venerdì 28 febbraio 2014

dove si va ?

Temeva che la notte fosse finita.
la minaccia avrebbe dovuto materializzarsi..., ma fino a quel momento non era accaduto, e lui cominciava a pensare che non sarebbe accaduto mai.
quella era la prospettiva più tetra di tutte, che là fuori non ci fosse nessuno.
lo lasciava in una condizione sospesa, ogni cosa materiale e coerente in un'indistinta rovina alle sue spalle ma nessun momento culminante davanti a sè...

Rimase fermo in strada. Non c'era niente da fare. Non si era reso conto che avrebbe potuto accadergli. Il  momento era privo di urgenza e di scopo.
questo non lo aveva previsto.
dov'era la vita che aveva sempre condotto ?
non c'era nessun posto in cui volesse andare, niente a cui pensare, nessuno ad attenderlo.
come poteva muovere un passo in una direzione se tutte le direzioni si equivalevano ?

un giorno ho avuto questo pensiero. era il pensiero della mia vita.
sono circondato da altre persone. non fanno che comprare e vendere. non fanno che dire di andare a pranzo. ho pensato guarda loro e guarda me.
quando cammino per la strada la luce mi attraversa....
ho pensato a tutte queste altre persone. ho pensato a come sono diventato quello che sono.
sono state le banche e i parcheggi. i biglietti aerei nei loro computer. i ristoranti pieni di gente che chiacchiera...
può essere stato anche solo questo...
anche solo questo, disse...

(Don DeLillo, Cosmopolis, Einaudi, 2003)

cambrian-menti

Potremmo raffigurare quanto avvenuto nel Cambriano immaginando il popolamento di un 'paesaggio' ideale, in cui l'altitudine è una misura del successo di una popolazione di organismi sia in termini di adattamento ecologico sia in termini di viabilità del processo di sviluppo.
lo scenario della fauna cambriana agli inizi della radiazione è quello di un immenso paesaggio libero a disposizione di pochi organismi.
l'insieme di nicchie ecologiche non è però una piatta distesa uniforme, bensì un territorio irregolare popolato da 'picchi' multipli, interrotti da sommità più basse, colline ondulate, avvallamenti e gole...
gli organismi in questa prima fase possono cambiare posizione abbastanza facilmente...
tanto maggiore è l'entità del cambiamento tanto più rischioso sarà l'esito: si potrebbe cadere in un picco più basso o in fondo a una valle.
la probabilità di successo è dapprima molto alta, poi scende rapidamente perchè tutti i picchi più interessanti cominciano a essere occupati.
quella che si è chiamata 'cristallizzazione' potrebbe corrispondere a questa crescente saturazione per cui i rappresentanti arroccati nelle posizioni più favorevoli si stabilizzano al punto da non potersi più muovere.
la riduzione di elasticità genetica ed ecologica porrà la specie, più che a evolversi, a 'resistere' all'estinzione...

Più complicato è immaginare che cosa possa causare la presunta decimazione successiva.
forse l'occupazione di tutti i picchi migliori coincide con un peggioramento delle condizioni ambientali, con meno risorse, più competizione, picchi più bassi e un'estinzione trasversale che sommerge tutti coloro che non avevano raggiunto un'altitudine di sicurezza.
il problema è che i 'sommersi' non esibiscono prove evidenti della loro presunta inferiorità adattativa, nè i 'salvati' della loro superiorità.
perchè le faune successive non pullulano di invincibili Anomalocaris ?

(Telmo Pievani, La vita inaspettata, Cortina, 2011)

mercoledì 26 febbraio 2014

speranza (roberto)

quando guardo la faccia esangue, gli occhi da triste ciuchino, o ascolto con fatica il tono di voce, di roberto speranza, capogruppo del pd alla camera, sento che la morte è lì, è vicina, parla con lui.
e con lui muore la speranza che possa esistere per noi un presente e un futuro.
lui è lo speranza che toglie ogni speranza.
e non solo nel parlamento o nella politica, ma nella vita proprio.

poi, invece, c'è speRenzino che non fa altro che esaltarci col suo entusiasmo e la sua energia da ragazzino down, ritardato e in ritardo.
E lui, dopo Monti e Letta, insiste a gasarsi e a gasarci con parole catastrofiche con cui anche lui insiste a definirsi: io (io,io,io,io...) sono 'senza alternative', sono l' 'ultima spiaggia', sono la 'carta finale'...
Quando sarà sostituito, come gli altri, si scoprirà che dopo l'ultima spiaggia ce n'è sempre un'altra, Napo la troverà, davanti alla palude nella quale restiamo immersi.

intanto viviamo ancora un inverno senza inverno, se non quello che prende l'anima.
intanto viviamo questo curarsi della vita che la soffoca.
intanto il dolore del mondo urla alla luna, ed i suoi singhiozzi salgono al cielo, nel silenzio più assordante.
intanto continuiamo ad affidarci alla speranza e allo speranza, senza affidarci e senza fidarci.
non saremo mai liberi se non raderemo al suolo la speranza.
lo speranza si dileguerà da solo, sciogliendosi nella sua stessa tristezza, come in un acido.

martedì 25 febbraio 2014

triste carnevale

Una mia ex, quando sentiva i rumori dei cortei di carnevale che provavano i loro frizzi e lazzi, e facevano rimbombare i tamburi sulle strade, si rincantucciava tra le lenzuola e tremava per la paura.
Quei suoni la angosciavano come delle campane a morto.

Il ricordo, e in questi ultimi anni vuoti e silenti me ne tornano in mente tanti, è sopraggiunto nell'assistere all'ennesimo ballo mascherato inscenato ieri al Senato, un baraccone inutile che -forse. ma ne dubito- sta per chiudere.
Renzino lo spaccone, mascherato da premier, prometteva mari e monti, a costo zero.
Un discorso da vero imbonitore televisivo, all'altezza del suo modello inconscio, il mitico Berlu, quando faceva i contratti da Vespa.
Ma con più tristezza, approssimazione, sconforto, senso di ripetizione, noia.
Primo, perchè in un solo decennio questi discorsi li fa ora il segretario del Pd, e non il capo di Forza Italia.
Secondo, perchè tutti sanno che si tratta del solito refrain ammiccante, con una gradevole musichetta, ma senza testo.
Terzo, perchè -rispetto a dieci anni fa- chi lo ascolta -in tv o sugli scranni- è messo molto peggio, in tutti i sensi (economico, morale, psico-fisico...).

Il Carnevale entra nel vivo, ma chi può aver voglia di organizzare sfilate, fare scherzetti, mascherarsi sopra le maschere quotidiane, saltellare per gioco?
Eppure tutto va avanti, ritualmente, senza energie, senza senso.
Per i turisti, per chi guarda e paga, per lo spettacolo che -si sa- deve continuare.
Così anche i partiti, e i nuovi governi.
Si va, ce la si mette tutta, ci si prova (chi può dire che Monti o Letta si siano riposati...?), ma si gira a vuoto, non si muove nulla, non si risolve nulla.
Intanto, però, stanno lì, al potere.
E noi qui, nell'impotenza.
Una posizione comoda, forse, per entrambi.

E si continua a far battute, a ridere, a scherzare.
Al Senato come al bar, ha rivendicato ieri Renzi.
Parla come mangia, l'unica cosa che mi piace di lui.
Ma è poco.
E non è vero.
E non mi diverte.





sabato 22 febbraio 2014

uno su mille ce la fai

Lo chiamano nuovo, non si capisce perchè.
Forse perchè Renzino ha messo tre sue giovani amichette in alcuni ministeri ?
Conosco abbastanza bene la Mogherini, quella che è arrivata agli Esteri,ci ho lavorato insieme nel movimento pacifista romano: una giovane già vecchia e d'apparato allora, tutta blandizie e attenzione ai movimenti, ma tattica e machiavellica quanto i suoi capi.
O forse per la presenza di Orlando alla Giustizia o di Martina all'Agricoltura; due vasi di coccio, due ectoplasmi, due scemotti senza nerbo ?
Sempre che provino davvero a far qualcosa di nuovo, e c'è da dubitarne, li divoreranno.

Poi c'è l'uomo di Casini, quello di D'Alema, il solito trafficante di CL, la signora rettora di Monti, la figlia della Confindustria, il tristo economista di Napo e del FMI, la ex pasionaria antimafia civatiana, una donna (si fa per dire) alla Difesa.
E resta Alfano agli Interni, per controllare l'apparato della sicurezza quando sarà il momento.
Insomma, si può dare di più, caro Renzino.
O forse no, probabilmente.
Uno su mille ce la fai.

Improvvisazione pura ed establishment di intoccabili, che cambiano solo posto a tavola o si mascherano -soliti gattopardi, con buona pace di Friedman- dietro i loro giovani delfini, infilandosi sotto il tavolo delle cerimonie.
Il nuovo che avanzava, caro Renzino, si è già fermato ?
La spinta propulsiva del cambiamento è già al capolinea ?
Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte...








giovedì 20 febbraio 2014

nuovi giochi, dopo la guerra

La storia è fatta dalle menzogne dei vincitori- risposi un po' troppo fulmineo.
Sì, temevo che avrebbe detto così. Non dimentichi comunque che è fatta anche delle illusioni dei vinti...

NUOVI GIOCHI, DOPO LA GUERRA

Abstract: L'articolo riassume schematicamente gli assunti-base della cultura dominante, che legittima la violenza e la guerra e che trova in esse uno dei suoi capisaldi centrali.
L'analisi attraversa quattro dimensioni fondamentali (la violenza, la guerra, il conflitto, il potere) e confronta su di esse gli assunti-base con le visioni e le premesse dell'alternativa nonviolenta.
Nell'ultima parte, si conclude con alcune riflessioni preliminari sul rapporto tra nonviolenza e perdono.


Introduzione

Il XX secolo - e ancor più il primo decennio del secolo in corso – rivelano, forse più di ogni altra epoca della storia, la disumanità, distruttività ed inefficacia della guerra.
Questa valutazione non deriva solo dall'utilizzo di parametri estrinseci o condizionati da visioni antitetiche ad essa, ma a partire da valutazioni e critiche interne alle sue stesse premesse ed obiettivi.
Non è possibile ritenere infatti che gli stessi militari possano ritenere oggi riuscite le operazioni condotte contro il terrorismo internazionale, come quelle ancora attualmente in corso in Iraq, in Afghanistan o - più di recente - intraprese in Libia.
L'unica motivazione attualmente addotta per giustificare una tale coazione a ripetere, che continua a perpetuarsi nonostante il suo continuo fallire ed auto-falsificarsi, risiederebbe nella mancanza di alternative.
I suoi fautori, alla luce delle loro interpretazioni della storia passata e recente, infatti, continuano a ritenere che l'uso della violenza e della guerra sia necessario e inevitabile, laddove vengano a mancare le possibilità di una negoziazione pacifica dei conflitti.
Questo scritto tenta, invece, di riprovare a dimostrare che queste premesse siano confutabili e che esistano delle alternative iscritte all'interno di una teoria e pratica, manifestatasi anch'essa in molte delle sue potenzialità nel secolo scorso, che definiamo nonviolenza.
Di seguito proverò ad evidenziare queste novità e potenzialità presenti in essa, mettendole in relazione a quattro dimensioni classiche del pensiero politico-militare.


Di sicuro sono convinto anch'io che tutti subiamo violazioni., in un modo o nell'altro...
Esiste poi la questione, dalla quale così tanto dipende, di come ciascuno di noi reagisce alla violazione subita: se la riconosce o la nega, e come essa influisca sui rapporti con gli altri...
1. Violenza

La nonviolenza non si riconosce nelle premesse fondamentali della cultura occidentale secondo le quali:
a. violenza e aggressività rappresentano caratteristiche innate, istintive e immodificabili della “natura umana”;
b. violenza e aggressività coincidono;
c. violenza e forza coincidono;
d. la violenza è inevitabile nelle relazioni tra viventi e tra specie umana e natura.

La nonviolenza contesta radicalmente tutt'e quattro questi “fondamenti” e insiste a dichiarare che:

a. non esiste alcuna prova che dimostri la naturalità della violenza ed anzi gli studi più recenti ne rivelano la sua matrice fortemente dipendente da condizionamenti appresi all'interno di contesti culturali; (1)
b. che l'aggressività non coincide con la violenza, in quanto la prima può essere interpretata anche in senso di energia non necessariamente distruttiva e/o nel caso in cui fosse distruttiva rappresenterebbe soltanto la dimensione palese della violenza (violenza diretta) e non esaurirebbe in alcun modo quelle dimensioni coperte della violenza (strutturale e culturale) che ne rappresentano il volto più pericoloso e devastante; (2)
c. esiste una modalità della forza che non solo non esercita violenza , ma può essere utilizzata proprio come antidoto alla violenza stessa; (3); peraltro da tempo si teorizza la possibilità di organizzare delle vere e proprie 'forze di intervento non-armate e nonviolente', ma sinora non si voluto procedere su questa strada e non si mai andati oltre sperimentazioni improvvisate e senza adeguate risorse. (4)
d. la violenza non può essere mai del tutto eliminabile, ma può e deve essere ricondotta all'interno di limiti e soglie che permettano la preservazione e la vita dei sistemi più ampi entro cui i singoli viventi si relazionano. (5)


Continui a farmi le domande come se avessi già le risposte. O, perlomeno, le risposte che vuoi.
Sei proprio un codardo, eh, Tony ?
Direi piuttosto che sono un tipo...pacifico.
2. Guerra

La nonviolenza non può che opporsi anche alle visioni tradizionali del pensiero politico-militare secondo le quali:
a. sussiste una linea di continuità ineliminabile tra politica e guerra, sulla quale entrambe si muovono e si alimentano, alternandosi e/o mescolandosi reciprocamente;
b. la guerra ha da sempre fatto parte essenziale della storia umana ed è stata la matrice principale dei suoi eventi e dei suoi cambiamenti;
c. la guerra e la lotta coincidono;
d. il pacifismo rappresenta una visione idealistica ed ingenua delle relazioni tra persone, tra gruppi e tra Stati.

La nonviolenza contesta l'assunto a. rivendicando un'autonomia dell'ambito politico rispetto a quello bellico: un'autonomia che si realizza solo se la politica diviene capace di riconnettersi alle dimensioni etiche ed estetiche e a riconsiderare il rapporto tra mezzi e fini sotto una nuova luce. (6)
Studi recenti (7) mettono in dubbio e in discussione l'assunto b. : essi rivelano che la storia umana non è sempre stata “storia di guerre”, ma ha sperimentato delle forme di vita e di convivenza non incorniciate da premesse ed epiche della guerra.
Rispetto al punto c. la nonviolenza evidenzia la radicale differenza tra lotta (struggle) e guerra (fight): nella prima prevalgono aspetti relazionali profondi che escludono – pur nel conflitto aperto – l'eliminazione dell'avversario-concorrente; nella seconda queste caratteristiche si perdono e prevalgono le istanze univocamente competitive del “gioco a somma zero” (mors tua vita mea). (8).
La nonviolenza, infine, non si riconosce nel pacifismo inerme e armonicistico di cui al punto d., ma anzi si pone quale teoria-pratica di una gestione alternativa dei conflitti, i quali non solo non possono essere negati o rimossi, ma devono essere necessariamente attraversati e affrontati (che è esattamente ciò che né la guerra né il pacifismo sono capaci di fare). (9)


Credevamo di aver raggiunto la maturità quando ci eravamo soltanto messi in salvo, al sicuro.
Fantasticavamo sul nostro senso di responsabilità, non riconoscendolo per quello che era, cioè vigliaccheria.
Ciò che abbiamo chiamato realismo si è rivelato un modo per evitare le cose, ben più che affrontarle.
3. Conflitto

Le premesse basilari della nostra cultura sociale e politica, e soprattutto il nostro senso comune, considerano il conflitto come un fattore di disordine che minaccia la stabilità e la quiete dei sistemi e delle istituzioni che con tanta fatica e sofisticazione abbiamo costruito nel tempo, nel tentativo di mettere ordine e di dare una struttura (in una parola, di “civilizzare”) quel che altrimenti sarebbe permanentemente preda del caos e degli eventi.
Da cui deriva il mito della sicurezza e il ricorrente, per quanto fatuo e inane, richiamo alla pacificazione.
Il conflitto, in questa visione, è percepito e si manifesta, quindi, soltanto come “malattia”.
Corollari inevitabili di quest'assunto sono:
a. che un sistema è sano quanto più è esente da conflitti;
b. che un sistema sia tanto più violento quanto più in esso i conflitti si manifestino;
c. che esistano differenze irriducibili e non mediabili se non attraverso l'imposizione di regole stabilite dall'alto o, laddove queste non siano praticabili, attraverso la guerra;
d. che la legittimità delle regole risieda soltanto nella loro legalità e che nel conflitto tra “libera coscienza” e “legge”, la seconda debba sempre prevalere sulla prima.

La nonviolenza considera il conflitto quale linfa vitale di una società e tende a favorirne l'espressione e la proliferazione al fine di sviluppare i suoi fermenti e di esplicitare le dimensioni coperte della violenza e dell'ingiustizia in essa presenti.
Il conflitto diviene quindi un sintomo del malessere e non più una malattia; un'opportunità per leggere la violenza presente in un sistema; una risorsa per apprendere l'arte di una trasformazione creativa dei conflitti stessi. (10)
Corollari di queste premesse saranno:
a. che una società sarà tanto più sana e vitale – e tanto meno violenta – quanto più sarà capace di esprimere, leggere e gestire i suoi conflitti; e viceversa un sistema che blocca i conflitti ed è incapace di esprimerli non può che definirsi altamente violento; (11)
b. che le differenze non possano e non debbano essere abolite o omologate, ma invece fatte convivere all'interno di sistemi e visioni interculturali plurali, che superino i confini attuali della falsa alternativa tra immunizzazione e tolleranza; (12)
  1. che non sempre ciò che è legale è legittimo e viceversa; e che in presenza di un conflitto radicale tra coscienza e legge non sempre la scelta debba propendere necessariamente per la seconda ma – e la storia lo dimostra ampiamente – ci siano molte situazioni in cui la scelta più ragionevole e giusta non sia quella degli Stati e delle maggioranze obbedienti, ma di singoli e minoranze disobbedienti.(13)


Sono sopravvissuto...
Non è affatto vero che la storia è fatta delle menzogne dei vincitori, come dissi una volta disinvoltamente...
Adesso lo so. E' fatta più dei ricordi dei sopravvissuti, la maggior parte dei quali non appartiene né alla schiera dei vincitori né a quella dei vinti.
  1. Potere

Due sono i capisaldi di una visione violenta del potere:
a. che esso sia concentrato in luoghi, ruoli e/o istituzioni che lo incarnano e lo esercitano in forme assolute (concezione monolitica del potere);
b. che esso sia indissolubilmente organizzato in forma gerarchica e preveda superiori ed inferiori livelli di autorità e di controllo.
Entrambe queste condizioni configurano il potere come coincidente con il dominio.
La visione nonviolenta contrasta fortemente entrambi questi capisaldi. Rispetto al primo insiste sulla caratteristica diffusiva e plurale del potere, che non è mai concentrato del tutto, ma sempre almeno parzialmente distribuito.
Il che ha due conseguenze:
a. che le relazioni di potere siano dipendenti da quanto ogni parte può e/o sceglie di esercitare o meno il quantum di potere a sua disposizione;
b. che le rivoluzioni nelle relazioni di potere non avvengano attaccando al cuore presunti “luoghi centrali”, ma riorganizzando le dinamiche plurali e diffuse e le posizioni di potere interne a un sistema. (14)

Rispetto al secondo assunto, la nonviolenza (in questo avvicinandosi alle teorie politiche anarchiche più evolute) (15) ritiene che esistano forme più complesse ed efficaci di organizzare il potere rispetto a quelle di stampo disciplinare-militare, unicamente votate al mantenimento e rispetto della gerarchia. (16).
La nonviolenza vede, anzi, proprio nella persistenza del “modello Maggiore-minore” l'espressione primaria della violenza e nel suo superamento l'unica possibilità di un'alternativa per un'effettiva negoziazione e per un'organizzazione realisticamente democratica dei poteri (“modello dell'Equivalenza”).(17)


Prima in confidenza consideravo che la caratteristica essenziale del rimorso è che non ci si può fare niente...
E se mi sbagliassi, invece ? E se si potesse, chissà come, sospingere il rimorso controcorrente, ...quindi chiedere scusa e ottenere il perdono ?
  1. Perdono

Alla luce delle novità sostanziali che la nonviolenza introduce nella tradizione socio-politico occidentale possiamo ora provare a fare alcune considerazioni conclusive sul rapporto tra nonviolenza e perdono.
È evidente la connessione tra le visioni nonviolente suesposte e tutte le tendenze rivolte a privilegiare l'ascolto, l'empatia, la mediazione, il compromesso creativo rispetto alle teorie-pratiche della violenza e della guerra.
Così come sono oggi storicamente accertate le possibilità di giungere ad una giustizia di tipo riconciliativo-restorativo quale alternativa plausibile alla giustizia penale e unilateralmente sanzionatoria.
Nella nonviolenza non trovano spazio atteggiamenti quali la rivalsa, la vendetta, l'umiliazione anche se praticate in “punta di diritto” dal vincitore di turno.
La parola perdono potrebbe quindi in prima istanza presentarsi in modo coerente e accettabile all'interno di una stessa costellazione di orientamenti.
D'altro lato, però, la scelta del perdono rischia di preservare alcuni presupposti del modello violento, in primo luogo quello gerarchico, in quanto il perdono sembrerebbe implicare necessariamente la persistenza di una superiorità del perdonante rispetto al perdonato, in una dinamica molto simile a quella che possiamo riscontrare nella stessa tolleranza.
Inoltre, quello del perdono è un concetto ancora intriso, purtroppo, di connotazioni conciliative che, anziché attraversare e affrontare il conflitto, paiono aggirarlo ed evitarlo, in una sorta di pietismo compassionevole che invita all'oblio delle responsabilità e delle colpe.
La proposta del perdono, quindi, rischia di avvilupparsi all'interno di quelle tradizioni, in primo luogo cattoliche e liberali, dalle quali la nonviolenza invece rappresenta, a mio parere, un tentativo di liberazione ed oltrepassamento, attraverso la modalità dell'aggiunta. (18)


NOTE
  1. Giorgi. P., La violenza inevitabile. Una menzogna moderna, Jaca Book, Milano, 2008
Dichiarazione di Siviglia sulla Violenza,, Conferenza Generale Unesco, 16.11.1989
  1. Galtung J., Pace con mezzi pacifici, Esperia, Milano, 2000
Patfoort P., Costruire la nonviolenza, ed.la meridiana, Molfetta, 2000
  1. Gandhi M.K., Antiche come le montagne, Ed.di Comunità, Milano, 1983
Manara F.C., Una forza che dà vita, Unicopli, Milano, 2006
  1. Tullio F. (a cura di), La difesa civile e il progetto Caschi bianchi, F.Angeli, Milano, 2000
  2. Bateson G., Verso un'ecologia della mente, Adelphi, Milano, 2000
  3. Gandhi M.K., Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino, 2006
Arendt H., Sulla violenza, Guanda, Parma, 2008
  1. Eisler R., Il calice e la spada, Forum, Udine, 2011
  2. Axelrod R., Giochi di reciprocità, Feltrinelli, Milano, 1985
  3. Hillman J., Un terribile amore per la guerra, Adelphi, Milano, 2005
  4. Sclavi M., Arte di ascoltare e mondi possibili, B.Mondadori,.....
  5. Benasayag M.- Del Rey A., Elogio del conflitto, Feltrinelli, Milano, 2008
Galtung J., Gandhi oggi, EGA, Torino, 1987
  1. Esposito R., Immunitas, Einaudi, Torino, 2002
Han B-C., La società della stanchezza, Nottetempo, Roma, 2012
  1. Arendt H., Responsabilità e giudizio, Einaudi, Torino, 2004
  2. Sharp G., Politica dell'azione nonviolenta (3 voll.), EGA, Torino, 1985
L'Abate A., Per un futuro senza guerre, Liguori, Napoli, 2008
  1. Krippendorf. E., L'arte di non essere governati, Fazi, Roma, 2005
Ward C., Anarchia come organizzazione, Elèuthera, Milano, 2010
  1. Weick K., Senso e significato nell'organizzazione, R.Cortina, Milano, 1997
A.-L.Barabasi, Link, Einaudi, Torino, 2004.
  1. Patfoort P., Difendersi senza aggredire, Pisa University Press, Pisa, 2012
Salio G., Il potere della nonviolenza, EGA, Torino, 1995
  1. Capitini A., Il potere di tutti, Guerra ed., Perugia, 1999

Tutte le epigrafi sono tratte dal romanzo di J. Barnes, Il senso di una fine, Einaudi, Torino, 2012.
Ringrazio per la collaborazione il dott. Cristiano D'Agostino.
L'articolo uscirà sulla rivista 'Psicologia & Lavoro', diretta da Enzo Spaltro.

la guerra alle porte

Uno spettro si aggira in Occidente, lo spettro della guerra.
L'Europa, che era riuscita per qualche decennio ad esportare la guerra (e a vendere le armi) in luoghi lontani ed esotici, da qualche anno ha cominciato ad essere accerchiata, a subire gli effetti boomerang delle sue stesse (non) azioni e (non) scelte.
Gli sbocchi, violenti e tragici, delle cosiddette 'rivoluzioni arabe' in Libia, Siria, Egitto -caratterizzate da una progressiva militarizzazione e clandestinizzazione della lotta, ormai sfociata in una vera e propria guerra civile in cui i civili sono ostaggi della guerra dopo esserlo stati della cosiddetta 'pace'-  , stanno lì a ricordarcelo.

Ma ora tocca all'Ucraina, una terra 'europea': la guerra ri-inizia a penetrarci, ad invadere i nostri confini mentali, a rendersi di nuovo possibile tra di noi.
Quel che mi stupisce è la resistenza e la potenza di fuoco dei dimostranti.
Non si tratta più di semplici rivoltosi, ma di organizzazioni para-militari.
E questo renderà inevitabile l'intervento dell'esercito, visto che i manifestanti sono così armati e attrezzati che le stanno dando di brutto alle forze di polizia.
Il che rende sospettosi: su chi ci sta dietro, su quale ruolo stia giocando l'Europa, su dove sta finendo la Russia, etc...
Insomma, per essere il primo esempio di guerra civile europea, lascia già intravedere quale sarà la nostra sorte entro pochi anni, quali le scelte obbligate, gli automatismi, le ambiguità.

Ma noi continuiamo a vivere come se niente fosse.
Come se potessimo vivere per sempre di  leggi elettorali, eterne casse integrazioni, insulsi spettacolini mediatici.
E qui, amaramente, sbagliamo.
Quando lo ammetteremo sarà troppo tardi.
Saremo già lì, nel turbine disastroso e avvampante della guerra.
I fuochi di Kiev annunciano questo, per chi vuole ancora guardare.

mercoledì 19 febbraio 2014

ich bin sdemocraticus !



Ho appena visto lo spettacolino che Grillo ha organizzato per il povero Renzino da Firenze in diretta streaming.
Un grande!
Ha fatto votare i suoi in rete, ha accettato di andare all'incontro obtorto collo, se ne è fottuto del suo stesso elettorato, e non ha ascoltato neanche una parola di quel che il malcapitato voleva dirgli.
Ha rotto finalmente e definitivamente con il teatrino democratico, quel finto 'ascoltami, poi parli tu', che occulta il vuoto totale di democrazia nel quale siamo immersi. E ha dichiarato sfacciatamente: sì, ti zittisco, non sono democratico!
Non contento, lo ha anche ripetutamente preso a pugni attaccandolo alle corde per dieci minuti con frasi tipo: sembri buono ma sei un uomo dei poteri forti e nemici della gente, delle banche, dei soliti boiardi...Non fai quello dici e dici quel che non fai...Non sei credibile, perchè non sei autonomo...Sei giovane, ma sei il vecchio...
Il tutto in un tono canzonatorio, quasi suadente, in stile '77, da indiano metropolitano e situazionista.
Un perfetto detournement, insomma.
Un attacco diretto e potente alle cornici, alle premesse coperte, ai trucchetti del gioco in corso.
Un attacco che scopre il baro e il bluff, che ribalta il tavolo.
Dopo l'attacco 'squadristico' alla Camera e questa maramaldata di oggi, i grillini stanno superando il mio esame.
Bravi, mi congratulo di cuore.
Anche se non ce la farete ad evitarci la palude eterna, ancora per un po', e la guerra civile, fra un po' (le due ipotesi che restano per me più probabili) , ci state provando.

Così come ci ha provato Michela Murgia qui.
Ma con ben altri modi, stili e metodi.
In confronto a Grillo sembrava una massaia pacata e sapiente, una maestra simpatica e intelligente, una pacifica e testarda compagna di strada.
Tutta roba che non serve più:
-perchè non sposta l'elettorato che ancora vota, che ancora vuole la pace e la quiete, il compromesso, che sta al gioco e vota i soliti noti, qualunque cosa combinino:
-perchè non persuade i rassegnati, gli impotenti, gli incazzati, gli scettici ad andare a votare;
-perchè non attacca la cornice, accetta le condizioni truccate del gioco, non sa fare satira politica, non li sa zittire e continua a cercare di mediare, di essere corretta e 'democratica'..
750.000 sardi le hanno detto no, hanno detto no a lei e ai partiti (il PD ha perso un terzo dei suoi voti, il centrodestra quasi la metà).
E gli altri vanno al potere con i voti di un terzo della popolazione, i soliti pecoroni senza dignità, quelli del 'meno peggio' alla Fazio o del 'chesaràmai' alla Piccolo, alleati e complici di fatto con i grandi e piccoli Berlusconi di turno.
E la chiamano democrazia...
Sino a quando potranno parlare, sino a quando gli sarà concesso, impunemente, di poter dare agli altri degli 'antipolitici', dei 'populisti', dei 'demagoghi', dei 'fascisti' ?
La loro malafede è totale, non vanno più ascoltati, vanno ridicolizzati e zittiti.
Il tempo del dialogo è finito.














lunedì 17 febbraio 2014

piccole scoperte

per la prima volta nella mia vita vedo una mia mano con le unghie lunghe.
essendo quasi immobilizzata nel tutore non può raggiungere la bocca e le unghie non possono essere mangiucchiate dai miei voraci e coattivi dentini.
è strano guardarla così, intera, bella, elegante quasi, con le sue punte che crescono, chissà sino a dove, sino a quando...

il giorno dell'urto devo ringraziare il casco, ho rischiato il trauma cranico e forse qualcosa di più.
sono svenuto per qualche minuto, e ho fatto un bel sogno, dolce, come in trance.
quando mi sono svegliato sull'asfalto, c'era ad assistermi un medico neurologo, cosa volere di più?, che mi ha protetto, chiamato l'ambulanza, piegato la bici e messa nel suo cofano...un vero angelo!

l'altra mattina, dopo una notte insonne, mi sono assopito verso le 5.
alle 8 ho sentito le campane.
mi sono risvegliato con le campane delle 9, ma la cosa strana è stata che -tra una campana e l'altra- mi è sembrato trascorso un minuto, non certo un'ora...
il tempo si è come contratto, annullato quasi.

cammino per le strade, sulle scale, mi muovo sui bus, e mi sento fragile, pauroso.
ho paura del minimo contatto o squilibrio.
provo una nuova sensibilità per i gesti banali, piccoli, ora così lenti e difficili.
mi faccio tenerezza, e qualche volta mi vien da piangere...

ma, lentamente, le cellule lavorano, il dolore si attenua, gli ematomi ingialliscono, il braccio si muove...
riscopro il mio corpo, pur colpito e ferito.





morti nelle urne

Credevamo di aver raggiunto la maturità quando ci eravamo soltanto messi in salvo, al sicuro.
Fantasticavamo sul nostro senso di responsabilità, non riconoscendolo per quello che era, cioè vigliaccheria.
Ciò che abbiamo chiamato realismo si è rivelato un modo per evitare le cose, ben più che affrontarle. 

Non voto di quasi metà dei sardi.
15% di astensioni in più rispetto alle Regionali scorse.
Un buon inizio di legislatura.

La Murgia non muove l'area astensionista, nè tantomeno quelle dei già venduti. Si ferma intorno al 10%, con nessun eletto.

Pigliaru pigliatutto, con il 40% dei voti, cioè il 20% dei cittadini.
La faccia di Cappellacci si eclissa nel nulla da cui proveniva.
Indipendentismo squagliato come neve al sole.
Ora -anche sull'isola- avremo un governo stabile, come la morte.

La storia è fatta dalle menzogne dei vincitori- risposi un po' troppo fulmineo.
Sì, temevo che avrebbe detto così. Non dimentichi comunque che è fatta anche delle illusioni dei vinti.

.(citazioni da J.Barnes, Il senso di una fine)
















i


domenica 16 febbraio 2014

come son giuste le elezioni...

SUI  PARTITI
Sconfessano per sopravvivere ciò che promettono per esistere. 
Si equivalgono al potere, si equivalgono fuori dal potere.

Non si deve esitare nel fare ciò che allontana la metà dei propri sostenitori e triplica l'amore dei rimanenti.

Ogni politica si basa sull'indifferenza della maggior parte degli interessati, mancando la quale non vi è politica possibile.

La politica fu in primo luogo l'arte di impedire alla gente di immischiarsi in ciò che la riguarda.
In un'epoca successiva, si aggiunse l'arte di costringerla a decidere su ciò che non capisce...
Il potere è sempre costretto a navigare contro il proprio principio.
Esso governa di bolina contro il principio, in direzione del potere assoluto.

Il risultato delle lotte politiche è di turbare, di alterare nelle menti la nozione dell'ordine di importanza dei problemi nonchè dell'ordine d'urgenza...
Tutto quel che appartiene alla politica pratica è necessariamente superficiale.

Non si può far politica senza pronunciarsi su questioni che nessun uomo assennato può dire di conoscere. Bisogna essere estremamente sciocchi o estremamente ignoranti per osare avere un'opinione sulla maggior parte dei problemi posti dalla politica.

Il lupo dipende dall'agnello, che a sua volta dipende dall'erba.
L'erba è relativamente protetta dal lupo. Il carnivoro protegge le erbe (che indirettamente lo nutrono).
Tra vecchi lupi, la battaglia è più aspra, più sapiente, ma esistono certi riguardi.

Il diritto è l'intermezzo tra le forze.

Il giudizio più pessimista sull'uomo, e sulle cose, e sulla vita e il suo valore, si accorda mirabilmente con l'azione e con l'ottimismo che essa richiede. Questo è europeo.

(Paul Valery, Sguardi sul mondo attuale, 1929) 

venerdì 14 febbraio 2014

gli impaludati

Non possono e non vogliono riconoscere che non c'è niente da fare.
Che nessun leader, nessun governo, nessun partito può farci uscire dalla crisi.
Che l'emergenza, come la guerra, si sono resi permanenti e saranno la condizione quotidiana delle nostre vite.
Che non ci saranno riprese o ripresine, né luci in fondo al tunnel.
Perchè questa crisi è strutturale e culturale, è una catastrofe di civiltà, è il non senso del nostro vivere comune, è l'rreversibile e l'irriformabile.
Ma non possono dirlo, né a noi né a sè stessi.
D'altronde, quanti di noi ci riescono, a fare i conti con la propria morte ?

Non potendolo ammettere, preferiscono cambiare faccia ogni tanto, per spirito di teatro o di gioco, o per sport.
Tanto per tenere svegli gli spettatori, o per farci tifare dagli spalti, o scommettere nei bingo.
E ci affidano all'illusionista, allucinato, mitomane di turno.
A chi pensa, in buona o malafede, 'io ce la farò, non sarà come per gli altri, usciremo dalla palude...'.
E riesce anche a farlo credere a tanti altri, che lo acclamano e lo votano, sino al prossimo -inevitabile e sempre più rapido- fallimento.
Monti aveva superato l'anno, Letta neppure questo.
I Frankestein che Napo ogni volta costruisce nelle segrete stanze vanno rapidamente a sbattere contro il muro della catastrofe.
Tra non molto, e sarà sempre troppo tardi, toccherà anche a lui, all'ineffabile ed intoccabile e super-paludato capo-burattinaio.

Ora: il Renzi assomiglia a Fonzie e a Bugs Bunny, è completamente preso da se stesso e dai suoi decisionismi, ma non è uno stupido, e sa molto bene dove si sta ficcando.
E chi sono i suoi nemici, quelli stessi che ora lo votano o lo incaricano.
Ma cosa vuole fare, il poveretto ?
Andare al potere, è ovvio, da sempre. E' per questo che ha accettato di fare il segretario Pd.
Ma come pensa di poter fare qualcosa alleato ad Alfano, ricattato da Berlu, con un Pd più poliframmentato e scomposto della mia spalla, con Sel e 5stelle contro?
Una legislatura costituente sino al 2018 ?
Mi vien da ridere.

Ma almeno due novità, comunque, ci sono:
  • che Napo non potrà più contare sui suoi amichetti al governo, ma avrà a che fare con un outsider, una variabile impazzita, in parte incontrollabile (in questo Renzi assomiglia più a Berlu e a Grillo che non ai soliti noti della finanza; il che fa pensare che, già da dopodomani, Re Giorgio complotterà contro di lui);
  • che il Pd sta finalmente imparando a fare opposizione: a se stesso, contro di sé.




mercoledì 12 febbraio 2014

caimani e sabbie mobili

Un giornalista americano che, a differenza di quasi tutti quelli italiani, crede ancora che possa esistere IL giornalismo, ci ha finalmente detto quel che da tempo tutti sapevamo.
Che siamo circondati da veri caimani, pochi ma assetati di sangue, il nostro.
E che essi siedono sui più alti scranni, sono stati chiamati, e ri-chiamati, a governarci e a dominarci.
E che anche l'ultimo, ridicolo velo della democrazia, il voto elettorale, non conta più nulla.
E che le decisioni sono sempre prese prima e dopo il voto, ed anche altrove.
E che la politica vera è sempre coperta, non è mai detta o dichiarata, è sempre menzogna, o verità togliattiana, stalinista, o gesuita.
E che non funziona come negli USA: per la metà di quel che ha fatto Napo lì sarebbe già stato costretto ad andarsene; qui da noi, la richiesta di messa in stato di accusa è stata archiviata in mezz'oretta.
In ogni caso e per ogni dove solo ipocrisia, retorica, finzione.
Ma si tornerà a votare, tra pochi giorni proprio qui in Sardegna, perchè lo spettacolo non finisca.

Per l'ennesima volta, dopo Monti e Letta, probabilmente avremo un nuovo governo in mano ad un non eletto, il Renzino di Borgo San Lorenzo.
Tutti lo cercano, tutti lo vogliono, ma lui nicchia, e sa il perchè.
Perchè una cosa è dire ed una è fare.
Perchè non vuol fare la fine di Berlu che, da capo del governo, ha dovuto capire che le cose che voleva fare (da imprenditore che fa e disfa) non poteva farle là dentro.
Perchè sa che Napo e le banche si fidano molto più di Letta che di lui.
Sarebbe come se uno dovesse fidarsi più di un altro che di stesso e, salve rare occasioni, non lo facciamo mai.
Perchè sa che, se prende il governo, ri-lascia il partito ai poteri di sempre e a quelli che vanno con le banche lì dentro, in primis il solito Baffetto.
Perchè sa, insomma, che sta per finire impantanato nelle sabbie mobili.
E che, se lo fa, sta per finire e basta.
Ma la domanda è: che ne sarà di lui, comunque, se non lo fa ?
Sarà divorato dai caimani, come tutti...








lunedì 10 febbraio 2014

unità sanitaria del male

Dopo una ennesima notte quasi insonne, accompagnato da cognato e nipote su una essenziale peugeottina anni 80, mi inoltro nel tunnel della sanità italiana.
100 persone già attendono nell'angusto e buio corridoio di fronte agli ambulatori, vado a confermare la visita ortopedica e a pagare il ticket.
Scopro che i medici, la volta scorsa, non mi hanno fatto l'impegnativa per la lastra.
Vado al secondo piano e cerco quel medico; lo vedo gironzolare compunto con i suoi colleghi in coda dietro il gallo primario, e con i tirocinanti intimiditi e cinici ancora dietro
Dopo mezz'ora mi avvicino e gli spiego la situazione; mi fa la seconda impegnativa, senza spiegarmi perchè non me l'ha fatta due settimane fa.
Mi accontento di averla acchiappata e concludo il primo iter burocratico;è gia passata un'ora.
Entro in radiologia, e gli devo chiedere io di aiutarmi a togliere le due maglie, prima di farmi appoggiare alla macchina irradiante.
Altro giro ad ortopedia: anche qui nessun aiuto spontaneo dall'infermiera, che neppure mi guarda mentre mi toglie le larghe garze con grandi forbici.
Mi propongono di acquistare un tutore e chiamano un tecnico dell'ospedale per farmelo indossare.
Lui dice che sta arrivando, ma passo un'altra mezz'ora in mezzo a decine di esseri fratturati in attesa.
Arriva, me lo piazza addosso e mi chiede 50 euro; gli chiedo una ricevuta, ma lui mi dice che se la voglio è meglio che lo compri fuori.
Ovviamente, mi trovo da solo nell'ambulatorio, il medico e l'infermiera non ci sono più.
Sospetto che anche loro siano della partita 'in nero'.
Mi rassegno, anche perchè sono già le 12 e non vedo alternative.
Altra attesa, e tornano anche il gatto e la volpe: lui micomunica che la situazione è ancora delicata, l'osso è molto frantumato, e che sarà molto molto lunga...
Mi rifà l'impegnativa per una prossima visita ortopedica, tra tre settimane e mi richiede nuove lastre, ma ancora una volta non mi fa l'impegnativa anche per questa.
Chiedo perchè e l'infermiera mi dice che è meglio che vada dal mio medico curante per averla e che faccia la nuova lastra in una struttura esterna, 'perchè lì non me la fanno'...
Ma se me l'hanno appena fatta e loro la stanno guardando ?
Inutile insistere e tentare di capire, di trovare una logica non kafkiana in tutto questo.
Io mi fermo qui, come diceva quello.
Mi sento stanco, sconfortato, vinto.
Mi rifugio nell'auto di Lalli, che grazie al cielo mi riporta a casa,
Di cosa parliamo quando parliamo di ...efficienza, trasparenza, regole, attenzione al cliente?
Una mattinata di frustrazioni, inconsapevoli violenze e consapevoli ruberie.
Tutto questo dà molto più dolore di un omero a pezzi.




domenica 9 febbraio 2014

precipitando su noi stessi

il carattere delle perone si sviluppa nel tempo? 
nei romanzi, naturalmente, sì: altrimenti non ci sarebbe storia.
ma nella vita ?
a volte me lo chiedo.
cambiano i nostri atteggiamenti, le nostre opinioni, assumiamo nuove abitudini e nuove bizzarrie; ma è un'altra cosa, un fatto più decorativo.
forse il carattere è simile all'intelligenza, anche se raggiunge il suo picco massimo leggermente più tardi, diciamo, tra i vent'anni e i trenta.
dopodichè, non ci schiodiamo più da lì. siamo soli.
se così fosse, si spiegherebbero parecchie esistenze, non vi pare ? nonchè, se il termine non risulta troppo solenne, la nostra tragedia.

da giovane sei in grado di ricordarti la tua esistenza tutta intera.
più tardi la memoria si riempie di toppe e brandelli.
è un pò come la scatola nera degli aerei, che registra quel che accade in caso di incidente.
se non succede nulla, il nastro si cancella da sè.
perciò, se davvero precipiti, è chiaro perchè l'hai fatto; ma se non vai giù, allora il giornale di bordo del tuo viaggio si fa assai meno limpido.
oppure, per metterla in un altro modo.
qualcuno una volta ha detto che i suoi periodi storici preferiti erano quelli in cui tutto precipita, percè significano la nascita imminente di qualcosa di nuovo. 
ha senso questa teoria se la applichiamo alla vita dei singoli individui ?
morire quando sta per nascere qualcosa di nuovo, anche se la novità in questione riguarda proprio noi ? perchè, esattamente come ogni cambiamento storico o politico prima o poi delude, così succede con il diventare adulti. con la vita.
certe volte penso che lo scopo dell'esistenza sia quello di riconciliarci, per sfinimento, con la sua perdita finale, dimostrandoci che, indipendentemente dal tempo che ci vorrà, la vita non è affatto all'altezza della propria fama.

si arriva alla fine della vita, no, non della vita in sè, ma di qualcos'altro: alla fine di ogni probabilità che qualcosa di quella vita cambi.
ci viene concesso un lungo momento di pausa, quanto basta a rivolgerci la domanda: che altro ho sbagliato ?
...c'è l'accumulo. c'è la responsabilità.
e al di là di questo, c'è il tempo inquieto. 
il tempo molto inquieto.

(julian barnes, il senso di una fine, 2011)

sabato 8 febbraio 2014

fare politica

...andavamo. sotto la pressione dei tempi, verso la politica, quella che potevo accettare senza smettere di irridere la politica e i suoi valori...
con altri quattro amici scoprimmo gli scritti dell'Internazionale Situazionista. 
ci ritrovammo nell'atteggiamento beffardo, nel gesto liquidatorio dell'happening che disturba le serie cerimonie culturali, nel puntiglio di chi prende alla lettera l'avversario per dimostrarne la vuotezza.
ci seduceva la pratica ostentata dell'intelligenza, mentre si irridevano tutti gli intellettuali più in vista.
ci piacevano anche l'insistenza sull'avere il meglio, e contemporaneamente l'irrisione del meglio.
l'idea di ' compromesso situazionista', che nella scelta tra due beni optava per entrambi; i detournement, che inserivano parole di Marx nei fumetti più noti.
praticavamo qualche 'deriva'...
il gruppo aveva una casella  postale e si chiamava 'gruppo uno', non ricordo per quale ragione.
certamente non nella speranza che ne seguissero altri, perchè un cardine era l'orgogliosa certezza di essere pochi.
un aggettivo ricorrente era 'risibile', applicato soprattutto  ai 'progressisti della sinistra', che proponevano riforme dell'università e del sistema; risibili erano anche il tempo libero, le vacanze, tutte le illusioni della società dello spettacolo.
usavamo termini provocatori come 'la menopausa dell'intelligenza' e ' la mafia resistenziale', per indicare gli intellettuali di sinistra.
quando presentammo il nostro documento al convegno, una nostra ex insegnante del liceo, antifascista e militante del Psiup, ci ammoniva indicando le somiglianze tra i nostri estremismi verbali e quelli del primo fascismo...

(tratto da Luisa Passerini, Autoritratto di gruppo, Giunti, 1988, una ricostruzione sul '68, vent'anni dopo...dedico il brano alle speranze e agli Speranza (e alle Boldrine, e ai grillini...) di oggi)). 

venerdì 7 febbraio 2014

caius dimidiatus

Vivere quotidianamente da solo non è una novità per me, organizzarmi la giornata, seguire le acquiescenti abitudini, inventarsi qualcosa per far passare il tempo, leggere o guardare le cose...
Ma farlo con una sola mano, con metà del corpo, è una solitudine nuova, più profonda, più essenziale.
Ora mi sento solo anche rispetto a me, a varie parti di me che -garzate- non vedo, che -lontane e nascoste-non posso toccare, che -mummificate- non posso sentire, se non per il dolore che trasmettono sotto traccia.
Prosegue l'esperimento del fare il morto mentre vivo, in forme e livelli sempre più sofisticati e filosoficamente sottili, sensibili, evidenti e intimamente radicali.
Un corpo senza contatti e senza carezze da tempo, ora scopre la sua distanza, la sua estraneità anche rispetto a sè, alle sue stesse mani, alle sue stesse consolazioni.
Soprattutto la notte, quando dispera di trovare una posizione quieta, senza fitte e contrazioni, l'esperienza del morire si approssima, metà di esso si addormenta tra le fasce, intorpidito, l'altra si agita e si avviluppa senza trovare riposo, come in una prima, leggera agonia.
Iniziare a morire, esercitarsi alla fine è procedere nel non appartenere a nulla, sino al non appartenersi.
E così nell'appartenere al nulla che siamo stati e che ci attende.
Malinconicamente, come tutti,
Serenamente, quasi.

Non riusciva a capire come faceva la gente ad amare, e poi a non amare più. Persone che amavano, e a un certo punto non amavano più. Come un cuore che a un certo punto smette di battere...
L'unico scopo di una relazione è quello di inscenare, in miniatura, tutto lo stramaledetto dramma della vita e della morte. L'amore nasce come nasce un bambino.Un uomo sa bene che deve morire, ma non avendo conosciuto altre realtà che la vita non crede veramente nella propria morte. E poi, un giorno, il suo amore si raffredda. Il cuore dell'amore smette di battere. L'amore muore. In questo modo, l'uomo impara che la morte è la realtà: che la morte può esistere nell'essenza di una persona, la sua morte...La morte deve avvenire nel cuore per essere creduta. Dopo la morte dell'amore, l'uomo riesce a credere nella propria morte.
(Taiye Selasi, La bellezza delle cose fragili, 2013, quasi alla fine...)




lunedì 3 febbraio 2014

gran varietà


EMIRATES
Letta va a imbonire gli emiri e cerca di convincerli alla svendita di quel che resta dell'Italia.
Etihad fa volare gli emiri verso l'acquisto, nella svendita di quel che resta di Alitalia.
Cellino compra il Leeds, ma cede il Cagliari agli emiri, nella svendita di quel che resta della Sardegna.

IN ALTO MARE
Siano di nuovo sott'acqua, ovunque, senza tregua.
Il treno, in bilico tra colline e mare in Liguria, tiene ferma la frana.
Potrebbe cascare da un momento all'altro in acqua, ma resta lì, e blocca il traffico ferroviario sulla riviera. Il treno blocca sia il movimento sia la frana, e si sta così, fermi, nel nulla.
Mentre continua a grandinarci addosso, quelli che guidano le carrozze continuano a 'nutrire un cauto ottimismo'.

LA DONNA SENZA QUALITA'
Ascoltare la Boldrini è un'incitazione alla violenza.
Quando la sento blaterare di rispetto, di diritti, di democrazia mi fa venir voglia di darle una randellata sui denti. Spero che il desiderio sia sufficientemente politically correct.
E che non sia sessista, visto che lo stesso irrefrenabile stimolo mi coglie quando ascolto Napo o Letta.
Basta con gli inviti alla razionalità, al contenimento, alla cortesia, alle forme.
Basta, se nel frattempo gli stessi ci inculano, infrangono le regole, truccano il gioco, ci umiliano e ci stuprano quotidianamente con le loro violenze di stato e con le loro eversioni.

ANTI-PIRATI PIRATATI
I nostri due marò facevano le loro ronde secondo le leggi anti-pirateria ed anti-terrorismo.
Ora sono alla mercè delle stesse leggi che li avevano creati e mandati in missione.
Gli anti-pirati sono ora giudicati pirati.
Quelli che urlano 'eversori' ai pirati sono i veri eversori.
Quelli che urlano 'conservatori' agli oppositori sono i veri conservatori.
Quelli che urlano 'fascisti' ai non collaborazionisti sono i veri fascisti.
Quelli che urlano 'sfascisti' ai non collusi sono i veri sfascisti.
Chi sono gli eversori in Egitto, in Ucraina, in Siria, in Iraq, in Afghanistan ?
Nelle guerre, e noi lo siamo ormai, alla faccia di qualunque armistizio e pacificazione coatta, l'importante è solo chi vince, non chi ha ragione.
Chi vincerà potrà dare agli altri tutti gli epiteti che vorrà, ma ora serve solo a vociare sul ring.

ALLARME, SIAM FASCISTI ?
Li sento preoccupati del fascismo che verrà.
Ma molto meno preoccupati per quello che c'è già.
L'emergenza democratica non l'hanno creata i grillini.
Il parlamento è da tempo esautorato ed umiliato dai governi, a loro volta esautorati e teleguidati da poteri extraparlamentari e non politici.
E quando il parlamentarismo di facciata si rivela per quel che è, risorge sempre la 'nuova politica', con i suoi rituali antirituali, le sue facezie, le offese goliardiche, le aggressioni sgraziate, gli attacchi risentiti e rancorosi. Così da sempre si reagisce all'umiliazione subita e a lungo accolta a schiena china: con la controviolenza dell'assalto.
E ad essa lo stato reagisce da sempre nello stesso modo:con la controviolenza delle regole, delle leggi e degli eserciti.
Così è e così sarà, pare.
Un'alternativa c'è, e si chiama nonviolenza: ma è solo un pio desiderio di quattro intellettuali che neppure più si parlano tra loro...