 gennaio 2014

vivere con l'assurdo

Mi obietterà che una trovata fuori dal comune non è necessariamente una trovata giusta o geniale. Anche questo è esatto...
Niente è più crudele di un genio che inciampa in qualcosa di idiota.
Tuttavia in circostanze simili tutto di pende dal modo in cui il genio affronta il ridicolo in cui è caduto, dal fatto che lo possa accettare oppure no.
Matthai non poteva accettarlo.
Perciò dovette rinnegare la realtà e sboccare nel vuoto...
Siamo uomini, dobbiamo tenerne conto, armarci contro questa realtà, e soprattutto avere ben chiaro in mente che riusciremo a evitare il naufragio nell'assurdo, che per forza di cose risulta sempre più stretto e schiacciante, e a costruirci su questa terra un'esistenza abbastanza confortevole, solo incorporandolo tacitamente nel nostro pensiero.
La nostra ragione rischiara il mondo non più dello stretto necessario.
Nel bagliore incerto che regna ai suoi confini si insedia tutto ciò che è paradossale.
Dobbiamo guardarci dal considerare questi fantasmi come se fossero qualcosa 'in sè', come se si trovassero fuori dallo spirito umano, o, peggio ancora: non commettiamo lo sbaglio di considerarli come un errore evitabile, sbaglio che ci potrebbe indurre a condannare il mondo in una sorta di morale caparbia e dispettosa, qualora tentassimo di imporre una visione perfettamente razionale delle cose, giacchè proprio la sua perfezione assoluta costituirebbe la sua menzogna mortale e un segno della peggiore cecità...

(F. Durrenmatt, La promessa, 1958)

mercoledì 15 gennaio 2014

extrema (ir)ratio

Avant'ieri a Villasimius un pastore ha preso a pallettoni un altro pastore perchè quest'ultimo invadeva i suoi terreni con i cavalli.
Ieri in Florida, un ragazzo ha sparato ad un altro che usava il cellulare al cinema e gli disturbava la visione del film.
Oggi, in New Mexico, una vittima di bullismo, stanca di sopportare soprusi, è entrata in classe e ha sparato a due compagni.

Da ieri, nella Terra dei fuochi, è arrivato l'esercito.
Tra ieri e oggi, in Egitto, si sparano mentre è in corso un referendum per cambiare un'altra volta la Costituzione e ridare il potere ai militari.

Quando la fiducia scende e la paura sale,
quando la rabbia impotente non trova altre strade,
la violenza, autogestita o di stato, riprende il terreno e invade il campo.
Non conoscono alternative di sorta.

Quando la politica muore, ed è morta, ritorna la guerra.
In Italia siamo ancora in una fase intermedia: decidono i giudici, ormai su quasi tutto.
Ma quando non basteranno più, anche da noi, arriveranno i blindati.
E sarà la gente a chiederli, come sta accadendo ora in Egitto.
Baratteremo anche l'ultimo scampolo di libertà per un ennesimo briciolo di sicurezza.

lunedì 13 gennaio 2014

la potenza della mediocrità

Quel che non finisce di stupirmi (e in questo forse sta soprattutto la mia, persistente e crescente, sensazione di inattualità) è che le persone che io vedo meno interessanti e carismatiche siano così considerate e preferite dagli altri.

Lo stesso Renzi, che pure non è il peggiore tra i mediocri di cui parlo, -a vederlo e a sentirlo- non sembra proprio una cima. A differenza di molti intellettuali e politici, sa muoversi e parlare a raffica, sa improvvisare, sa inventare qualcosa, ma non molto di più...
Mi stupiscono però ancor di più le opzioni di uno come Berlusconi, che pure se ne intende: già mi aveva allibito eleggendo Alfano a suo delfino, ma ora mi basisce ancor più con le sue insistenze perchè il tristo Toti Giovanni divenga coordinatore della nuova Forza Italia.
So che i veri potenti, soprattutto se disperati, amano contornarsi di mezze tacche che lo servano e lo adulino (almeno siano a quando non sia più conveniente tradire).
E, a ripensare alle interviste che Toti ha sempre fatto a Berlu, sia sul Tg4 che su Studio aperto, sempre con la lingua di fuori a sbavare e leccare, non c'è da stupirsi tanto per la scelta.
Ma la persona è veramente insicura, mediaticamente impresentabile, bolsissima.
Non so che dire.

Così come resto ammutolito e divertito all'idea che Hollande possa essere un latin lover, con donne, amanti, storie segrete, passioni da ricovero.
Già ero rimasto di stucco all'idea che la Bruni potesse scegliere uno sgorbio, fisico e mentale, come Sarkò.
Ma Hollande non sembra neppure furbo e rapido come il suo predecessore.
Già il fatto che fosse stato eletto presidente, e che fosse socialista, e che fosse stato marito di una donna bella e intelligente come la Segolene, mi avevano spiazzato.
Ma ora, una giovane e bella attrice, con la compagna giornalista che finisce in ospedale disperata...
Boh, non ci capisco più nulla delle donne, degli uomini, dell'eros, delle attrazioni tra sessi...
Non mi torna più nulla.

E non mi basta consolarmi con spiegazioni classiche: la potenza del potere, del denaro, del successo.
La subalternità di molte donne al prestigio del maschio che sta in alto.
La volgarità, la superficialità e la piattezza dei gusti estetici.
Tutto vero, ma non basta a spiegare fenomeni simili.
La stessa ascesa di Berlusconi, nonostante le sue qualità di comunicatore, resta inspiegabile, considerati anche i suoi evidenti limiti e la sua mediocrità umana, a vari livelli dimostrata.

Davanti e in mezzo a tutto questo, sento due cose: la mia differenza e la mia stessa mediocrità.
Entrambe, però, senza successo.



domenica 12 gennaio 2014

il boia sharon

Ed è arrivato il turno anche per il boia Sharon...
Anche lui riabilitato, da morto.
La nostra è una cultura della generale riabilitazione, dell'eterna pacificazione.
Uno può fare qualunque cosa nella vita e, alla fine, ci sarà sempre un buon motivo per salvarlo.
Purchè il conflitto dilegui e scompaia, che anche Sharon sia beatificato, amen!

8 anni di coma, spero abbia avuto tempo di parlare con se stesso e con il suo Dio.
Da tempo sostengo che Israele sia divenuto il modello di gestione della complessità per tutto l'Occidente.
Da tempo ha smesso di essere un problema (se non per i palestinesi, ed anche loro chissà cosa sarebbero -e se sarebbero- senza un eterno nemico così ben 'nemico'....).
E Sharon ha aperto l'ennesima nuova sfida per i nostri governanti: fare i morti, ibernarsi, fare il pesce in barile, prendere tempo per non morire. Pur essendo di fatto già morti da tempo.
E' una ripresa, in grande e con mirabolanti mezzi tecnici, del modello mummificante sovietico, tanto bistrattato da quelle che allora si facevano ancora chiamare 'democrazie'.

E, intanto, il grande teatro ospedaliero delle fleboclisi, quel che chiamiamo ancora 'politica' e ormai non è altro che puro 'esercizio di sopravvivenza per un ceto di professionisti in coma', continua nei suoi ridicoli voli e voti, auspici e promesse.
E gli anni passano, ma sembra che riusciranno a prenderci per il culo in eterno.
Forse, alla fine, scopriremo che gli Sharon in coma siamo noi, e che non ci risveglieremo più, sino alla morte, ora et semper...




sabato 11 gennaio 2014

un giorno ideale per i pescibanana

Si alzò in piedi di colpo. Guardò l'oceano. 
'Sybil -disse- sai cosa faremo adesso ? Cercheremo di acchiappare un pescebanana.' 
'Un cosa?'
'Un pescebanana', disse il giovanotto e sciolse la cintura dell'accappatoio. ..
Insieme si avviarono verso il mare.
'Immagino che ne avrai visti parecchi, di pescibanana, ai tuoi bei tempi', disse il giovanotto.
Sybil scosse il capo.
'No, ma si può sapere dove vivi ?'
'Non lo so', disse Sybil.

Sybil taceva...
Si spinsero avanti finchè l'acqua giunse alla vita di Sybil. Allora il giovanotto la sollevò e la fece sdraiare sul materassino, a pancia in giù...
'Non lasciarmi andare -ordinò Sybil-  Tienimi forte, adesso.'
'Signorina Carpenter. La prego. Conosco i miei doveri, disse il giovanotto. Tu devi solo tenere gli occhi bene aperti per il caso che passi qualche pescebanana. Questo è un giorno ideale per i pescibanana.'
'Non ne vedo neanche uno'.
'E' comprensibile. Hanno delle abitudini singolari. Molto, ma molto singolari...E' una vita molto tragica , la loro, poveretti -disse-. Lo sai cosa fanno, Sybil ?'
Sybil scosse il capo.
'Vedi, nuotano dentro una grotta dove c'è un mucchio di banane. Sembrano dei pesci qualunque quando vanno dentro. Ma una volta che sono entrati, si comportano come maialini. Ti dico, so da fonte sicura di certi pescibanana che, dopo essersi infilati in una grotta bananifera, sono arrivati a mangiare la bellezza di settantotto banane...Naturalmente, dopo una scorpacciata simile sono così grassi che non possono più venir fuori dalla grotta. Non passano dalla porta.'
'E poi cosa fanno ?'...
'Ecco, mi rincresce molto di dovertelo dire, Sybil. Muoiono.'
'Perchè ?', chiese Sybil.
'Ecco, gli viene la bananite. E' una malattia terribile'.

Il materassino si rizzò contro la cresta dell'onda. L'acqua inondò i capelli biondi di Sybil, ma il suo strillo era pieno di gioia...
'Ne ho visto uno'.
'Cos'hai visto, amor mio ?'
'Un pescebanana'.
'Santo cielo, no! -disse il giovanotto. Aveva delle banane in bocca? '
'Sì -disse Sybil-. Sei.'
All'improvviso il giovanotto tirò su uno dei piedi bagnati di Sybil, che sporgevano oltre l'orlo del materassino, e ne baciò il collo...
'Adesso si torna. Ti basta così ?'
'No!'
'Mi rincresce' , disse il giovanotto, e spinse il materassino verso la spiaggia finchè Sybil potè scendere.
Poi lo tirò fuori dall'acqua e lo portò a riva.
'Ciao', disse Sybil, e corse senza rimpianto in direzione dell'albergo.

Il giovanotto s'infilò l'accappatoio, accostò strettamente i risvolti e si cacciò l'asciugamano in tasca. Raccolse il materassino bagnato, cui ora aderiva un velo di sabbia, e se lo mise alla meglio sottobraccio. Si avviò solo, a passi pesanti, sulla sabbia fine e rovente verso l'albergo...
Tirò fuori dall'accappatoio la chiave della sua camera.
Scese al quinto piano, percorse il corridoio ed entrò al numero 507. La stanza odorava di valige nuove e di acetone. Il giovanotto guardò la ragazza addormentata su uno dei letti gemelli. Poi si avvicinò alla valigia, la aprì, e di sotto a una pila di mutande e canottiere trasse una Ortgies automatica calibro 7.65. Fece scattare fuori il caricatore, lo guardò, tornò a infilarlo nell'arma.
Tolse la sicura. Poi attraversò la stanza e sedette sul letto libero; guardò la ragazza, prese la mira, e si sparò un colpo nella tempia destra.

(dal primo dei Nove racconti, di J.D.Salinger, 1953)

venerdì 10 gennaio 2014

il misantropo

Antonio, al cinema, continuava a dirmi che il protagonista di 'Moliere in bicicletta' assomigliava a me.
E. effettivamente, parlava molto di me, e dei miei ultimi anni.
Descriveva bene la sensazione netta di tradimento, di delusione, di sgomento che ho vissuto nei confronti del genere umano e del suo teatro quotidiano.
E che porta a nascondersi, ad acquattarsi, a ripararsi nei pertugi, a sfuggire la torma.
E parla anche della tentazione, qualche volta, a riaprirsi, a riprovare.
E a restare, ancora una volta, da soli, davanti al mare, traditi e delusi.
Una Maya Sansa, invecchiata, appesantita e mal doppiata da se stessa, fa il resto.
Ne sono uscito triste, sconsolato  (e non tanto per il film, quanto per me).
(P.S. Il film mi ha ispirato a rileggere la tragi-commedia del 'Misantropo' e a visitare La Rochelle).

Mi sono diretto verso la cena organizzata dai ragazzi di S-cambiare in un locale a fianco di Durke, in via Napoli. Bella situazione, arredata con tappeti e veli esotici, sembrava di essere tornato in Marocco.
Belle persone, in fondo, che mi vogliono bene.
Ma già mentre entravo avevo voglia di uscire.
Sono riuscito a star lì per venti minuti, a bere un bicchiere di vino, senza riuscire a mangiare nulla.
Talmente a disagio con me stesso da non riuscire ad andare oltre quattro chiacchiere di circostanza.
E all'uscita, una ragazza, piccola e cattiva, mi ha fermato per ricordarmi che -ad un corso di qualche anno fa- l'avevo fatta piangere.
Aveva degli occhi scuri, bellissimi.
Il desiderio di fuga si è fatto ancora più pressante.
Un'ora dopo ero a letto, a leggere Salinger.

Ora, sveglio e di pessimo umore, ascolto il Requiem: Dies Irae, Rex Tremendae e Lacrimosa.
Quanto deve, quanto può ancora durare tutto questo ?



mercoledì 8 gennaio 2014

come liberarsi

Come liberarsi dai tedeschi antipatici ?
Mettendoli su un paio di sci, pare.
Merkel e Schumacher sono ko, è bastato poco in fondo.

Come liberarsi dai nostri politici ?
Semplice: non presentando le liste e non andando a votare.
Il M5S in Sardegna, non volendo, ha fatto un passo avanti.

Come liberarsi del PD ?
Candidando i Pigliaru alla Regione.
Ora, senza i grillini e la Barracciu, Michela Murgia può sperare davvero in qualcosa.

Come liberarsi di Renzi ?
Mettendolo davvero a governare.
Non riuscirà a fare niente di quel che dice, come tutti gli altri.

Come liberarsi della libertà ?
Domanda assillante e ormai consueta per me.
Continuo a resistere, a cercare di star sveglio, a pensare, a guardare da altre viste.
Ma mi stanca, molto, sempre di più.

Come liberarsi di questo mondo ?
Scappando, cercando vie di fuga, viaggiando.
Ma appena torni, che vita è ?
Giorni malinconici, questi.

L'Italia mi ammorba.







martedì 7 gennaio 2014

sera para el cumpleanos de nuestra soledad

Compiuti anche questi, cinquantatrè...
Festicciola regalatami da Cristiano e Giulia, un pò cinese, un pò marocchina, con contributi mediorientali (cus cus) di Marta e Fili e ghaneani (un red red degli amici di Scambiare, che stanno per ripartire a Fufulsu)...
Alcuni di noi addobbati anche con vestiti esotici.
Tutto e tutti molto carini.
Mi hanno fatto un bel regalo.
Come tutti quelli che mi hanno scritto, telefonato e messaggiato.
Purtroppo nessuno mi ha massaggiato.

Qualcuno mi ha augurato 100 di questi giorni.
No, grazie, l'ho implorato.
Qualcuno mi ha detto che è bello invecchiare.
Sì, l'importante è che duri poco, gli ho detto.

Mi sveglio, e mi sento spaesato più del solito, in questa casa, in questa città, in questo paese.
Con un senso di tristezza atavica, profonda, insensata.
Cerco di risollevarmi prenotando i viaggi del futuro prossimo.
Tento di fuggire da qui, dalla mia vita, dal presente.
Mi vengono, e mi dedico, cattivi pensieri.

E' importante che il passato non sia morto solo a metà.


Ciò che più preoccupa è ciò di cui meno si parla. 
Ciò che è sempre nella mente quasi mai è sulle labbra.

Pensate bene a quel che disprezzate è vedrete che è sempre una felicità che non avete, una libertà che non vi prendete, un coraggio, un'abilità, una forza, dei vantaggi che vi mancano e di cui vi consolate con quel disprezzo. Si vomita quel che non si digerisce.

I cattivi momenti sono fatti per apprendere certe cose che gli altri momenti non mostrano.
Cattivi, in senso assoluto e oggettivo, sono i momenti in cui non vi è nulla da afferrare, in cui non è possibile afferrare niente che si possa portare con sè nel cielo della mente.
Di questi, alcuni passano per buoni agli occhi della gente comune.

(Paul Valery, Cattivi pensieri, 1942)

Ed ora, andiamo a lavare i piatti...!



sabato 4 gennaio 2014

marrakech express



FES

All'aeroporto mi confondo benissimo. potrei essere uno di loro, con il mio vestire e la papalina algerina bianca e rossa. Mi confondo talmente bene che l'autista del taxi mandato dall'ostello stenta a riconoscermi; solo quando sto per andar via e uscir fuori dalla hall per conto mio, lo guardo negli occhi, lui capisce e tira fuori il cartello: MR. ENRICO. Sono io!
Ha una bella faccia malinconica e semplice, cappello di lana e baffi, potrebbe essere un genovese o un greco.
Macchina giapponese, si vanta, facendomi salire.
Ma dopo dieci minuti, alle porte della Ville Nouvelle, una gomma si sgonfia.
Cric, nuovo copertone, bulloni, e si riparte.
'Benvenuto in Marocco', mi dice ridendo.

Arriviamo all'ostello Dar Lalla Kenza, palazzina antica, tutta intarsiata e maiolicata ai confini della medina. Ben, il giovane gestore, mi consiglia di non inoltrarmici di notte (è chiusa, mi dice).
Domattina capirò meglio.
Intanto, donne e bambini ancora in giro, a nugoli, molte senza velo, soprattutto le giovani.
E i maschi sono tutti radunati nei caffè e nei bar, che fumano come turchi, bevono thè e stanno schierati davanti alla tv: c'è la partita di semifinale del campionato mondiale per club.
Si gioca in Marocco e il Raja Casablanca ha battuto la squadra messicana ed ora se la gioca con l'Atletico Mineiro di Ronaldinho e Jo. Non so come, e non lo sanno forse neanche gli indigeni per quanto esaltati, ma il Raja gioca benissimo e vince 3-1.
Vengo immediatamente eletta mascotte ufficiale del torneo dal pubblico in sala.

Nella piazza R-Cif, dopo un primo lungo giro, a caso, nella medina, senza cercare riferimenti sulla mappa, prendendo vie a ispirazione, non trovando mai quel che pensavo di cercare, senza cercare nulla di preciso. Tra stradine strettissime, labirinti apparentemente insulsi, all'improvviso emerge una moschea o una medersa o una zaouia.
Bambini e bambine, tantissimi; donne incinte, tantissime.
I bambini girano da soli, poche donne belle, lineamenti pesanti e corpi grassocci, non paiono molto eleganti, sembrano le donne che escono in vestaglia o in pigiama in Romania.
Poche girano con un simil-burka integrale, molte solo col velo sui capelli, ma molte anche senza nulla.

Ho visto oggi molte facce di vecchi ancora sulla soglia del negozio in cui hanno lavorato tutta la vita e che ora è passato ai figli o ai nipoti.
Ho visto donne con occhi tristi, appoggiate al bancone del marito e con i figli appesi addosso.
Piove, e mi circonda un'umidità fredda.
Tolgo il bucatino steso in mattinata, e mi rifugio in ostello.
Ben parla a raffica con giapponesi, francesi, spagnoli e americani.
Io non collaboro alla conversazione, mi stanca anche solo sentirli.
Mi rifugio in terrazza: vedo a distanza le tombe merinidi al tramonto.
A fine sera, Ben mi dice che sono io il miglior cliente: chiedo poco, amo il silenzio, non parlo a vanvera. Ascoltiamo insieme alcune canzoni di 'Anime salve' che lui ama molto, provo a dirgli qualcosa sui testi; mi fa usare il suo pc per guardare la posta...

Ho aggredito Fès El Jedid dalla circonvallazione esterna.
Il palazzo reale, enorme e disabitato, è un pugno nell'occhio tra le case diroccate e povere che gli stanno intorno, tra la medina e il Mellah (ex quartiere ebraico).
Quartieri veri, non per turisti, senza l'ombra di un'attenzione apparente per te.
Ma la gente è accogliente e dolce, ti aiuta subito e semplicemente appena lo chiedi.
Le zone pedonali favoriscono i giochi dei bambini e dei ragazzini che stanno per strada a giocare a palla, a figurine, alla lotta, a tirarsi pietre e a far bande, a nascondersi.
Cerco inutilmente Bab Boujat; due signore mi vedono e mi affidano alla loro figlia piccola, Beki, timidissima e attenta, che mi conduce alla porta che cercavo. Torno indietro con lei, sorride, non accetta denaro.
Il riad in cui pranzo è un giardino piccolo, ma ricco di limoni, aranci, melograni, ulivi.
Un'harira (minestra), delle brochette di manzo, un'insalata di arance e cannella, a fianco del torrente Fès, che muove la ruota di un vecchio mulino ad acqua.
Un piccolo paradiso di colori, odori e sapori, tutto per me.


MOULAY IDRISS-VOLUBILIS-MEKNES

Sotto l'arco sottile e perfetto della porta di Tangeri, che apre verso il decumano maggiore sino all'arco di Caracalla. Vedo davanti a me e tutt'intorno i campi verdissimi, gli ulivi e le terre nere, fertilissime. E la basilica, il foro, le tante colonne superstiti. E mosaici di ninfe, zodiaci, Dionisi, atleti e delfini. Acqua che scende dal monte Zerhoun, il monte sacro, luogo di miti, favole e riti.
Sono nella romana Volubilis (che nome piacevole e vago).
Scorgo, abbarbicata sotto il monte, Moulay Idriss, la cittadina che mi ospita e che ho lasciato a piedi qualche ora fa.
La guest house che mi accoglie, da solo, è molto raffinata e silenziosa.
E' proprietà di Rose, una scozzese che viene qui ogni tanto. Fatima, marocchina, gestisce il luogo in sua assenza, quando ci sono ospiti.
Primo viaggio in treno da Fès a Meknès oggi, 2 euro per un'ora di viaggio, comodo e puntuale.
A fianco, un signore sessantenne che lavora al tribunale. Mi accompagna a piedi sino alla stazione dei grand taxi (dei mercedesoni per i viaggi medio-lunghi, diffusi in tutta l'Africa), in cui ci stipiamo in sette. Non c'è posto per lui, per ora, anche perchè lo lascia a me, augurandomi 'bon voyage'...

Ora, sempre su un grand taxi, attendo di partire per Meknès. E' domenica, ed è presto per loro, poca gente si muove. Tarderò un po', oppure -come spesso capita- tutto si anima e si agita all'improvviso e si può andare. Ieri ho cenato benissimo, con un tajine bollente al bollito di manzo, un'harira calda e gustosa e un thè alla menta profumatissimo.
Il Raja non ha fatto il miracolo anche col Bayern in finale: gli spietati tedeschi hanno vinto 2-0, ma la gente era comunque contenta, allo stadio c'era anche il Re che baciava tutti i giocatori e la gente lo applaudiva...).
Al bar c'era l'area per non fumatori (situazione invertita, rispetto alla nostra di oggi).
Partiti! Una ragazza mi invita ad appoggiarmi meglio alla spalliera, come loro, anche a costo di toccarci col corpo. Sono strane queste arabe: nessun contatto, ma disinvolte e tranquille.

Meknès: suk, palazzo reale, mausoleo di Moulay Ismail (che distrusse tutto e tutto ricostruì, credendosi il Re Sole, con cui peraltro si scriveva e si alleò, ma con cui non riuscì a far guerra alla Spagna e da cui non ebbe per moglie la principessa francese che aveva richiesto...).
Il re di oggi, Mohammed VI, mantiene in piedi tutti i vari palazzi reali, ma vive soprattutto in quello di Rabat (dove lavorano 2000 persone). Mi pare uno spreco, simile ai nostri.
Meknès appare, come Fès, una città doppia, con due medine che si rispecchiano, una di fronte all'altra. E' bello stare al sole, in questa bella piazza davanti alla Bab El Mansour, ascoltare i suoni di questa città: suonatori, incantatori di serpenti, maghe con i loro intrugli, scimmiette del Rif che si attaccano per le foto, vestite da Messi e Ronaldo, una sorta di varietà di provincia.
Il sole non scende. 'Fa male', mi dice un tipo che fuma seduto al mio fianco.
'Fumiamo molto, sì, perchè non beviamo alcool come voi...'.


TANGERI

Sull'ennesimo taxi da Moulay Idriss una ragazza guardava continuamente il suo anello di brillanti, al dito. Indossava anche un orologio da polso, fermo alle ore 9.00.
Mi attende un lungo viaggio in treno, verso Tàngeri (o Tangèri), una città che ho spesso sperato e immaginato di vedere.
Molta gente qui alla stazione, in attesa dei treni (in ritardo) per Oujda o Casa.
Ho preparato una saporita sportina per il viaggio: mandarini, datteri, olive e pane, una scatola di formaggini (qui li vendono soprattutto uno a uno, come le sigarette).
Il mio treno arriva puntuale, senza preavviso: è vecchio, anni 70, ma funzionante, sembra, e quasi vuoto.
Una bella ragazza, molto elegante e sottile, ascolta le cuffie e si muove continuamente col volto e col corpo, non riesce a star ferma: continua a mettersi e togliersi la sciarpa, a mettersi e togliersi le cuffie, a sbadigliare, a chiudere gli occhi cercando di rilassarsi, e ad aprirli continuamente, con un'ansia perenne.
Arriva un signore, si siede davanti a lei (nonostante ci siano moltissimi scompartimenti liberi), e attacca subito bottone.
Intraprendenza che mi manca. Mi scopro sempre più timido, ma forse lo sono sempre stato in fondo. E' che prima le cose accadevano da sole e non avevo bisogno di far quasi nulla.
Non mi potevo scoprire ancora in questo. Ora lo so.

Leggero ritardo. Ci avviciniamo a Larache, l'antica Lixus.
Qui Ercole colse i pomi nel giardino delle Esperidi e qui (nel cimitero cattolico!) è seppellito Jean Genet.
Il treno si è riempito di famiglie, donne incinte, operai e lavoratori stanchi.
Intorno situazioni pulite e ordinate, eccetto che ai fianchi della ferrovia nei centri abitati, trasformati in piccole discariche di plastica e rifiuti organici da bruciare.
Qui portano cappellini a zuccotto, fortemente dolicocefali, allungati verso l'alto, spesso molto colorati. Mi piacciono i popoli che amano i cappellini e le zuppe calde.
Tutte le persone che vedo qui sul treno potrebbero essere sarde...

Tangeri è sempre stata vista come una straniera in patria, città extraterritoriale, più spagnola che francese, più americana che marocchina.
Il meglio e il peggio dell'Europa e dell'Africa mescolati, città di mare e di porti, più decadente e degradata rispetto alle città già viste.
Terra di confine estremo, luogo di dogane e contrabbando.
All'ostello Melting Pot il francese è scomparso, si parla solo spagnolo o inglese.
Davanti alle Colonne d'Ercole, per millenni l'unica, vera, fine del mondo...
Sto a sorseggiare un the al famoso Gran Cafè de Paris, mi riscaldo un'oretta e guardo gli altri avventori: qui si siedono anche donne (poche), magari con marito o fidanzato, mai da sole, se non straniere. Pochi burnous, molti vestiti occidentali, anche per gli anziani.
Ragazze più raffinate e più belle, in senso europeo.
Città che, nonostante sia decaduta e sia stata a lungo abbandonata, o forse proprio per questo, resta molto affascinante.
L'impresa ogni volta è trovare l'ostello: ora ho imparato una strada, ma temo di farne altre, mi perdo sempre. Anche perchè molta gente non ha idea dei nomi delle strade. Si orienta in altro modo, immagino...

E' strano pensare che da qui l'Europa è a oriente.
E che il Marocco sia l'Atlante occidentale, l'extremum occasus.
E che l'unica terra ad occidente siano le Americhe...
E che ci sia solo mare da qui a lì.
Dopo poche ore, quel che sembrava un intrico di viuzze senza senso, inestricabile impaurente, inizia a svelarsi. Il bello delle medine è che ti puoi perdere, perchè comunque alla fine trovi sempre un muro e una porta, e capisci dove sei finito.
E poi c'è sempre gente in giro, è molto, molto abitata.
Le persone si salutano, si toccano, si abbracciano, si salutano molto, e con evidenza.
Bella giornata di sole, anche oggi, davvero splendente di luce.
Vicino alle tombe fenicie sul mare, quartiere di Marshan: sembra di essere a Sirai o a Tuvixeddu.
Sotto di me, un lungomare simile al Malecòn.
Davanti, lo Stretto e a destra, più distante, lo sperone di Gibilterra.
Coppie e ragazzi stanno seduti sulle tombe, davanti all'oceano che si mescola col Mediterraneo.
Il traghetto per Tarifa, sulla costa iberica, parte ora e arriva in soli 35 minuti sull'altra sponda, sull'altro continente, a poche decine di miglia da qui...

Sui gradini del Cafè Tingis, al Petit Socco, attendo che apra il barbiere per farmi barba e capelli 'a la maroquine'. Il posto è tranquillo, ho girato con piacere e calma. Un posteggiatore mi ha offerto thè e kif (erba) nella sua casetta di legno e voleva anche vendermene un pacco da due chili!
Ho visto che a St.Andrew, la chiesa anglicana c'è la Messa di Natale stanotte: rifarmi cristiano proprio qui che niente fa pensare che oggi sia il 24 dicembre ?
Né il clima, né le vetrine, né le chiese, né gli dei ?
Il tempo è peggiorato molto nel pomeriggio, con nuvole, forte vento e diluvi prolungati.
Piove dentro il cucinino dell'ostello, in cui mi rifugio per leggere e stare al calduccio, dopo un buon pranzo a base di pesce arrosto e zuppa.
Sono le 18, ma quasi mi metterei a dormire, altro che Notte di Natale...!

Notte di Natale: dopo il cinema RIF, in cui ho visto 'Il Maggiordomo', film bello ma molto filo-Obama, sorseggio un thè e qualche cioccolatino della sporta, senza cena.
Fuori pioviggina alquanto e l'umidità è altissima.
Non saprei cos'altro fare oggi, avrò camminato per almeno 10 km.
Donne, non se ne parla, purtroppo.
Non ho sonno, ma non ho voglia di stare fuori con questo tempo.
L'ostello, e anche la mia camerata da otto, sono quasi vuoti.
Un maschio dorme già nella mia stanza, un altro si aggira -mezzo disperato- fra le scale, il computer comune e i bagni. Tutti gli altri a far festa, ma dove ?
Meglio stare alla larga, comunque. Excelsa solitudo.
Il cioccolatino fondente era molto buono, in fondo...


CASABLANCA- RABAT

Anche la stazione di Tangeri, come le altre, è nuova, moderna, efficiente.
Questo Marocco è forse il paese africano più moderno che abbia visto finora, escluso il Sudafrica (delle città).
I francesi, a differenza degli spagnoli, hanno lasciato qualcosa anche di buono.
Ma forse neppure Tunisia e Senegal sono così 'civilizzate'.
La notte di Natale è stata un vero diluvio, la città è sommersa dall'acqua, ne parlano anche i Tg.
Mi dirigo verso Casablanca, la loro Milano...
Città enorme (si parla di 4 milioni di abitanti con l'hinterland, sterminato), centro portuale e commerciale di primo livello sull'Atlantico e nel mondo.
Sul treno, una ragazza giovanissima non fa altro che cliccare lo smartphone e usare 'what's up', con quel suo cinguettio cretino e asfissiante.
Poi ha mangiato due biscotti, bevuto un po' di succo ed è crollata sul tavolino, e dorme di brutto.
Le giovani generazioni sono così: superattive e superpassive, senza scampo, senza riflessione, senza mediazioni.
Tempo ancora grigio, il treno -dopo la bella Asilah- lascia il mare e torna verso l'interno (peccato!).
E' abbastanza pieno, ma comodo, con spazio per tutti.
Mi piacerebbe camminare sulla spiaggia, ora.
Ma dovrò attendere qualche ora, sempre che il porto di Casa abbia lasciato qualche sbocco al mare.

Disteso nel letto ad una piazza e mezzo, comodissimo, con un piumone a rose rosse, più un armadio, una finestra e un bagnetto.
Non c'è altro in questa spartanissima cameretta dell'Hotel du Palais, in una via sperduta, ma che sta ad un passo dalle piazze centrali e dalla medina.
La città è moderna, francese, coloniale, come mi aspettavo.
Girano dei tram supernuovi ed eleganti, quasi come se fossimo ad Amsterdam.
Qui si credono veramente europei o americani.
Un avvocato, salito a Rabat, non ha fatto altro che telefonare e usare il tablet per un'ora che è stato a bordo. Tanti ragazzi che sono saliti insieme ma non si parlano e stanno anche loro a chattare ininterrottamente, sempre a comunicare con tutti fuorchè con quelli che hanno davanti.
Dormirò presto, oggi, dopo una semplice cenetta da 'Emilia, la gitana' (zuppa e tajine allo spezzatino di manzo), in Piazza delle Nazioni Unite.
Ho domani per girare tra tanta gente e tante automobili.

Il bel tempo è tornato, una luce molto dolce arriva dal mare.
'Là dove c'era l'erba ora c'è...'.
Sorseggio una cioccolata calda al caffè dell'Excelsior, di fronte all'Hyatt (che conserva memorie del famoso film con Bogart ).
Qui bisogna girare sempre con la testa verso l'alto: i palazzi art deco o nouveau o non so cos'altro sono tanti, ma per vederli devi camminare così...
Mi avventuro verso il porto, e mi dirigo verso la mastodontica Moschea di Hassan II.
Minareto alto 200 metri, con luce laser che va verso La Mecca, in una posizione splendida, struggente, circondata dalle onde e dalla nebbia più fonda.
Nella sala di preghiera ci stanno 20.000 fedeli, il tetto è decappottabile, mirhab in marmo di Carrara, cedri intarsiati finemente, altoparlanti mimetizzati nelle colonne.
Luogo un po' finto, per turisti (è l'unica moschea visitabile da non musulmani in tutto il paese), biglietto d'ingresso relativamente costoso, ma ne vale la pena.
Esco, mangio un mandarino e qualche dattero, e mi dirigo di nuovo verso la medina che – a questo punto- si sarà svegliata.

Era sveglia sì.
Mi trovo in mezzo ad uno strettissimo e poverissimo suk di frutta e verdure, coloratissime e profumate, con donne giovani e anziane in caffettani o vestaglie in pile, che fanno la loro spesa quotidiana, per arrangiare pranzo e cena.
Casablanca non è roba per turisti, in fondo.
La medina è stata completamente circondata e avvinta dalla modernità, dalle banche e dai mercati.
D'altra parte, per costruire la Moschea di Hassan (peraltro, un re poco amabile e amato), avranno speso l'equivalente di milioni di salari delle persone che vedo qua in giro.
Dentro il porto hanno inglobato anche i pescatori, i pescherecci sono uno sull'altro, parcheggiati in un intrico incredibile.
Mi consolo con una delle trattorie di pesce all'aperto (una scofanata fantastica di fritto misto per 4 euro). Temo di abbioccarmi su una panchina, non sono lucidissimo...


E subito qualcuno ne approfitta.
Mentre mi dirigo al Parco della Lega Araba, mi si accosta un signore che dice di essere un marinaio mauritano, di essere bloccato al porto da quattro giorni, in una nave che trasporta fosfati.
Naturalmente ha parenti a Milano e ha bisogno di soldi per telefonare alla famiglia, che non sa dei suoi problemi e dalla quale dovrebbe ricevere dei soldi.
Cerca di impietosirmi, ma sempre in modo indiretto, sagace, senza chiedermi nulla di fatto.
Quando lo sto salutando e faccio per allontanarmi, lo fa, mostrandomi una carta telefonica e dicendomi che è vuota.
Sorridendo, gli dò 40 dirhams: è stato bravo, comunque sia, se sia vero o no quel che mi ha raccontato.
Sono molto bravi a raccontare storie qui e vedo che la gente, anche adulta, resta ancora incantata ad ascoltare, affabulata.
Scopro che le Torri Gemelle qui a Casa esistono ancora: più piccole, solo una quarantina di piani, unite come da una carena di nave, che vanno e partono verso un futuro di progresso e surmodernità.
Bel paradosso pensare che degli arabi se le sono fatte costruire qui ed altri arabi le hanno distrutte altrove...

Mi muovo, sempre in treno (ma da Casa Port, non da Voyageurs), verso Rabat, la capitale.
Svegliato alle 7 da qualche ansimo sessuale nella stanza a fianco: roba rapida, questi maschi musulmani ci vanno giù veloci, purtroppo.
Anche giornata umida, soleggiata, ma anche fresca.
Passo per Mohammedia, mare e industria petrolchimica, una sorta di enorme Sarroch.
Noto che le persone, soprattutto le ragazze, sbadigliano apertamente e senza ritegno in pubblico.
Mi faccio il mio pane e formaggino di colazione, imitando le bancarelle che organizzano dei fast-food in cui ficcano nel pane, oltre al formaggino (un bene di lusso, qui), uova, olio d'oliva, cipolle crude tritate e patate lesse.
Deve essere una bontà, prima o poi lo provo, ma oggi c'era una fila...
Rabat mi accoglie bellissima, sull'estuario dell'Oued Bou Regreg , che la separa da Salè.
La lotta tra il fiume e l'oceano si compie davanti ai miei occhi, che guardano dall'alto della Kasbah.

Forse avrei fatto meglio a risiedere qui e ad andare per un giorno a Casa.
La città, sia quella antica che quella moderna, mi appaiono aperte e ariose, terse e solari, vive, vivibili e vissute.
Esco dal suk arabo, attraversando la Mellah ebraica ed entro al caffè Nefertiti, così non mi faccio mancare neanche l'antico Egitto!
La gente è sempre gentilissima, accogliente, umana, anche ora qui intorno a me.
Stamane il ferroviere a cui ho chiesto il binario per Rabat me l'ha indicato mettendomi il braccio sulla spalla.
Mi passano davanti, irraggiungibili, delle belle ragazze, magre, lineamenti sottili, ben vestite.
Si vede che siamo nella capitale: l'avevo sottovalutata, ed invece mi ha sorpreso.
Anche questo Parco delle tre vie fa 10 a 0 a quello di ieri a Casablanca: vegetazione lussureggiante, curatissimo e ben frequentato, da famiglie e coppiette in amore; gli innamorati qui non possono baciarsi in pubblico, passeggiano per mano o a braccetto, si guardano dolcemente, nient'altro e niente di più. Immagino che facciano il resto in privato, o almeno lo spero...
Mi godo l'ultima ora di sole, lo cerco, e non è facile visto quanto è fitta la vegetazione.
Due situazioni insolite e inedite:
-una manifestazione di protesta di associazioni di commercianti davanti al Parlamento (che celebra i suoi 50 anni) a fianco della Ferrovie (che celebrano i loro 50 anni...tutto pare avvenuto nel '63, qui in Marocco).
-prendo il treno all'ultimo secondo, file lunghissime per il biglietto, e vagoni stracolmi, con la gente accalcata anche nei passaggi e negli atri. Mi siedo su uno scalino della scala a chiocciola che va a piano superiore.
Viaggio scomodo, mi consolo all'arrivo con una cena lussuosa, zuppa di pesce e ostriche.
Ristorante per stranieri o per uomini d'affari, offrono anche il vino, cosa molto rara (e vietata ai locali, ovviamente).


MARRAKECH

Ho dormito quasi nove ore, ma sono un po' insonnolito.
Treno verso Marrakech, infine.
Il mare si allontana, e anche i pesci.
A metà percorso, infatti, all'improvviso lo scenario cambia: la terra si fa brulla e secca, quasi savana e deserto, e si innalzano gli alti monti dell'Atlante. Marrakech è là.
Rientro in stanza, alla Casa del Sol in Derb Tijani-quartiere Muassine della medina, dopo 8 ore di immersione totale nella mitica piazza centrale, la Jemaa El Fna.
Luogo pazzesco, un'organizzazione caotica e ordinatissima in cui ogni giorno vivono, convivono, danno spettacolo, si incontrano, si vendono e si comprano, si agitano, mangiano e si riposano, e tutto il resto anche, migliaia e migliaia di marocchini, berberi, maghrebini e turisti stranieri di ogni dove (moltissimi italiani, per la prima volta, e spagnoli, francesi, tedeschi, giapponesi...).
Una marea umana, supermescolata, avvolta da decine di suk diversi e di incantatori di serpenti, maghe e fattucchiere, chiromanti e taroccare, donne che fanno disegni sulle mani con l'hennè, venditori di tutto, giochi strani e strampalati, vecchi ciechi che fanno sempre la stessa nota sul violino. Suonatori di tamburi e tamburelli, di bassi potenti e antichi e di banjos, di liuti e sonagli, danzatori uomini mascherati da donne o con barbe posticce, con scimmiette al guinzaglio, o uccelli rapaci. Insomma, un caravanserraglio del mondo intero riunito in una sola piazza.
Un eterno bivacco, da mane a sera, come in un deserto dentro la città più incredibile del mondo.
Questo posto è davvero straordinario.
Peraltro, un clima splendido, oggi ho pranzato in maglietta (e ho mangiato delle cose buonissime, tra cui il mio primo cus-cus qui; ora, a cena, mi scateno finalmente sul panino delle bancarelle tanto atteso...).
Ma la piazza è rimasta calda, anche quando la sera è scesa e si è fatta più fredda.
La cosa più bella è la tranquillità con cui puoi girare anche la notte: nessuno che ti abborsa o ti assale, nessuna pressione. Anzi, attenzione e sensibilità malcelate, ascolto e silenzio, calma.

Al mattino, non ho le forze per riaffrontare la piazza e i suk, mi rifugio nel Gueliz, la città nuova, e nei giardini Majorelle, bell'oasi di fresco e di pace.
E' domenica, e -mentre vado- mi arrivano contro varie centinaia di ragazzini che escono dalla stazione e vanno verso El Fna: sono tifosi della FAR (Forze Aviazione Reale) di Rabat (sono partiti, dunque, verso le 4 da lì) e si preparano alla grande partita contro il Marrakech.
Mi informo da loro, inizierà alle 16.
Torno al centro anche io, e vado verso Bab Agnaou, visito il Badia, spogliato dal solito Moulay Ismail per costruire la nuova città imperiale di Meknès. Ormai spoglio di quasi tutto, è vestito dalle cicogne che hanno fatto i loro nidi sui suoi muri ancora imponenti.
All'interno dei suoi padiglioni, vuoti da tempo, sono cresciuti gli aranci.
E' incredibile la quantità di bici, carrozzine e motorini che girano e sono parcheggiati in questa città.
Tutti veloci e agilissimi, sfrecciano tra le persone, a loro volta guizzanti, super elastiche, espertissime di questo irrefrenabile e inquietante e divertente viavai...

Che cosa non può il calcio ?
Mi trovo allo stadio, a 8 km dal centro.
Sono riuscito ad entrare, con un ritardo di soltanto un quarto d'ora dall'inizio della partita, e dico 'soltanto' perchè ne ho visto di tutti i colori, per arrivarci ed entrarci.
Lo stadio è lontanissimo. I tifosi del FAR hanno provato a salire sull'autobus di città per arrivarci, insieme a me che li seguivo con circospezione. Ma hanno scoperto che sul bus c'erano già i tifosi locali. Il conducente chiama un vigile che non sa cosa fare da solo e chiama la polizia che chiama l'esercito: cariche selvagge e tifosi del Far a terra. Io ed uno spagnolo, Jesùs, che sta cercando di tornare al suo albergo Ibis in periferia, ci dichiariamo prigionieri politici e siamo risparmiati dalla furia dei manganelli, insieme a vecchi, donne e bambini del posto.
Il bus giunge al capolinea, ma mancano ancora tre km a piedi.
Il percorso è lunghissimo e siamo costretti a farlo tra le transenne, a bordo strada, con la polizia schierata. Più si avvicina lo stadio e l'orario d'inizio e più si rischia di finire schiacciati nella calca.
All'arrivo davanti alla biglietteria, la ressa si fa ancora più forte: la partita è già iniziata, ed anzi sale un urlo perchè il Marrakech è già in vantaggio. La folla preme per fare uno degli ultimi biglietti, ma la polizia (a cavallo) carica ancora. Urlo 'etranger, etranger!', un poliziotto mi solleva con le sue braccia e mi deposita davanti alla cassa, scavalcando migliaia di marocchini assatanati.
Faccio il biglietto (2 euro) e, miracolosamente, entro.
Brutta partita, nessun altro gol, ma che storia...!

Gita turistica organizzata verso la valle dell'Ourika e i monti.
Un po' di vera Africa in tanta apparente organizzazione non poteva mancare.
Mi accordo con un certo Moha, per colazione, viaggio, guida ed escursione.
Mi dà appuntamento alle 8.45 davanti all'agenzia.
Alle 9.15 non è ancora arrivato nessuno; un vecchietto, che pulisce i locali, si impietosisce e mi indica una fermata da cui dovrebbe passare comunque la navetta.
Mi avvicino e, con un'ora e mezzo di ritardo, riesco a salire sul furgone di un'altra agenzia.
Altri turisti, mezz'inculati, come me, rinunciano.
Ritrovo, incredibilmente, per caso, anche Jesùs, il sivigliano, che fa la mia stessa gita.
Vediamo bei posti lungo il fiume, case berbere, piccole aziende erboristiche biologiche (compro the, curry, harissa ed argan), negozietti di varia mercanzia.
Pranziamo sul fiume, e lì decido di vendicarmi: non pago e faccio chiamare l'agente inaffidabile; gli faccio sapere che pagherà lui il pranzo, visto come mi ha trattato. Gli chiudo il telefono in faccia e non ha alternative: pagherà.
Bella, ma non proprio rilassante salita verso le cascatelle in alto, un percorso che qui da noi sarebbe vietato per i rischi di scivolate e cadute, abbastanza naif e selvatico.
Ancora un po' di vita, qui, non regolata dalla 626.

La piazza mi accoglie ancora e ancora nella notte.
Cena con olive condite, melanzane fritte, sugo e pane, sardine.
Un suonatore di un simil-liuto ha un cappellino della Costa Smeralda.
Tutto si ripete, bello per i turisti di un giorno, già un po' ripetitivo per me (e immagino per loro che lo fanno ogni notte da anni...!).
C'è un gioco in cui si provano a pescare delle bottiglie di coca e fanta con canna e lenza (in 4 notti non ho visto nessuno che ce la facesse), oppure altri cercano di tenere un pacchetto di sigarette con due bacchettine, o giocano ad una sorta di minigolf, o a carte.
La gente si diverte con poco, i loro occhi sorridono molto, come quelli dei bambini.
Vivono con poco, in generale, direi.
Questo intrico di suoni, odori, sapori, fumi, giochi ed esseri viventi che è El Fna, è comunque un'esperienza unica al mondo e, per quel che ho potuto vedere sinora nella mia vita di viaggiatore, Marrakech è una delle città più belle che abbia avuto la sorte di vedere nella vita.

Ultima giornata di viaggio, ultimo giorno dell'anno.
Ultimi giri per questa meravigliosa città, a far compere e regalini, a vedere le ultime cose, le ultime strade, i suoi ultimi colori.
Il sole inizia a salire, e riscalda.
Giornata lenta, a sfinirsi nei suk a caso, assediati da quantità indescrivibili di lanterne accese e spente, ninnoli, teiere, babbucce, pellami, souvenir, specchietti, gioielli, legno di thuia, incenso...
Ma quanta roba producono e quanta ne possiamo comprare ?
Per non parlare dei prodotti cinesi, che anche qui iniziano ad invadere i mercatini e le piazze.
'Allah akbar!' risuona puntuale, più o meno alle 6, alle 9, alle 12, alle 15 e alle 19.
Mi fa da riferimento,ormai, a telefonino permanentemente spento.
Mi diverto a trattare sui prezzi, cosa che di solito faccio con disagio: una borsa che parte da 120 arriva a 50, una collanina di feltro da 100 arriva a 30 (e il tizio mi rincorre e mi rintraccia qualche minuto dopo, pur di vendermela...).

Alle 16, arrivano tutti i carrettini dei ristoranti, che ogni giorno montano e smontano nella piazza.
E' come un invasione di barbari, che costruiscono però, e in pochissimo tempo, hanno ricreato lo scenario della notte, ed alcuni già hanno anche acceso il fuoco e messo in bella vista i cibi succulenti. Sono pazzeschi!
La piazza è comunque sempre animata, non smette mai, se non a notte fonda.
Ma quando arrivano loro, in un attimo, si trasforma ulteriormente e diventa un vero brulichio di esseri e di viventi, formiche piene di energia e di cuore.
Prendo un'harira con datteri (per mezzo euro) e vado al cinema per vedere un film comico marocchino, 'Road to Kabul', in cui prendono in giro di brutto americani e talebani.
Nonostante fosse in arabo con sottotitoli in francese, è riuscito a far molto ridere anche me.
Il resto del pubblico si sganasciava.
Sono uscito alle 22.30 e, con gli ultimi soldi, mi sono pappato un bel piatto di bollito caldo, segno finale e definitivo di quanto siano gentili e premurosi i marocchini: il cuoco mi ha scelto un pezzo di carne pulitissima e tenerissima, l'ha immersa nel brodo, e me l'ha tagliata a pezzetti.
Gli ho lasciato anche la mancia.
Coerentemente con il resto dell'anno, l'ho terminato da solo, con un bicchierino di gingembre caldo al cardamomo, senza brindisi ed auguri: la piazza ha continuato con i suoi ritmi e i suoi riti, quasi come se niente fosse, anche nel momento fatidico della mezzanotte (che arrivava qui un'ora prima che da noi).
Qualche piccola luminaria autogestita, dei cappellini a punta da parte di qualche giovane, qualche grido o saluto nel buio, ma niente più.
Nessun festeggiamento, insomma. Meglio così.

Aeroporto di Menara, con molte ore d'anticipo.
Quando un viaggio è finito, inutile cincischiare o fare ultimi giri nostalgici.
Sono andato via dalla Casa del Sol, sgattaiolando in silenzio, guardando ancora la copia in tedesco di 'Kafka sulla spiaggia' che stava appoggiata su un comodino nell'atrio.
Ora una signora francese sta leggendo al mio fianco '1Q84'.
La varietà di persone che vedi qui all'aeroporto è la stessa che ho visto in città, ma tutta concentrata qui fa ancora più impressione.
Gente come me, che ha fatto una vacanza 'povera' ed altri, che vengono dai resort e dai grand hotel (quelli che stanno distruggendo gradualmente ma irreversibilmente la Palmeraie), accompagnati sino all'ultimo da sherpa locali, in attesa dell'ultimo balzello.
Mi devo preparare ad una giornata di aeroporti, 3 ore qui e 5 a Ciampino, purtroppo.
Ma ho voglia di tornare a casa, sono stanco di girovagare.
Mi restano nel cuore le due visioni più belle di El Fna: un vecchietto arzillissimo che suona il suo basso per tutta la sera, sino a tardi e gli occhi di una ragazza bruna e bellissima, che -come una Cenerentola alla rovescia- mi è apparsa per la seconda volta, esattamente ai rintocchi del nuovo anno.

La giornata fuori continua ad essere molto luminosa e calda, io mi sottopongo alle lunghe e un po' troppo burocratiche operazioni aeroportuali.
Il passaggio, soprattutto a Ciampino, è brusco.
La vita asettica e immunizzata dell'aeroporto, in cui tutto sembra un ambulatorio per ricchi, si scontra con gli afrori e le spezie del recentissimo passato, i suoi colori e contatti, gli equilibri e le pulsioni dei corpi, gli slanci di quella città.
Anche i prezzi sembrano ancora più assurdi del solito.
Il Marocco, alla fine, mi resta così: semplice, umile, orgoglioso e fiero di sé, generoso, amorevole.

Mi resta la voglia, prima o poi, di tornarci.
Credo che sarà così, che accadrà.