martedì 28 giugno 2022

antifascismo neofashista

Dopo gli annunci è successo: la senatrice a vita Liliana Segre ha visitato con l’influencer Chiara Ferragni il Memoriale della Shoah di Milano. Una visita avvenuta nei giorni scorsi e di cui solo oggi le due protagoniste hanno parlato. “La nostra è stata una visita semplice, da nonna a nipote, un incontro tra generazioni, ma anche un passaggio di testimone“, ha dichiarato Segre spiegando il perché dell’invito che ha deciso di fare all’imprenditrice. “Quando i testimoni oculari non ci saranno più, dovremo fare affidamento su tutti quei cittadini che vorranno prendersi in carico la responsabilità di ricordare. Chi meglio di Chiara Ferragni allora, che ogni giorno parla con 27 milioni di persone?”, ha dichiarato.
 
Questa è la dimostrazione che non basta essere ebrei ed essere stati perseguitati per avere un'intelligenza della storia presente e dei suoi domini ed incubi attuali e prossimi.
E di quanta idiozia ci circondi, sia dei giovani che dei vecchi (proprio quelli che dicono di aver appreso qualcosa dalla storia, e che ci invitano a non dimenticarla).
Dire che la Ferragni possa divenire nuova testimone dell'antifascismo e dell'antinazismo, proprio lei che rappresenta il simbolo del neo-fashismo fashionista totalitario oggi dominante, fa capire a quale retorica siamo sottoposti.
Alla retorica dell'antifascismo fascista e del fascismo antifascista, a cui siamo abituati da decenni, ma che ci sta finalmente per lasciare.
Ed alla retorica dei testimonial (ambasciatori dell'Onu, cantanti e attori strapagati e strafighetti che si impegnano per le cause umanitarie, per farci vaccinare, per sorridere ai negretti, etc etc)
Ed alla retorica di un'establishment che vuole farsi anche intellighenzia, spacciarsi per chi può e sa fare cultura e politica, ma non ha alcuna visione di quel che è stato nè tantomeno di quel che sta avvenendo, ed ancor più di quel che sta per avvenire.
 
 


domenica 26 giugno 2022

urlanti e muti

 

Come reagiremo alle prossime restrizioni e ai nuovi divieti incombenti ?

Come potremo (e soprattutto potranno le giovani generazioni), allevate nelle consuetudini fashioniste del consumo, dello spreco, della facile ed immediata acquisizione di ogni cosa ?

Come vivremo l'uscita per obbligo dalle nostre zone di comfort, permeate di agiatezze e vizi, rassicurazioni ed esenzioni ?

Che cosa ce ne faremo ora che la pace sta per virare in guerra, il benessere in disperazione, il successo di pochi in fallimento di tutti ?

Cosa riusciremo ancora a dire con le nostre lingue perversamente nutrite soltanto di eufemismi perbenisti e politicamente corretti ?


Non è difficile prevederlo, anche perché inizia ad avvenire già.

Urleremo e ammutoliremo.

Le maggioranze silenziose si riverseranno nei fiumi della paura e del terrore, nei laghi della depressione e dell'isolamento, nei mari della sottomissione e dell'obbedienza.

Cinismo e sentimentalismo estremi andranno insieme tra loro e, ancor più di oggi, ad un opportunismo morale che tutto saprà giustificare ed utilizzare ai propri fini.

Crescerà l'identificazione verso i capi e la loro autorità carismatica del momento.

Crescerà la violenza per bande, ma anche quella di singoli rabbiosi e risentiti, apparentemente insensata, immotivata da null'altro che dal solo bisogno di farla o di subirla.

La distruttività reattiva rappresenterà l'altra faccia di una passività senza limiti, a sua volta premiata da chi vorrà soltanto dominarci in silenzio e a distanza.


I segnali ci sono già tutti, e sono purtroppo chiari e incontrovertibili.

Le giovani generazioni sono solo una massa allo sbando, che cerca di sballarsi e non pensare.

Inutile consolarsi con le eccezioni, che sono sempre esistite e non sono mai riuscite ad impedire il disastro.

Gli adulti continuano a nascondere loro la realtà e soprattutto quel che sta per avvenire.

Proseguono a far finta di nulla, a riempirsi di parole e psicofarmaci, a dormire in piedi, a lamentarsi in bagno, a seguire le procedure, a fare il loro lavoro.

Siamo tutti in attesa che qualcun altro faccia qualcosa.

E questi altri lo fanno, ma -dobbiamo saperlo e dirlo-: proprio perché lo fanno, provando a rallentare il disastro e a tappare le falle, proprio così genereranno catastrofi con ancor più pervicacia, intensità, frequenza e convinzione.














ave o marìas

 

Ogni tanto penso che l'intera nostra vita...sia dominata dal lungo e rinviato anelito di tornare a essere inavvertiti come quando non eravamo ancora nati ed eravamo invisibili,privi di emanazione di calore, inudibili;...di cancellare ogni traccia della nostra esistenza passata e purtroppo presente e futura ancora per qualche tempo.

E tuttavia non siamo capaci di dare compimento a questo anelito che neppure riconosciamo, o lo sono soltanto gli spiriti molto coraggiosi e forti, quasi disumani: quelli che si suicidano, quelli che si ritirano e attendono, quelli che spariscono senza un addio, quelli che si nascondono per davvero, voglio dire quelli che veramente fanno in modo di non essere mai più trovati; gli anacoreti e gli eremiti in luoghi remoti, i soppiantatori che si scrollano di dosso la loro identità...per acquisirne un'altra alla quale si attengono senza cedimenti...I disertori, gli esuli, gli usurpatori e gli smemorati, quelli che davvero non ricordano più chi erano e si convincono di essere quello che non erano da bambini o perfino da giovani, e ancor meno dalla nascita. Quelli che non ritornano.


Non impariamo mai, e bisogna che l'orrore si compia in tutta la sua grandezza per spingerci ad agire, che l'orrore sia in marcia e sia ormai inarrestabile perché prendiamo una decisione, dobbiamo vedere l'ascia alzarsi in aria o abbattersi sul collo delle vittime per trafiggere coloro che la impugnano, constatare che quelli che sembrano carnefici lo sono veramente, e per di più mettono a morte noi. Ciò che non è ancora accaduto manca di peso e di forza, ciò che è previsto e imminente non basta, nessuno dà ascolto alla chiaroveggenza, mai, occorre che tutto sia confermato da fatti terribili, quando ormai è troppo tardi e non sono più rimediabili e non si possono disfare. E allora ciò di cui tocca farsi carico, paradossalmente, è il castigo, oppure la vendetta, che costano ancora di più e sono di natura molto diversa... É così che operano le organizzazioni mafiose, incapaci di perdonare un errore o di rimettere un debito anche minimo per non creare precedenti, perché tutti capiscano che non si può mancare di rispetto, che non si può rubare né mentire né tradire, che bisogna temere. Ed è così che agiscono lo Stato e la sua giustizia, in fondo, con il loro cerimoniale e la loro solennità, o senza, se è necessario e se tutto deve avvenire in segreto: sventano il delitto che altri potrebbero commettere, dissuadono mediante la condanna di chi ha osato precederli.


Oggi perfino l'ultima pedina della storia viene giudicata, e chi lo fa non sa o non considera che cosa sarebbe successo a quelle pedine se si fossero rifiutare di obbedire agli ordini...Dalla pausa, dalla pace, che forse è solo tregua, dal presente che guarda con sdegno a ogni cosa passata, dall'oggi che si crede superiore a qualunque ieri, è molto facile proclamare con superbia: 'Io non l'avrei fatto, io mi sarei ribellato', e in tal modo sentirsi integri e puri.


Forse non eravamo soggetti singoli, una volta intrapreso il cammino che ci separava dalle masse abuliche del mondo, quelle che non sanno né vogliono sapere nulla, quelle che vogliono solo che tutto funzioni e che tutto rimanga al suo posto, ogni mattina e ogni sera...

'Ma tu lo sai, e sai che è vero. Sai che l'unico modo per essere al sicuro è essere morti'.

É uno degli effetti maligni della quantità: quanto più un'aberrazione o una vigliaccata si ripetono, meno aberranti e vili ci appaiono, e più è difficile distinguere i singoli episodi l'uno dall'altro. La quantità induce la peggiore delle perversioni: sminuire la gravità di ciò che è gravissimo, per questo da un certo momento in poi non vengono più contati i caduti di una guerra, almeno mentre la guerra dura e continua a fare morti. E talvolta i responsabili prolungano inutilmente i conflitti proprio per questo: perchè non si comincino a contare i morti che peseranno sulle loro spalle.


'La crudeltà è contagiosa. L'odio è contagioso. La fede è contagiosa. La follia è contagiosa. La stupidità è contagiosa.'

Quando la gente scopre la crudeltà, la abita e la diffonde, ci vuole molto tempo prima che le venga a noia. Secondo Redwood c'era un solo antidoto: 'Ah, sì, misera consolazione. Anche il riso è contagioso', concluse. 'Peccato che venga spazzato via quando una qualsiasi delle cinque patologie prende il sopravvento; e spesso tutte e cinque vanno insieme, una chiama l'altra, e quando compare il pacchetto completo non c'è più niente da fare. Non resta che dichiarare guerra al mostro e schiacciarlo. Era così, vero? '.

 

Sapevo che quelle ire o quegli sfoghi di massa servono solo a compiacere e infondere maggiore forza in coloro che hanno il coltello dalla parte del manico, tutto l'insieme mi sembrava una pagliacciata carina ma sterile, e scusabile:nelle situazioni di assoluta impotenza le persone si sentono spinte a 'fare qualcosa', qualunque cosa, anche se non serve a nulla. Sono come gli amici e i parenti che coprono di fiori il feretro di un morto che non può più vederli né sentirne il profumo...La gente crede di dover stare accanto a chi ormai non necessita più né apprezza nessuna compagnia, e così facendo si confortano e si fanno compagnia i vivi, e in parte si consolano -anche- trattando con colpevole superiorità e condiscendenza il defunto, e mormorando 'Poverino' o 'Poverina'. (Ciò che invece merita ciascuno è un lento chiudersi di scuri).

 

In una situazione tesa, emotiva, collettiva, chiunque sa come comportarsi. Non deve fare altro che imitare quello che vede fare agli altri.

 

Quel che è avvenuto nel passato è già prescritto di fatto...Nessuno ha intenzione di punire i crimini commessi uno o due secoli fa, per atroci che fossero. Sono orrori reali che a poco a poco diventano astratti, storici, si tramutano in racconto. Li riviviamo lì, nei racconti, come se stessero succedendo di nuovo, in tempo reale...Non ci è dato far nulla al riguardo, se non sospirare. Invece, gli orrori che ancora si ricordano, quelli che sono stati vissuti di persona..., cadono in prescrizione per la giustizia ma non per coloro che li hanno subiti o vi hanno assistito, ed è per questo che lo spirito di vendetta aleggia nel mondo, sebbene la legge lo proibisca.

'Sai bene che l'unico motivo di pentimento, non solo per un assassino ma per chiunque, è il fallimento. Che il gioco non riesca. Nessuno si rammarica di quel che gli riesce, e nemmeno dei delitti impuniti'.

'In certe condizioni non è possibile agire secondo la legge né chiedere permesso per ogni iniziativa. Se il nemico non ha scrupoli, chi se ne fa perde, è condannato. Nelle guerre è così da secoli. Il concetto moderno di 'crimini di guerra' è ridicolo, è stupido, perché la guerra consiste soprattutto di crimini, su tutti i fronti e dal primo all'ultimo giorno. Quindi le cose sono due: o non si combatte, oppure bisogna essere disposti a commettere i crimini necessari, quelli che servono per raggiungere la vittoria, una volta che si è cominciato.'

Quindi non mi rimase altro da fare che dispormi, come dice il poeta (non so se fu Blake), ad 'attendere senza speranza'; in inglese era più chiaro perché, diversamente che in spagnolo, che impone il bisticcio: esperar sin esperanza, le due parole sono differenti: to wait without hope.


(Javier Marìas, Tomas Nevinson, 2021)



sabato 25 giugno 2022

soltanto ostaggi

 

Il popolo ucraino, sempre meno entusiasta e sempre più devastato, scopre sempre più di essere soltanto un ostaggio.

E che il suo rappresentante politico più alto, Zelensky, sta ottenendo i suoi risultati politici e personali a discapito del suo popolo.

'Ci siamo meritati la candidatura in Europa!', esclama.

Il prezzo? Decine di migliaia di morti tra i suoi concittadini.

Ma la ragion di stato conta sempre più delle vite, umane e non, nella necropolitica.

É qui, sulla pelle degli ostaggi ucraini, che le superpotenze giocano il loro dominio sul mondo, combattendosi tra loro, ma alleati contro la vita ed il pianeta.


L'Ucraina va verso la sconfitta militare, lentamente ma inesorabilmente.

Ma il cerchio si sta chiudendo non solo intorno alla gola di quei poveracci ai confini dell'impero.

Si sta chiudendo anche attorno alla nostra, ultimi privilegiati del mondo.

Anche noi scopriamo di essere soltanto dei poveri ostaggi sotto ricatto.

Il ricatto energetico inizia a presentare il conto.

Le materie prime aumentano spropositatamente i loro costi, l'inflazione sale esponenzialmente e fuori controllo (e con essa, la povertà materiale di molti).

L'acqua procede a diventare un bene di lusso, e non più soltanto per i popoli del deserto.

I cambiamenti climatici accelerano e ne vediamo gli effetti sempre più evidenti ed inquietanti per il nostro comfort.

Energia, materie prime, acqua: da quanto diciamo che sono e saranno le cause di nuove, continue, terrificanti guerre?

Sta accadendo, ora, anche per noi: noi che avevamo (soli nel mondo) la possibilità di scegliere la decrescita, iniziamo a subirla per obbligo, ostaggi di noi stessi.


La risposta la conosciamo già, arriva automatica e l'abbiamo già sperimentata con la pandemia.

Stati d'emergenza permanenti, gestiti da esperti e politici che continuano ad esigere -col paternalismo o l'aperta repressione- di essere seguiti, obbediti, votati e magari anche ringraziati per le loro soluzioni e rassicurazioni.

Come veri banditi gentiluomini quali sono, si prendono cura di noi, mentre ci tengono in prigionia.

Siamo ostaggi, e- anche se volessimo- non possiamo neppure offrire un riscatto per liberarci di chi ci ha rapito e ci ha tolto la libertà.

E se qualcuno si lamenta, o -anche solo timidamente- protesta, è subito trasformato in ribelle fuori dal tempo o traditore della patria in armi.

Nessun minimo segno di ripensamento, nessun -neppur parziale o momentaneo- sprazzo di lungimiranza.

Non vogliamo finire di giocare questo gioco che ormai è giunto a coincidere con la nostra ed altrui vita. É un gioco che non sa come finire e che conosce come unica sua fine solo la fine di chi lo gioca.

Ecco perché, sino alla fine, non crederemo alla nostra fine.

domenica 5 giugno 2022

la re-pubblica, o dei nuovi re

 

Le mega celebrazioni per il Giubileo di platino della regina Elisabetta ci ricordano che il potere oligarchico, nobiliare, aristocratico non è mai finito e appare sempre meno in contrasto con i regimi democratici e liberali che avrebbero dovuto superarlo e sostituirlo.

Il fallimento di questi ultimi è evidenziato infatti sempre più dal loro evidente, progressivo regresso proprio rispetto ai principi e valori che avrebbero dovuto caratterizzarlo antagonisticamente nei confronti dell'elitarismo dinastico: meritocrazia, mobilità sociale, egualitarismo nei diritti, limitazione delle sperequazioni economiche, rifiuto del familismo amorale, tendenza al progressismo culturale e politico.

Le attuali democrature, sostanzialmente in mano ad establishment plutocratiche che ne costituiscono il fulcro decisionale coperto (mediante la corruzione e le lobbies) e palese (mediante il controllo dei media e dei parlamenti), stanno di fatto gradualmente trasformandosi in regimi feudali in cui l'esercitabilità del potere bottom-up è ormai ridottissima, a tutto vantaggio del dominio che promana dall'alto verso un popolo ridotto ad un coacervo informe di individui massificati, facilmente ricondotti ad un consenso passivo ed acquiescente.

Le monarchie, come quella britannica, fanno la loro festa proprio nel momento in cui la storia presenta loro il conto ed esse vanno a risultare ancor più obsolete, anacronistiche e superate dagli eventi.

Ma non perché siano state superate da modelli più democratici (illusione a lungo coltivata in Occidente, perlomeno a partire dal 1789), ma perché sostituite da nuove forme di dominio oligarchico e nuovi colonialismi militari ed economico-finanziari, meno blasonati e più transitori, ma non per questo meno potenti ed arroganti rispetto al passato.

Ancora una volta lo vedremo da come le democrature gestiranno la catastrofe del prossimo autunno: al di là di bonus assistenziali per i poveri e contentini per i ceti medi a rischio, le scelte strutturali resteranno infatti, inevitabilmente, tutte a favore delle fasce più agiate e ricche di ogni Stato occidentale.

Inutile sperare che il mondo del lavoro -reso impotente dalla sindacalizzazione di regime- possa andare oltre un ennesimo, spuntato e ritualistico, sciopero generale per chiedere cose già chieste (e rifiutate) da sempre: patrimoniale, tassazione delle rendite, equità fiscale, salario minimo, reddito universale di cittadinanza.

Ci saranno forse piccoli aggiustamenti, ma niente più.

D'altronde, in assenza di un conflitto aperto che fosse capace di aprire vertenze e lotte con modalità diverse dalle attuali, non si può ipotizzare alcuna evoluzione di sistema.

Purtroppo, non possiamo che riscontrare la totale incapacità -anche da parte di chi auspica e propone prospettive alternative- a fare un salto verso la resistenza nonviolenta.

Eppure solo delle campagne coordinate di non collaborazione attiva e di disobbedienza civile, non sporadiche e non festive, ma interne ai meccanismi di funzionamento quotidiano delle nostre vite (nei luoghi di studio, di lavoro e di rappresentanza politica), potrebbero iniziare a spostare le dinamiche di potere consolidate e oggi apparentemente inattaccabili.

Se tutti noi continueremo in silenzio solo a 'fare il nostro dovere' (di cittadini, lavoratori, elettori, produttori e consumatori) e non inizieremo a boicottare dall'interno il nostro stesso modo di vivere abituale e consolidato, collaboreremo di fatto a ratificarne la fine e ad avanzare ancor più verso cambiamenti non desiderabili ed altamente distruttivi per noi e per il pianeta.

Ci avviciniamo al momento decisivo: se entro quest'anno non si avvieranno processi rigenerativi di questa natura su vasta scala, le democrazie saranno in breve destinate a finire -anche nelle residue forme apparenti- al ferrovecchi della storia.

Perchè le catastrofi (climatica, economica, alimentare, sanitaria) in corso sarà gestita -definitivamente e totalitaristicamente- soltanto dal complesso militar-industrial-finanziario, senza più neppure il ritegno attuale, che ancora consiglia e permette di affidarsi a procedure e rituali formalmente liberali.







sabato 4 giugno 2022

'22 e '23

 

2 GIUGNO 2022

La Festa alla Repubblica la si fa da qualche decennio con una mega-parata militare.

Presidente (uno), Premier (uno) e Ministri (decine), politici (centinaia, di qualunque schieramento), famiglie di militari stipendiati (centinaia di migliaia) e cittadini comuni (milioni) plaudono dai palchi, dalle strade, dalle televisioni, in rete.

Piace a tutti loro, e se ne compiacciono, di essere in pace mostrando la guerra, di esibire la propria potenza per rassicurare e difendere la propria unilaterale sicurezza, di autoesaltarsi come paladini delle missioni di pace nel mondo.

Le frecce tricolori si lanciano nel cielo azzurro e la loro bellezza ci emoziona.

Le fasce tricolori dei sindaci si ergono a testimonial di piccoli paesi e grandi città, tutti uniti per la patria in armi.

Sfilano -nuovi arruolati alla guerra (contro il virus?) - medici ed infermieri, ma anche atleti abili e disabili, protettori civili ed incursori mascherati e restiamo commossi per le loro opere di salvezza e per i loro sacrifici al servizio di tutti noi.

Aggressione e cura si mescolano nella guerra che ci difende, nell'esercito che ci cura, nella violenza che si trasforma in giustizia mediante la legge dello Stato.

Anche mentre facciamo la guerra e proseguiamo a riarmarci e ad armare altri con le nostre armi, anche ora -soprattutto ora- devono mostrare il loro amore per la pace.

Proprio quando prendono decisioni di guerra contro l'opinione maggioritaria del popolo, devono manifestare la loro devozione alla demo-crazia e alla res-publica.

É il momento giusto per crogiolarsi nelle celebrazioni di se stessi, quella quiete apparente che amano chiamare pace.


2 GIUGNO 2023

Il momento delle feste e delle celebrazioni è trascorso.

Siamo in guerra. I nostri soldati (migliaia) combattono in terra straniera, qui suonano gli allarmi e le nostre case vengono quotidianamente bombardate dal cielo.

Moriamo (a decine di migliaia) sotto le bombe o negli scontri armati per le vie devastate.

Il generale Figliuolo e i suoi figliuoli generali ora decidono di che morte dobbiamo morire, dopo aver deciso di quale vita dovevamo vivere.

I politici si sono arresi definitivamente e seguono soltanto le istruzioni dei nuovi esperti di turno.

L'unico loro slogan è sempre lo stesso: siamo in guerra per difendere la pace e la democrazia. E quindi: fidatevi di noi, affidatevi senza protestare, obbedite senza recalcitrare. Siate dei veri patrioti!

Tutto è stato preparato da lungo tempo, ma sembra come avvenuto in un attimo.

Qualcuno aveva provato a manifestare allarme per quel che era accaduto un anno prima, a quella sfilata che si snodava per via dei Fori Imperiali e -mentre parlava di pace- già mostrava e già faceva la guerra.

Ma erano i soliti pacifisti, i soliti scassacazzi, i soliti disertori, i soliti disfattisti, i soliti traditori,i soliti catastrofisti profeti di sventura. Niente e nessuno che valga la pena anche solo di ascoltare.

Ora è troppo tardi: siamo in trappola, come topi: ci aggiriamo nei bunker delle città, mendichiamo cibo dalle campagne, sfolliamo verso di esse, anche se sono state devastate o inquinate dal disastro che le circonda.

Ora non c'è più tempo per pensare o per cercare alternative.

Se qualcuno forse sopravviverà, forse lo farà.

Ora si cerca soltanto di farla franca.

Solo di sfangarla, ancora una volta.






giovedì 2 giugno 2022

oltre il pacifismo e le solite inutili (inutilizzabili) parole

 

La nostra proposta (quella antimilitarista, così come quella decrescente) si scontra contro due muri persistenti e rigidi nelle loro premesse, arroganti e presuntuosi nelle loro posture.

Il primo è quello rappresentato dai nostri avversari, da tempo incorreggibili ed impermeabili ad argomentazioni razionali o proteste politicamente codificate.

Il secondo -più doloroso e inopinato- è quello interno: l'indisponibilità al cambiamento dei nostri stessi alleati (a parole) e compagni di strada (nei cortei).

Proverò qui a descrivere meglio, più in dettaglio seppur brevemente e molto schematicamente , questi assunti:


  1. Il pacifismo non può opporsi alla guerra, ma ne rappresenta da sempre solo la sua foglia di fico. Se vogliamo opporci alla guerra dobbiamo uscire dal pacifismo -aprire un conflitto con esso- ed assumere posizioni antimilitariste e nonviolente: opporsi alla preparazione e alla legittimazione-giustificazione della guerra (produzione-vendita delle armi, patriottismo, diritto alla difesa armata) ed organizzare forme alternative di intervento e gestione nei conflitti (sociali, nazionali ed internazionali); chi non si impegna per questo ma dice di non volere la guerra -ed organizza marce e manifestazioni per la pace quando scoppia- o è un ingenuo (pacifista) oppure è un politico (o un pacifista o un sindacalista) di professione.

  2. Il pacifismo è morto da tempo, insieme alla sinistra tradizionale: quel che resta è soltanto un ripetersi rituale di petizioni (di principio), proteste ritualizzate, manifestazioni autoconsolatorie, convegni autoreferenziali. Vedo lo stesso limite nel movimento per la decrescita: un movimento che non è riuscito a farsi azione diretta nonviolenta per il cambiamento sociale e politico dell'occidente post-industriale.

    La proposta culturale, pur degna e ben argomentata, non basta (se non a chi nutre per essa un interesse meramente intellettuale).

  3. Il pacifismo fallisce anche nel suo proporsi come solidarismo umanitario (finto-vero volontariato, Ong), a supporto delle vittime della guerra. Tanto è ladro chi ruba che chi para il sacco, ricordava Don Milani. Gandhi capì presto che lavorare come portantino della Croce Rossa nella guerra anglo-boera significava collaborare alla guerra.

    La dimensione del servizio e della cura è ormai preda del soft power, attuale forma del dominio maternalista e paternalista post-democratico, come ampiamente dimostrato dalla vicenda pandemica, con la sua 'guerra sanitaria', perfetto preambolo alla guerra in corso.

    La nonviolenza invita alla lotta e alla resistenza come forma dell'amore: se vogliamo davvero amare l'umanità dobbiamo abbandonare i buonismi, gli assistenzialismi pelosi, gli umanitarismi di parte.

  4. Le nostre società sono già dentro la loro catastrofe: essa non è più evitabile o rinviabile.

    Va assunta come prospettiva politica collettiva dentro cui dovremo necessariamente vivere nei prossimi decenni. Questa assunzione non è ancora avvenuta da parte nostra, mentre è già gestita ed agita da coloro che l'hanno prodotta e cercano di trarne ora ulteriore vantaggio, proprio attraverso la deriva emergenziale permanente e la sua militarizzazione-digitalizzazione nella microfisica di vita quotidiana.

    I nostri avversari stanno già realizzando la loro 'pedagogia delle catastrofi' e stanno già ottenendo rapidi ed enormi risultati, illudendo (loro stessi e gran parte di noi) che sarà possibile evitare il disastro se sapremo affidarci a loro ed alle loro soluzioni (tecnologiche, finanziarie, militari) da shock economy .

    Da parte nostra, non siamo stati invece capaci di fare questo passaggio, pur essendo consapevoli da tempo che anche la decrescita, se non fosse stata scelta e gestita con spirito ecologico e lungimiranza, sarebbe stata comunque subìta e violentemente orientata ad un aumento della distruzione e della diseguaglianza, come di fatto sta ormai avvenendo, nella altrui (e soprattutto nostra) assoluta impotenza.

     (Sintesi dell'intervento svolto all'webinar organizzato dal Movimento per la Decrescita, 19.5.22) 

la grande ribellezza





 

Il nostro presidente si prepara alla macabra parata di oggi, 2 giugno -festa della repubblica in armi- con un discorsetto in cui ripudia la guerra (degli altri) e prosegue la guerra (propria).

Il presidente degli Stati Uniti -non soddisfatto della strage di bambini compiuta da un suo giovane cittadino che si aggirava per le strade e le scuole armato sino ai denti- ha deciso di rifornire ulteriormente l'Ucraina di strumenti di morte e distruzione ancora più potenti e sofisticati di quelli consegnati sinora.

Il presidente Zelensky prosegue a far distruggere il suo territorio e a far uccidere e fuggire i suoi amati cittadini.

I nostri capi politici lavorano per l'estinzione del genere umano e per la catastrofe ecologica planetaria, assecondati dalla collusione silente e/o dal consenso manifesto della maggior parte di noi.


Nei giorni scorsi sono stato ospite a Venezia di un nuovo movimento, Extinction Rebellion (in codice: XR).

Ha cominciato a muovere i suoi primi, clamorosi passi in Gran Bretagna, con azioni dirette nonviolente che hanno paralizzato la città di Londra.

Ora cerca di agire e crescere anche in Italia.

Era da tempo che non mi trovavo in una situazione simile: duecento giovani che si sono preparati ad una tre giorni di mobilitazione-sensibilizzazione sul cambiamento climatico in corso, di ribellione contro l'estinzione.

Siamo passati da un'Assemblea degli esseri viventi davanti al Municipio ad azioni contro le pubblicità consumiste, da sciami temporanei che infastidivano il traffico ai semafori a blocchi continuativi di strade ad alta densità di traffico,per concludersi per i fragili rii e gli antichi ponti di Venezia con un corteo coloratissimo e potentemente animato da urla disperate, canti gioiosi e inquietanti tamburi.

Persone giovani (fosse anche solo nell'animo) che vogliono vivere e lottare, che non si rassegnano al silenzio e alla menzogna, che esprimono consapevolezza della catastrofe e non vogliono sottostare passivamente alla violenza di chi ci domina e -senza ammetterlo- ci toglie la vita e collabora attivamente alla morte della vita sul pianeta Terra.

Li ho sentiti molto vicini nella loro 'ribellezza': per la loro sensibilità ecologica, per la capacità di integrare teoria e pratica della nonviolenza, per i loro modi -puntuali, semplici, seri e giocosi- di organizzarsi e di agire insieme.

Come se rappresentassero un'altra specie rispetto ai nostri politici ed ai nostri presidenti.

E non solo per gli obiettivi dichiarati, ma soprattutto per le loro forme ed i loro movimenti.

Un germe di nuova umanità che ci ricorda la necessità di restare umani e anche di non essere più soltanto umani, ma parte di una rete di relazioni viventi ed interdipendenti, di un pluriverso essenzialmente unito da un unico soffio di vita.

Da buon catastrofista quale sono non posso nutrire molte speranze sulla permeabilità dei nostri sistemi di vita e sulla modificabilità a breve termine delle nostre premesse e cornici.

Ma questi esseri giovani in movimento ci ricordano che esistono ancora delle possibilità alternative di essere e sentirsi vivi nell'impero della guerra e della morte che ci attornia.

E' per questo che -pur obbligati ad attraversare la catastrofe- seminano e resistono oggi, manifestando la forza ed il senso di un agire nonviol'anarchico, attraverso la vulnerabilità e la paura dei loro corpi, verso un altrove ignoto ed illudetico che comunque intravvediamo nei cieli foschi dell'oggi.

Come non innamorarsene?