venerdì 29 gennaio 2016

la volontà d'impotenza

Si torna alla realtà italiana e mondiale e niente è cambiato, se non -ineluttabilmente- in peggio.

I nazistini.
Nei giorni in cui si commemora la Shoah, i nuovi nazisti in doppiopetto continuano a far morire la gente in naufragi disperati. Se riescono ad arrivare a terra, fanno di tutto per non accoglierli. E, se proprio lo devono fare, li internano e poi li respingono in massa, o li costringono alla clandestinità.
La Danimarca confisca i loro beni, la Svezia ne espellerà 80.000, la Grecia acchiappa tutto ma viene minacciata di essere a sua volta espulsa da Schengen.
Schengen, già. Intanto naufraga anch'essa.

I persiani.
Ciro e Dario ed Artaserse, un tempo, avevano provato a prendersi l'Ellade e la civiltà greca.
Ora c'è Rohani, l'Iran diventato buono, la Persia di Persepoli che viene qui a comprare le nostre auto e i nostri beni di consumo, in cambio di energia e petrolio e lotta all'Isis.
Ci dominano talmente tanto, ormai, questi petrolieri d'oriente, che pensiamo bene di nascondergli le tette di Venere o il culo di Apollo.
Preferiamo attaccarci alle loro mammelle e farci fare il culo da loro, pare.

I verdini.
Renzi continua a far quel che vuole, se ne frega delle fronde interne e continua a costruire il suo progetto di trasformazione definitiva del quadro politico nazionale.
Un PD che va verso il centro destra, e che fa scomparire quei residui di parvenza di sinistra che ancora baluginavano al suo interno.
L'alleanza con Verdini ( e con il malaffare bancario) si fa strutturale, e lo protegge sia da Alfano (che non conta nulla, come dimostra l'iter sulle unioni civili), sia da Berlusconi (che non conta nulla, come dimostra l'ascesa della Lega), sia di Grillo (che non conta nulla, come dimostra la totale irrilevanza della sua opposizione).

I cretini.
Troppi per poterli citare o raccontare.

Di questi tempi ci sarebbe da rileggere La Bòetie e Tolstoj...
Il peggio di questa situazione è che i ricchi e i poveri si rendono conto della follia di questa esistenza...Ma né gli uni né gli altri vedono alcuna possibilità di cambiare la loro situazione attuale,...avendo tutti coscienza dell'aggravamento progressivo della loro posizione.
A questi mali interiori si aggiunge il proseguimento di una lotta intensa e continua tra gli stati, che assorbe la maggior parte del lavoro nazionale al fine di occuparsi dell'esercito, provvedere alle spese di guerra...In questo momento, noi sappiamo che gli armamenti e le guerre sono insensati, funesti, portano alla rovina materiale e alla decadenza morale, eppure noi continuiamo a sacrificare per essi la nostra vita e il nostro lavoro.
Tutto noi sappiamo che ciò non dovrebbe esistere e che si potrebbe evitare, e tuttavia continuiamo a peggiorare il male. Questa coscienza di una vita contraria all'interesse, alla ragione, ai voti di ciascuno di noi, diventa a un certo punto così atroce che i più generosi tra gli uomini, il cui numero si accresce sempre più, non vedono altro mezzo di fronte a questo vicolo cieco che il suicidio.
Altri ancora soffrono ugualmente della contraddizioni tra le loro aspirazioni morali e la realtà, cercando di scappare da questa condizione con un suicidio parziale: l'abbrutimento con il tabacco, il vino, le droghe.
Altri ancora cercano di dimenticare, di cadere nell'oblio, aggiungendo ai narcotici piaceri eccitanti o sbalorditivi: spettacoli, speculazioni intellettuali su delle questioni oziose, alle quali donano il nome di scienza o arte.
Infine, l'immensa maggioranza, schiacciata dal lavoro, si abbrutisce ugualmente attraverso dei narcotici, che sono forniti dai loro sfruttatori, e conduce un'esistenza bestiale; tutti sentono il carattere anormale della loro situazione, ma la maggioranza degli uomini non ha il tempo libero per rifletterci sopra, impedita com'è dalle sue preoccupazioni quotidiane.
E' così che vivono e muoiono ricchi e poveri, generazioni dopo generazioni, senza domandarsi perchè hanno vissuto la loro esistenza dolorosa e stupida, o meglio, essi intravedono vagamente l'orribile e crudele errore che fu la loro vita.


Perchè i giapponesi sono per loro natura più indifferenti di fronte alla morte.
Perchè il patriottismo guerriero esiste ancora in tutta la sua forza primitiva negli insulari asiatici.
Perchè, sottomettendosi servilmente all'autorità dispotica di un imperatore divinizzato, la loro energia alberga ben concentrata e più unita di quella dei popoli che hanno superato la fase della sottomissione servile.
In una parola, il grande vantaggio dei giapponesi è quello di non essere cristiani.

In epoca più recente è sorto ancora un altro inganno che ha riconfermato i popoli nella loro condizione servile. Ed esso si manifesta attraverso un complesso sistema di elezione, dove degli uomini eletti da un dato popolo, divengono delegati entro le varie istituzioni rappresentative...Il popolo stesso sarà allora una delle cause del potere del governo, e pertanto, obbedendo ad esso, crederà in effetti di obbedire a sé medesimo, supponendo quindi di vivere in un regime di libertà...
Gli uomini che si imbattono in questa trappola s'immaginano davvero di obbedire a se stessi ogni volta che ascoltano il governo, e perciò non osano più disobbedire ai provvedimenti del potere degli uomini, anche quando tali provvedimenti sono contrari ai loro gusti personali, al loro vantaggio, ai loro desideri, ma altresì alla legge suprema e alla loro stessa coscienza...
Gli uomini degli stati costituzionali, immaginandosi di essere liberi, ...finiscono per non sapere nemmeno più in cosa consista l'autentica libertà. Questi individui, mentre credono di liberare se stessi, si condannano a divenire sempre più profondamente schiavi dei loro governi.

La sola giustificazione che si potrebbe offrire in favore dell'accrescimento degli stati è quella della formazione di un impero universale, il quale abolirebbe la possibilità di qualsiasi guerra.
Tuttavia, tutti i tentativi fatti in questo senso..., non hanno mai donato la pace ai popoli, ma al contrario hanno causato solo gravi mali.
La pacificazione dell'umanità non sarà quindi realizzata con l'accrescimento della potenza degli stati. Essa non può che avvenire per un'azione contraria: abolizione dello stato e della sua autorità basata sulla violenza.
La superstizione statalista continua a regnare sugli uomini come una cosa sacrosanta e dei sacrifici più funesti e terribili ancora continuano ad essere praticati per questa superstizione.
Ma solo il giorno in cui dispariranno i gruppi artificiali dei grandi stati, conseguenza del rifiuto pacifico di obbedire, la violenza, causa dei più grandi mali, diminuirà...

(Lev Tolstoj, Guerra e rivoluzione, 1906)

Pare che le ultime parole di Tolstoj sul letto di morte alla stazione di Astapovo siano state:
'Svignarsela! Bisogna svignarsela!'  e poi  'La verità...io amo tanto...come loro...'.





giovedì 28 gennaio 2016

falso movimento

Qualche tempo fa mi è stato richiesto un articolo dedicato al 'movimento' su una nuova rivista della mia Università. Ho scritto questo, ma per una rivista accademica con tanto di referaggio non va bene.
Mi è stato consigliato amorevolmente di pubblicarlo qui, sul blog.
Lo faccio.



  1. SAPERE

Sin dai tempi antichi il movimento è stato una delle dimensioni del pensare.
Si racconta che Talete camminasse guardando il cielo, e cadesse nel pozzo.
Che Diogene si muovesse per le vie della città, cercando l'uomo.
Si sa che il Peripato e la Stoa sono stati i luoghi del muoversi e del conoscere insieme, per eccellenza.
Ed anche l'Accademia platonica non assomigliava certo alla nostra: non aveva molto di 'accademico', insomma. (1)

Tutti i manuali di pedagogia, didattica e psicologia cognitiva ci indicano il meth-odos (la via, il percorso) migliore per educare, insegnare ed apprendere: l'esperienza riflessiva del corpo.
Di un corpo-mente che si muove, tocca, sente, connette, gioca.
E che, nel fare, pensa.
'La cognizione, perfino in quelle che sembrano le sue espressioni di livello più alto, è fondata sull'attività concreta dell'intero organismo, cioè sull'accoppiamento senso-motorio. Il mondo non è qualcosa che ci è 'dato', ma è qualcosa a cui prendiamo parte per mezzo di come ci muoviamo, tocchiamo, respiriamo e mangiamo...Questo è ciò che chiamo 'cognizione come enazione'...Essa mette in risalto due punti che spiegano meglio cosa intendo con la parola 'incorpato':
1. la cognizione dipende dai tipi di esperienza che derivano dall'avere un corpo con varie capacità senso-motorie; 2. queste capacità senso-motorie individuali sono esse stesse incastonate in un contesto culturale e biologico più ampio. (2)

Noi sappiamo tutto questo, e sappiamo che è vero.
Ma viviamo l'esperienza del sapere in tutt'altro modo.
Abbiamo strutturato la scuola e l'Università in ambienti statici, rigidi, artificiali.
Il sapere viene trasmesso, perlopiù verbalmente o per immagini, ma quasi mai esperito.
I corpi sono segregati, controllati, disciplinati, separati in sé e tra loro.
Tanto più in un mondo sempre più irretito da scambi e connessioni virtuali, chiusi in casa o nei propri video, da fermi.
Il movimento, il gioco sono ridotti ad ora d'aria, a ricreazione. (3)

Non possiamo stupirci che chi esce da questi luoghi si ricordi poco di quel che ha fatto.
Conosca poco, e pensi ancor meno.
La cultura o si incorpora o non è.
Quel che noi creiamo quotidianamente nel nostro lavoro è soltanto una patina superficiale di nozioni abbarbicate su un corpo estraneo e assente, che non sa come e dove muoversi, e soprattutto perchè.
La vita della mente è piatta, e -se dà segni di vita- va e guarda altrove.
Il nostro mondo, infatti, è tecnicamente e funzionalmente evoluto, come non mai.
Ma la sua est-etica è fragile, succuba, incerta, morente. (4)








2. VIAGGIARE

Viaggiare è l'altro fondamentale movimento della (mia) vita.
Molto è stato già scritto sul senso del muoversi nel mondo, del conoscere altre culture, suoni, lingue, odori.
Dell'entrare a contatto con l'Altro, dell'in-contrarsi: questa combinazione sublime che ci chiama ad avvicinare quel che non siamo, ad entrare in contatto con il diverso, ma anche ad andarci addosso, a scontrarci, per cambiare. (5)
Divergenza e divertimento non hanno a caso la stessa radice.
La varietà è da sempre uno dei fulcri del nostro piacere di vivere. (6)
E, per poter più facilmente differire e variare le forme della nostra vita, possiamo viaggiare.

Camminare a piedi, a lungo.
In passato era quasi un obbligo, in assenza di altri mezzi, per quasi tutti.
Poi è diventata una volontaria penitenza, un rituale di socializzazione ed incontro: i pellegrinaggi, i cammini religiosi stanno a riprova e ricordo di tutto questo.
Ma anche persisteva l'esaltazione del camminare nella natura, del rinvigorirsi l'anima attraverso il moto del corpo, vivente tra i viventi. (7)
O il lungo viaggiare in carrozza, da una nazione all'altra d'Europa, aristocraticamente assisi sul cocchio, a raccontare i panorami e i paesaggi, descrivendo costumi e persone, godendosi le soste.
Non si potrebbero capire la storia, la cultura, l'arte dei moderni senza il viaggio.
Il viaggiare ha tracciato il movimento della modernità, la sua novità e peculiarità, almeno quanto
la costituzione degli Stati e l'industrializzazione.

Ma il viaggiare, l'esplorare, il conoscere attraverso il movimento dei corpi non hanno servito soltanto il trasporto dei cuori e delle menti.
Da sempre sono stati connessi anche alla colonizzazione dell'Altro.
Il paradossimoro del viaggio sta proprio qui: amare la differenza, la varietà, la scoperta del nuovo da un lato, ma anche tendere ad omologarlo, a riportarlo a sé, a sedurlo, a conquistarlo. (8)

Oggi, da viaggiatore impenitente quale sono, soffro per almeno tre motivi:
  • perchè, per spostarmi, devo passare molto tempo in 'non luoghi' senza senso (aeroporti e stazioni, soprattutto);
  • perchè, quando arrivo nei luoghi, in particolare nelle città, trovo ormai quasi sempre le stesse vetrine, gli stessi luoghi e loghi, le stesse immagini già viste in rete, gli stessi standard di vita e di consumo.
Sembra talvolta, e con sconforto, di non poter più immaginare sulla di nuovo, e di essersi mossi inutilmente.
Il turismo di massa, infatti, è una piovra che continuamente ti avvolge nelle spire e un vero viaggiatore, per quanto accorto e resistente, ne soffre sempre più.
La globalizzazione ha facilitato i movimenti, ma è nemica del viaggiare. (9)

Il terzo motivo è più recente e non è altro che la conseguenza terribile di quel che ho appena detto.
Soffro perchè, di giorno in giorno, si riducono sempre più i paesi in cui è possibile, salutare, igienico, viaggiare. Il terrorismo globale e le guerre stanno rendendo il viaggiare un'attività a rischio.
Ed anche là dove non si muovono guerriglia ed eserciti, senti che il risentimento è crescente verso te che viaggi dall'occidente.
E non può che essere così, capisci tutto, continui a muoverti. Ma ne soffri.





  1. AGIRE

Non ho mai creduto nei partiti, ma solo nei movimenti.
Ho trascorso vari decenni della mia vita a creare, organizzare, animare e far agire 'movimenti'.
Il movimento è stato sempre per me sinonimo di politica.
Il resto di quel che si fa chiamare politica mi interessa, lo seguo sui giornali o alla tv.
Ma non fa parte di me, e non ne faccio parte.
I suoi movimenti mi sembrano solo apparenti, il loro gioco si mostra sempre uguale: l'occupazione del potere.
Il potere, invece, per me è sempre stato un gioco da diffondere, da distribuire, da disoccupare.
Non ne ho mai avuto paura, non l'ho mai negato o rimosso.
Dove c'è comunicazione e relazione lì c'è potere. E conflitto, e lotta. (10)
Ho sempre cercato di usare il mio potere e di aiutare gli altri a farlo.
Per questo ho sempre amato la formazione: per imparare a mettersi in gioco, ad agire, a stare in movimento. (11)

Ho pensato e creduto per molti anni che -anche con il mio contributo attivo- la politica si sarebbe mossa verso qualcosa di meglio. Ho creduto alla possibilità nonviolenta di 'democratizzare la democrazia'. Devo ammettere ora che, malgrado gli sforzi e l'impegno miei e altrui, ce ne siamo allontanati: il movimento è stato inverso alle nostre aspettative.
La politica -per come l'ho sempre intesa- non c'è più e quel che è arrivato al suo posto è qualcosa che non le assomiglia, se non per il nome.
Negli ultimi anni, il mio modo -paradossale, l'ammetto- per andare controcorrente, per proseguire a sentirmi in movimento, è stato quello di 'fare il morto'. (12)
Come si fa quando è in corso una sparatoria o un azione terroristica, fingo di essere morto e resto -pur vivo e per restare vivo- più immobile che posso.
Se mi muovessi, mi presentassi e mi esibissi al mondo, finirei nelle sue fauci e sarei finito.

Oggi, per me, l'unico movimento possibile è quello di declinare.
Di declinare gli inviti, gli impegni, le responsabilità.
Di accettare il declino, mio e della nostra prospettiva -ingloriosamente tramontante- di civilizzazione.
Ed in questo, proprio nel declinare attivamente e transitivamente, di provare a ritrovare il senso del vivere, del muoversi, dell'andare (non necessariamente avanti).
Cosa ne è, e ne sarà, del movimento in una 'società della decrescita e della stanchezza' ? (13)
Questa è la domanda che mi faccio da qualche tempo, e che vi faccio qui.
















NOTE
  1. P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, Torino, 1988
  2. F. Varela, Un know-how per l'etica, Laterza, Bari, 1992, cap, 2, passim
A.R. Damasio, L'errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano, 1995
H. Maturana-X.Davila, Emozioni e linguaggio in educazione e politica, Elèuthera, Milano, 2006
  1. M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 2014
R. Massa, Le tecniche e i corpi, Unicopli, Milano, 1986
R. Curcio, L'impero virtuale. Colonizzazione dell'immaginario e controllo sociale, Sensibili
alle foglie, Roma, 2015
  1. H. Arendt, La vita della mente, Il Mulino, Bologna, 1987
  2. M. de Certeau, Mai senza l'altro. Viaggio nella differenza, Qiqajon, Vercelli, 1993
M. Aime, Eccessi di culture, Einaudi, Torino, 2004
  1. G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, Mondadori, Milano, 1972
  2. H.D. Thoreau, Camminare, SE, Milano, 1989
  3. T. Todorov, La conquista dell'America. Il problema dell' 'altro', Einaudi, Torino, 1984
  4. M. Augè, Nonluoghi, Elèuthera, Milano, 2009
V. Codeluppi, Lo spettacolo della merce, Bompiani, Milano, 2000
  1. G. Sharp, Politica dell'azione nonviolenta (3 voll.), EGA, Torino, 1985
  2. E, Euli, I dilemmi (diletti) del gioco, la meridiana, Molfetta, 2004
  3. E. Euli, Fare il morto. Vecchi e nuovi giochi di renitenza, di prossima pubblicazione
  4. S. Latouche, La scommessa della decrescita, Feltrinelli, Milano, 2007
B. C. Han, La società della stanchezza, Nottetempo, Roma, 2012
M. Benasayag-G.Schmit, L'epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2004














(non) li vidi tornare...

Ciao amore ciao, di Luigi Tenco, aveva avuto vari anni prima una versione con la stessa musica, ma un diverso testo: si intitolava Li vidi tornare.

Riprendo le mie insane abitudini da giardinetto.
4 verticale: tentato o dimostrato. Provato.
Una buona sintesi per questo viaggio.
Abbiamo tentato, ci siamo messi alla prova, siamo stati provati, abbiamo sperimentato.
Ci sentiamo provati, abbiamo dimostrato qualcosa a noi stessi, ci siamo tentati.

Nel viaggio: ho smesso di mangiarmi le unghie, ho smesso di leggere libri.
Ho scritto il blog, ho fatto qualche parola crociata, ma quasi sempre solo in compagnia.
Sono stato solo quasi soltanto nel sonno. Forse.
Ho ripreso a cantare.

Alla partenza, qualche difficoltà a partire: non riconoscevano i due biglietti.
Uno era prenotato da Viviana Forte, uno da Forte Viviana.
Un viaggio disgrafico, sempre un po' incerto e pieno di imprevisti, ma forte.
Non accadevano molte delle cose più previste, ma ne accadevano altre, spesso proprio a partire da quel che sembrava non funzionare secondo previsione.

Durante il nostro peregrinare su ciottoli, sabbie e lava: enormi e fantasiose ragnatele che univano muretti a foglie, rami a pali della luce, altezze ad abissi, visibile ad invisibile.
E cani di ogni foggia e pelo, tutti randagi e bastardissimi, flemmatici e abbandonati sulla terra, in mezzo alla strada, quasi sempre addormentati, affamati e tranquilli.
E piccole farfalle gialle e violette. E pesciolini nelle piscinette di mare a Paùl.
E granchietti tra gli anfratti a Mosteiros.
Un corvo nerissimo che gracchia sul cratere nel Cha.
Gatti che lottano per i resti della mia serra grelhada a Porto Novo.
Una blatta sul collo al ristorante di Remo.

Al rientro, i bagagli che non ritornano con noi.
Che restano sull'isola di Fogo, e poi viaggiano senza di noi verso l'Europa.
Ovviamente, la promessa capoverdiana non si realizza: non sono arrivati a casa di Vivi, e neppure a Fiumicino, ma a Ciampino. Non sono automaticamente sdoganabili, si dovrà andare lì ed aprirli in presenza. Poi forse ce li ridaranno e torneranno a noi. Ma non sono tornati con noi.
Si sono nascosti, si sono rifiutati di riandare qui, se ne stanno ancora lontani.
Non vogliono essere riaperti, vogliono restare chiusi, protetti, intatti.
Come non capirli ?




lunedì 25 gennaio 2016

leggeri leggeri, praticamente in mutande...

Ultimo giorno di viaggio, il dengoso Eulik si lamenta di tutto fuorchè della colazione regale preparata da Christine, un raggio di sole nella steppa mosteirosa.
Si appresta a vivere l'ennesima giornata da cicisbeo capoverdiano, senza arte né parte.
Come sempre le fini sono sdrucciolevoli, ma i due affrontano l'erta sino agli scogli alti battuti da onde cicloniche e ciclopiche.

Il momento delle valigie ci ricorda che siamo alla resa dei conti, abbiamo raccolto in due settimane almeno un kilo di conchiglie, pietre laviche, bottigliette di grog e Strela, regali. Il tutto viene condiviso e ripartito meticolosamente tra i due bagagli nei quali riponiamo anche la roba pesante in attesa di indossarla appena giunti sul freddo suolo europeo. Arriviamo con anticipo all'aeroporto di Sao Filipe, accompagnati dai due figli gemelli di Christine, non prima di aver consegnato un regalo ad una parente proveniente dall'America, di aver imbarcato l'ennesima amica autostoppista e di essersi fermati a mangiare pork's chops alla festa paesana di non sappiamo più dove.

Ovviamente per la terza volta in questo viaggio rincontriamo il gruppo dei francesi e insieme a loro consegniamo i bagagli al check-in per un breve volo Fogo-Praia di 30 minuti. Tutto fila liscio come l'olio sino all'arrivo, quando scopriamo che, per motivi a noi e forse a chiunque sconosciuti, nessuna valigia è stata imbarcata sull'aereo e che il prossimo sarà soltanto domani mattina. Vivi guarda Eulik e ride, capendo che dovrà affrontare l'inverno italiano vestito con bermuda brasiliani e maglietta. Allo sportello dei reclami l'impiegato ci garantisce- capoverdianamente- che i nostri bagagli arriveranno a Roma entro 3 giorni al più tardi. Sinceramente, c'è da dubitarne ma ci affidiamo alla Madonna dell'Ayuda avvolta nella lava in una cripta dell'orribile omonima chiesa.

Mio padre gestisce una pizzeria a Praia e ci viene a prendere all'aeroporto per trascorrere assieme le 5 ore che mancano al volo successivo. Passiamo per casa sua e mi fa un certo effetto vedere Enri con i pantaloni e la maglietta giallo canarino prestati da papà Remo. Ma mi ha fatto ancora più effetto vedere mio padre 65enne, separato da 27 anni da mia madre, arrivare a tavola con Joseline bella ventenne nera capoverdiana con cui convive da qualche tempo. Non è l'unico nel ristorante, anzi: molti tavoli sono occupati da coppie di questo tipo ed hanno dinamiche molto simili tra loro. E' difficile capire cosa possano condividere se non il denaro, il mangiare, il sesso; infatti non ci sembra che il dialogo fiocchi e neppure gli sguardi.

L'aeroporto di Praia ci accoglie nel solito bordello di carrelli, ingorghi di corpi, buste di fagioli appena raccolti, opere d'arte 4x4, culi ingombrantissimi e vestiari improbabili (Enri ama questo luogo, oltre che per i culi in esposizione, anche perchè è uno dei pochi posti al mondo in cui lui può sentirsi sobrio ed elegante nel vestire). Vivi si diverte, a volte imbarazzata per le battute super osè di Enri, partecipando al gioco dei commenti incrociati e restando sempre un po' stupita del caos calmo che l'avvolge. Partiamo leggeri visto che i bagagli si sono volatilizzati nel cielo di Fogo, ma la nostra digestione vacilla alle prese con la cachupa fresca (pur buonissima) e la tàrtare de atum.

Ora siamo sull'aereo da Lisbona che ci riporta in patria, mezzo addormentati dopo una notte sul primo volo, partito all'1.30. Dopo due settimane abbiamo rivisto la pioggia e, vestiti forzatamente alla marinara come siamo, sentiamo anche un po' di frescolino. Pare che a Roma ci siano 3 gradi e non sappiamo ancora come il nostro corpo reagirà allo sbalzo. Il salto non è piccolo e non solo rispetto al clima. Dovremo impegnarci alquanto per tornare alla solita vita. Siamo partiti pesanti e torniamo più leggeri in vari sensi, con meno pensieri e nessuna valigia. Ci sarà sempre tempo per riandare a prenderli. Ci restano negli occhi e nelle gambe le stradine di Santo Antao, l'ascesa e la discesa del vulcano, i flussi ondosi e imprevedibili dell'oceano, le decine di situazioni strampalate che ci hanno allietato e sorpreso nel corso di questo breve ma intenso viaggiare insieme.


PS. Ennesima sorpresa di questo viaggio: il volo per Cagliari è stato soppresso per sciopero e sono in lista d'attesa per quello dopo. Non so che dire, avrei solo tanta voglia di un letto...

sabato 23 gennaio 2016

le discese ardite e le risalite


Siamo partiti all'alba con Ceciliu. Mentre iniziamo a dirigerci verso il Pico Grande, lui si dichiara figlio del vulcano e spiega, indicandola col dito e sbattendo i piedi, che la parola Chã vuol dire Terra. E' nato qui nella caldeira e non se n'è mai voluto andare, se non per poco, neppure dopo le due eruzioni avvenute durante la sua vita (1995 e 2014). La sua cooperativa vinicola è chiusa, il vino è rimasto sepolto sotto la lava ma altri continuano a produrlo nelle vigne superstiti o in quelle che sono state ripiantate. Man mano che saliamo ci mostra fiero i meleti, i fichi, i fagioli, i melograni e ci ha fatto odorare cidrella, lavanda vulcanica e una piccola pianta da cui si ricava il vermuth. Il sole resta coperto quasi sino all'ultimo, ma l'ascesa è stata comunque molto dura e lunga per noi, 1.100 metri di dislivello in 3 ore e mezza. In vari momenti ci siamo affidati più alle braccia che alle gambe e Ceciliu rallentava dicendo “todo bien?” e ci aspettava. Ma alla fine stringendo i denti siamo arrivati all'immenso cratere centrale a 2860 metri ed abbiamo potuto ammirare dall'alto i fiumi di lava che hanno avvolto i villaggi, Enrico ha subito aperto il suo pacchetto di patatine rustiche per riprendere sali ed ha offerto qualche taralluccio (rubato all'aeroporto di Elmas) all'imperturbabile Ceciliu le cui energie sembravano ancora quelle di inizio giornata. Ma ci aveva riservato una sorpresa per il ritorno: siamo discesi dal vulcano sciando e saltellando come bambini su un piano inclinatissimo e immergendo i nostri piedi nella lava soffice e leggera per un kilometro almeno. Alla fine Enrico aveva entrambe le scarpe aperte da vero pagliaccio, mentre Viviana si era trasformato in uno slittino umano. Non è roba da tutti i giorni ed è stato uno dei momenti più divertenti ed inaspettati di questo viaggio. Giunti alle pendici del vulcano ci siamo seduti e abbiamo svuotato le scarpe, le calze, i risvolti dei calzoni che avevano raccolto tantissimi frammenti e pietroline che pesavano sul nostro cammino almeno quanto le pietre che avevano nel frattempo già raccolto negli zaini come ricordo di questi luoghi così neri e lucenti.

Non ci sono strade dirette che da Chã des Caldeiras portano in auto a Mosteiros, ma pur di raggiungerla paghiamo un po' salato un aluguer solo per noi, rosso fiammante; lo guida un giovane ragazzo che alterna velocità folli quando corre sui sampietrini e sugli sterrati e invece, rallenta inopinatamente prudente nei rari tratti di asfalto che forse trova infidi e sdrucciolevoli. In alcuni momenti Viviana non può fare a meno di schizzare sul sedile e chiedere di andare più piano, soprattutto quando incrociamo altre vetture nel senso opposto in una strada sempre stretta e senza protezioni, mentre sotto si succedono abissi di mare e lava. I nostri scheletri arrivano piuttosto tesi alla accogliente Pensao Christine che ci appare come un miraggio.

Mosteiros è apparentemente un villaggio fantasma, poco illuminato e con pochissima gente per strada. Ci affidiamo ad una signora al distributore della Shell per capire dove andare a cenare e, come sempre accade anche nei luoghi più sperduti, riusciamo anche stavolta a mangiare le nostre patelle in guazzetto, pesce serra grelhada e bife de atum. Enrico vaneggia per la stanchezza e ci dirigiamo a letto barcollanti, anche a causa delle locali birrette tracannate. Sentiamo che Mosteiros può essere il luogo giusto per concludere questo viaggio in tranquillità. La luna è piena e il mare mugghiante si fa sentire della nostra finestra con forza e senza fine.

Ora che scriviamo, anche la giornata di oggi è trascorsa nel dolce far nulla; Enri si è dovuto ricomprare delle scarpe nuove dai cinesi e si è cimentato in un ardito confronto in chiesa con un Gesù baffuto.

Ma il momento centrale è stato alle 15.30 quando la dolce cameriera di Christine ci ha annunciato sorridente che era finalmente pronta la cachupa fresca, il più importante piatto della cucina capoverdiana, da noi lungamente atteso e non ancora assaporato. Non si può dire che sia un piatto leggero ma è veramente gustoso: una sorta di stufato di carne frollata di capretto, fagioli e mais. La serata si è conclusa con una lunga passeggiata sul lungomare (le onde erano sempre più lunghe e scroscianti nella risacca) e un'ottima vellutata di zucca, carote e patate.




Domani questa pace finirà e ci ritroveremo come star ad attraversare 4 o 5 aeroporti in 24 ore per tornare a casa. Ci volete ancora? 





venerdì 22 gennaio 2016

una giornata particolare (in onore di ettore scola)

La giornata inizia alle 4.45, zio Paulo è al piano di sotto e ci apre la porta della Pensao in vestaglia, attendiamo l'aluguer di un certo Paulinho per le 5.00, ma alle 5.15 non si vede. Spunta però un furgoncino inatteso che inizia a lampeggiare e clacsonare nella notte. Enri scopre che anche loro vanno al porto di Furna e ci prendono. Zio Paulo sulla porta ci guarda, saluta e sorride compiaciuto come se tutto fosse andato come previsto.

Ore 6.00 parte il FastFerry Kriola ancora una volta verso Fogo; a differenza di avant'ieri il mare è grosso e il beccheggio non perdona. Dopo 10 minuti Enri e buona parte della truppa sono attaccati alle bustine colorate e vomitano senza tregua, in sottofondo musica pop di Enrique Iglesias che contribuiscono ulteriormente alla nausea galoppante. Giungiamo un pò malridotti al molo dove dovrebbe attenderci con il foglietto “Viviana” Elias per accompagnarci a Chã des Caldeiras. Ovviamente non c'è. Lo chiamiamo e ci raggiunge un quarto d'ora dopo per informarci che la partenza da Sao Filipe non potrà avvenire prima delle 11. O forse alle 12 o alle 13. Si conferma così la tipica precisione organizzativa nei trasporti capoverdiani.

Una buona colazione con quejio, banane, sumo, thè caldo, marmellata di papaya, pane fresco ci rifocilla a dovere. Ma tra stanchezza e caldo ci rifugiamo dopo alcuni giretti su una panchina all'ombra. Una signora mi offre una sedia mentre mi diletto a ritrarre Enri in posa triclinata, a metà tra un romano decadente e un adolescente efebico in vena di scherzi. Come per miracolo si concretizza il pick-up dopo le 11; pensiamo che il peggio sia passato, ci mettono anche davanti e le valigie stanno comodamente sul retro. Siamo in 6, tutti dentro. L'autista da quel momento inizia una gimcana per i labirinti di Sao Filipe raccogliendo oggetti, merci, persone e anche una coppia con neonato e Enri vince un cartone aperto con 30 uova da portare in grembo sino alla meta. Ovvero 25 kilometri di curve e salite che il pick-up affronta a stento portando con sé a questo punto ben 15 esseri umani. Enri inspirato intona canzoni di chiesa “ e mio fratello viene con me e mia sorella viene con me e tutta la gente viene con me”.

Sovrastati dalla maestosità del vulcano Pico, accediamo all' immenso periplo della caldeira, in parte intatta, ma perlopiù sommersa da fiumi di lava contorta, nera e rilucente. Da qui entriamo in uno scenario lunare affascinante, se non sapessimo che sotto di esso giacciono duemila case e vitigni e orti sepolti nell'ultima eruzione del 2014. Il bordo della caldeira sembra infinito e lo costeggiamo su una strada ricavata tra colline e torrenti di lava ormai rappresa e dalle mille forme (curve, sinuose, appuntite, tortuose). Ancora qualche contadino superstite vive circondato dalla lava e cerca di far rinascere piante e luoghi: alte e rossissime stelle di natale ingentiliscono gli ingressi e illuminano un panorama altrimenti monocromo.

Dopo almeno un'ora dall'ingresso nella caldeira arriviamo in quel che resta del piccolo villaggio di Portela. Ilena, Ceciliu, la nonna e un bambino ci accolgono nella loro casa con due stanzette che hanno coraggiosamente predisposto per i pochi ospiti. Pranziamo frugalmente nel mini merca do con una forma di quejio di capra fresco ed omelette con cipolla e pomodoro, gallette dolciastre e succo di pera. Al rientro Ceciliu ci propone un'escursione alle 6.30 sul Pico Grande e aderiamo entusiasti pensando ad un'escursione notturna sul vulcano. Andiamo a dormire per riprendere energie fissando la sveglia alle 17.30. Fa freschetto qui e ci avvolgiamo nella coperta di ciniglia marrone,io mi addormento quasi subito, serena e beata. Al risveglio organizziamo gli zainetti, impugniamo la pila da esploratori, ci copriamo ben bene pronti ad affrontare l'alta cima nel buio della notte accompagnati dalla luna quasi piena. Ma anche questa volta non ci eravamo capiti: Ceciliu ci guarda stranito e chiarisce che le 6.30 saranno quelle di domani mattina e che per stasera l'unica avventura prevista è la cena con carne di porco e riso con favette. Ci consoliamo con una breve passeggiata al tramonto verso l'altro villaggio vicino, Bargueira, percorrendo un sentiero costellato da forme laviche ancora più stagliate contro il cielo e dalla forme creative ed inquietanti.


Scende la notte (ma che fa...)
                   
Vivi, Viva, Viv, Vi





mercoledì 20 gennaio 2016

vite sottovento

Notte ventosissima e insonne a Mindelo, sveglia alle 6 e via verso l'aeroporto Cesària Evora.
Un ATR all'alba, sino all'aeroporto Nelson Mandela di Praia, qui si transita verso l'isola di Fogo, con lo stesso aereo, ma con una sequenza di passaggi insensati tra un volo e l'altro, in perfetto stile capoverdiano.
L'idea di organizzazione è solo una promessa e un vago ricordo, qui.
Il tutto ci fa molto ridere, stanchi come siamo.
Ma, a viverci, non dev'essere sempre piacevole.

Sao Filipe, il capoluogo, ci accoglie bene.
Le case sono colorate, il mercato è animato quanto basta, il museo delle tradizioni popolari è ben curato. Un caldo asfissiante, però.
Giriamo nella baixa (parte bassa, abitata in passato dai ricchi e ancora oggi punteggiata dai sobrados, case padronali a due piani, con patio e giardino interno), e poi verso la praia, spiaggia lunga e ampia, nerissima. Onde possenti, vento forte, solo l'isoletta di Brava dinanzi, offuscata dalle nuvole, e tre scoglietti. Dopo, a ovest, solo l'America.

E proprio a Brava vogliamo arrivare. Il porto è lontano dalla città, abbastanza spettrale.
Non perdiamo il buonumore e il traghetto arriva puntuale e non ci tradisce.
Si parte alle 20.40, balliamo un po', ma un'oretta dopo giungiamo sull'isola più remota dell'arcipelago. Buio pesto, raggiungiamo in aluguer collettivo la pensao Paulo, a Nova Sintra, dove ci attende una casa coloniale arredata con mobili ancièn regime.
La nostra stanza ha le tendine e la trapunta verde, è molto accogliente, e sta in mezzo ai monti e ai fiori. Paulo ci prepara una zuppa di pesce con verdure e zucca, innaffiata da vinho tinto e accompagnata da riso e favette.
Arriviamo a letto, distrutti ma soddisfatti. Intorno, silenzio, solo qualcuno dei mille cani che latra alla luna (che cresce, ma ha una strana posizione notturna, inversa rispetto alla nostra in Italia).

Ci svegliamo bene, colazione, e andiamo verso Faja de agua, sul mare dalla parte opposta al porto.
Lunga camminata su crinali e sentieri scoscesi, che seguono i monti e le ribeire fluviali.
Si unisce a noi, quasi sino a Nossa Senhora do Monte (5 km), Revy -un liceale che vuole fare il pilota e addestrarsi in South Carolina.
Quest'estate andrà lì per la terza volta, e -come moltissimi di qui- vorrebbero raggiungere le migliaia di conterranei che, negli ultimi due secoli, si sono già trasferiti a Providence, a Boston o a Patka e vivono da americani.
Insomma: anche in quest'isola sperduta il mito USA è bello forte.
Raggiungiamo il mare, dopo altre due ore di cammino più scosceso.
Tutto il percorso è costellato da fiori coloratissimi (ibiscus rossi, lantane, orchidee e campanule violette, fiori del paradiso, i sensuali fiori del banano...) e poi da enormi ragnatele di ragni tessitori, altissime dracene e agavi verdissime e giganti, alcuni baobab, ficus magnolia e le intricate radici scoperte di piante grasse sconosciute...
Ammiriamo le semplici, eleganti casette vecchie in pietra, ancora vissute in parte, nonostante la forte emigrazione, le terrazze di coltivazione (fontainhas) che cercano di sfruttare la poca acqua sino all'ultima goccia, in un sistema che ricorda quello delle oasi nel deserto.

Il baretto O Coqueiro (la palma da cocco) ci offre un'omelette ed una birretta Strela, che mangiamo e beviamo con gusto e fame.
Relax pomeridiano tra le case e le palme, poi troviamo un passaggio su un furgoncino di gentilissimi muratori, sino al bivio per la città.
Riposino e cenetta di pesce arrosto e sopa ci attendono.
Andremo a dormire presto perchè domani si torna a Fogo, per tre notti, ultima tappa di questo nostro bel pellegrinaggio pedestre ed aeronavale.
Ci aspettano caldeiras e vulcani attivi: due anni fa il Pico (alto quasi 3000 metri) ha seppellito duemila case in una disastrosa e spettacolare eruzione.


Ma ve ne parlerò a tempo debito.

domenica 17 gennaio 2016

tuttifrutti tuttisanti

Il viaggio inizia a Praia, isola di Santiago, la più grande delle dieci isole capoverdiane.
Primi giorni di ambientamento, quasi sempre in compagnia di italiani, romani trapiantati, parenti di Vivi, la mia compagna in questo viaggio.
Hanno aperto un ristorante italiano, mangiamo spesso lì, generosamente ci accolgono e ci accompagnano nei vari giri, ci ospitano insomma...
Belle mangiate di pesce arrosto, cachupa, busios, spaghetti aglio e olio o arroz con mariscos.
La capitale non è granchè, è abbastanza deturpata da orribili incompiute e da altrettanto brutte compiute.
In compenso gli esseri umani sono bellissimi: donne delicate, formose e alte, maschi perfettamente muscolati senza esagerazioni, vecchine commoventi, bambini dai visi stupendi.
La creolizzazione del mondo.

Dopo tre notti ci siamo trasferiti in aereo all'isola di Sao Vicente, dopo una mattinata a cercare disperatamente e comicamente di fare i biglietti, in un susseguirsi di scenette tra il caos africano e la burocrazia sovietica. Abbiamo riso come scemi, prima di partire, dopo una parmigiana, ancora a Terrazza Italia.
Mindelo è la città di Cesària Evora e parla molto di lei. La sua voce ed il suo canto sono ovunque.
Vari giri e giretti, tra succhi di papaya e mango e un caldo davvero caldo.
Nel pomeriggio prendiamo il traghetto per Sant'Antao, l'isola più a nord delle Sopravvento.
A Porto Novo, una stazione marittima spropositata e modernissima ci accoglie.
Affittiamo una Nissan Juke rossa e ci inoltriamo in una delle strade più affascinanti e panoramiche del mondo.
La via che conduce da Porto Novo a Ribeira Grande è tutta in sampietrini e curve per 40 km di ascese e paesaggi mozzafiato, tra mari infiniti e colline di magma e lava rappresa, nere come la pece, e montagne nordiche con guglie e tornanti, abissi e orridi altissimi.

Tra ieri e oggi abbiamo percorso un bel po' di strade, salite e discese, soprattutto a piedi.
Alla Ribeira di Paùl abbiamo pranzato da Tio Lello, un napoletano-frusinate, che si è trasferito qui con la famiglia: un affabulatore niente male, ci ha cucinato una pasta al tonno e olive che ha lasciato il segno e non solo nella memoria.
Ora siamo appena tornati da Fontainhas, un paesino arroccato tra le vette e dinanzi alle onde maestose dell'oceano. Abbiamo attraversato Corvo e Formiguinha, luoghi ancora più piccoli e sperduti. Il caldo non passa, e camminare ci arrossa dentro e fuori.
Ma abbiamo trovato una pensioncina molto carina a Ribeira che si chiama Mil Fontes, in cui riposarci, leggere, guardarci, pensare, parlare, fare progetti sui prossimi giorni.
Domani si torna a Mindelo, per poi vedere altre due isole a sud: la vulcanicissima Fogo (il nome dice tutto) e la selvaggissima Brava.
Vi terremo informati, voi che state lì al freddo e al gelo, come Gesù Bambino.




domenica 10 gennaio 2016

sesso a(r)mato

Il Governo nicchia sull'abolizione del reato di clandestinità.
Ha paura di come sarebbe percepita, ha paura di perdere consenso e voti.
Sa che il pubblico si sta irreversibilmente spostando a destra, su posizioni intolleranti e razziste.
Sa che -dopo decenni di richiami alla privacy individuale e alla difesa delle famiglie- sarebbe inutile tentare di fermare o anche solo ostacolare un processo di chiusura e diffidenza verso il diverso e lo straniero.
Sa che -in crisi economica persistente- anche paesi socievoli e sbadati come il nostro iniziano a fare i conti in tasca e divengono più cinici, calcolatori e sordidi.
Non contano i ragionamenti e i calcoli razionali di magistrati ed esperti.
E' la pancia che parla, è la paura, è il risentimento, è l'ossessione.

Ma forse il Governo pensa che è una fase e che torneranno tempi migliori, in cui sarà possibile rimetter mano a quelle leggi leghiste ?
Se lo scordi.
I tempi migliori sono trascorsi, stanno alle nostre spalle.
Da ora in poi la situazione -anche sul versante della discriminazione razziale- precipiterà in tutta Europa.
E metterà in discussione ben altre leggi e trattati, primi fra tutti quelli di Schengen.
Creeremo clandestini anche fra europei, figuriamoci se salveremo arabi o neri...!

Un commento a parte meritano i fatti di Colonia, a Capodanno.
Le culture sessuofobiche e repressive, non solo islamiche ma anche cattoliche, generano violenza tra i sessi. La famiglia monogamica ne è la fonte e la sede privilegiata.
I maschi hanno costruito delle società discriminatorie verso le donne, le hanno ammantate di divinità, e su di esse hanno costruito il finto mito della società maschile che protegge le donne contro la violenza esterna (peraltro, quella di altri uomini, ma non correligionari o compatrioti, si vede...).
Ma se una donna è miscredente e non convertita, per i militanti dell'Isis e per molti islamici, è solo un oggetto sessuale.
Questa è la sorte di ragazze e donne che vengono catturate in guerra in Iraq, in Siria o in Nigeria:
diventare schiave sessuali per i guerriglieri.
Quel che è accaduto in Germania ci tocca più da vicino, perchè è toccato alle 'nostre donne'.
Ma la logica è la stessa.
A questo si aggiunge il rifiuto della festa, dell'esibizione pubblica, della musica e del ballo all'aperto.
Ci vanno a colpire ora (dopo i bar, i teatri e gli stadi) anche sulla nostra apparente libertà sessuale, molto più pubblica ed esplicita rispetto alla loro (ma anche per gli arabi non mancano le sedi e i siti in cui bere o fare sesso a pagamento ed in quasi clandestinità).
L'anno si chiude e si apre approfondendo il solco tra una cultura apparentemente sessuomane e profondamente repressiva come la nostra ed una apparentemente repressiva e profondamente sessuomanica come la loro.
Un bel cocktail esplosivo, se vanno ad incontrarsi in un veglione, di notte, al centro dell'Europa.






venerdì 8 gennaio 2016

si salvi chi può

Una domanda sorge spontanea: come mai in tutti i paesi del mondo ormai c'è un attentato al giorno e da noi in Italia niente ?
Forse che i nostri servizi funzionano meglio di quelli tedeschi o francesi ? Sembrerebbe perlomeno strano.
Forse che non abbiamo luoghi simbolici o emblemi politici da colpire ? Non direi.
Forse che non ci siano donne da violentare, chiese da dissacrare, ingiustizie da vendicare ?  Certamente no.
E allora ?

La prima idea che mi viene è che non contiamo nulla, neppure agli occhi dei nostri nemici.
C'è già tale casino da noi, siamo già talmente in catastrofe permanente e quotidiana, che un botto in più o in meno cambierebbe poco e farebbe poco effetto.
Molto meno che in luoghi notoriamente più ordinati od organizzati del nostro.
Se riesci a turlupinare le polizie tedesche e francesi, ne godi di più, insomma.
E fa più impressione nei suoi cittadini, ed anche in chi guarda da fuori.
E crea più fans nel mondo intero, non solo arabo.

La seconda ipotesi è che i nostri governi (ed i servizi) stiano giocando meglio di altri su più tavoli.
Siamo in ballo, perchè costretti, ma all'italiana.
A differenza di altri paesi, paghiamo i riscatti degli ostaggi.
A differenza di altri paesi, accogliamo dal mare e da terra quasi tutti, spesso anche senza registrarli.
A differenza di altri paesi, siamo entrati apertamente in guerra con molta più parsimonia e prudenza.
A differenza di altri paesi, sotto sotto, siamo molto amici della Russia (ma anche -sopra sopra-degli Stati Uniti, ovviamente).
L'Italia è anche un buon posto per fare le cellule dormienti in santa pace.
Insomma, perchè farci del male, se ce ne stiamo coperti e siamo quasi utili ?

La terza ipotesi, forse la più inquietante, è che da noi ci siano dei poteri forti che fanno affari con lo Stato islamico e con l'Isis: traffici clandestini di armi, droga, petrolio, uranio, schiavi, denaro riciclato.
Tutte dimensioni su cui mafia e camorra fanno il ciuffo da sempre e su cui certamente intrattengono rapporti con chiunque. Perchè far saltare questi fantastici sodalizi d'affari ? Perchè bombardare o fare stragi a Napoli o a Palermo ? Non converrebbe. Qualcuno lassù potrebbe aversela a male.
Un'altra possibilità è che mafia e camorra siano talmente potenti da essere intervenute direttamente per impedire stragi fatte da altri.
Forse vogliono navigare, come sempre, in un'omertà tranquilla.
E se ci devono essere stragi, vogliono avere l'esclusiva, almeno in Italia. (o lasciarle organizzare agli stessi servizi. Tra parentesi: fatti come quelli di Colonia non possono non far pensare che anche in altri paesi i servizi possano essere molto creativi quando vogliono far fuori un governo sgradito o favorirne un altro).

La diversità italiana, per ora, rifulge anche su questo.
Siamo stati risparmiati, al momento, da quel che accade a molti e accadrà sempre più frequentemente e massicciamente altrove.
Non so, però, se -a medio/lungo termine- questa si rivelerà una buona notizia.





mercoledì 6 gennaio 2016

riderà

Nei giorni scorsi abbiamo sperato che arrivasse il maltempo.
Così siamo.
Come vediamo le cose a breve termine!
Alterniamo le targhe, i vestiti, le mode, i pensieri, i sogni e le speranze, senza alcun disegno che vada oltre il giorno, l'ora.
Non vediamo oltre il nostro naso.
Desideriamo solo quel che ci serve al momento, e non vogliamo quel che ci ostacola o ci preoccupa nell'attimo. E, mancando di visione, come potremmo non mancare di fiducia ?
La fiducia, di cui tanto si ciancia (cresce o decresce in tv a seconda del vento o di come stanno andando i saldi), ha bisogno di prospettive, di aperture al futuro, di sguardi che vadano oltre.
Tutte dimensioni assenti, queste, oggi.

Eppure, se guardassimo al nostro recente passato, anche solo ai primi 15 anni di questo secolo, noi possiamo vedere i segni chiari del disastro che abbiamo attraversato, dei cambiamenti profondi vissuti e subìti, delle speranze infrante e delle fiducie tradite.
Negli ultimi tre anni, poi, l'accelerazione è stata inquietante.
Il pianeta è in asfissia, le armi grondano sangue, le utopie affondano.
Eppure...
Eppure cresce lo shopping, insieme alla disperazione (anzi: più la gente è disperata, e più si cura davanti alle vetrine).
Cresce la fiducia degli italiani in non so bene cosa, ma anche il numero dei barboni per strada.
Cresce la voglia di viaggiare (alle feste) ma anche quella di rinchiudersi in casa (per il resto dell'anno).
Segnali strani, ma neanche troppo, conoscendo gli italiani.
Che non guardano oltre il loro ombelico, come si sa.
Ma se solo pensassero a cosa potremmo essere diventati, di questo passo, tra altri 15 anni...! 
Hemingway, alla domanda  'Come si arriva alla fine?', una volta ha risposto: 'All'inizio, poco a poco. Poi, tutto insieme'. 

Dopo Berlusconi, Renzi sta chiudendo il cerchio, rafforzando il loro solito gioco.
Quello dell'ottimismo, di chi insiste a dire -qualunque cosa accada- che ce la farà.
Pensate: ci sono ancora milioni di italiani che voterebbero Berlusconi, nonostante tutto quel che è accaduto e che non è accaduto grazie a lui.
E pensate: ci sono e ci saranno milioni e milioni di italiani che voteranno Renzi.
Per lo stesso motivo per cui andiamo -a milioni- ai film di Checco Zalone.
Perchè siamo fatti così.
Sappiamo tutto quel che non va, ma ci piace riderci sopra, raccontarci barzellette, darci qualche pacca sulla spalla, sentirci buoni, e fottercene di tutto.
Saggezza superiore? Ignavia? Collusione mafiosa? Inossidabile ironia della sorte?
In ogni caso, uno come me non sa come starci in un paese così.

P.S. Comunque, sono andato a vedere Zalone, e ho riso molto... Un italiano vero?

Oggi è il giorno del compleanno: mio e della befana.










lunedì 4 gennaio 2016

se avessi fatto carrère

Il mio cuore è diventato duro e freddo come l'acciaio e se non fosse per il contatto con la tua piccola mano, l'unica cosa che sia ancora in grado di sentire, avrebbe completamente dimenticato persino l'idea di lottare. Se fosse vivo e caldo, quel cuore, e pieno di sangue come quello degli altri uomini, e non freddo e duro come l'acciaio, da tempo si sarebbe spezzato, svuotato di quel sangue che si sarebbe sparso in questo orrendo deserto che lo ha stritolato nella sua morsa grigia e gelida. Che ne sarebbe, Natocka, del cuore di un uomo comune, vivo e caldo, se fosse stretto in questa morsa grigia e gelida da cui sbucano solo coorti di orrendi spettri -brutti e silenziosi, ma che con il loro stesso silenzio, con i loro sogghigni soffocati, le loro strizzatine d'occhio, il loro atteggiamento così sfrontatamente irridente, parlano in modo tanto chiaro e intelligibile -gli spettri di tutte le speranze assassinate o amputate, gli spettri delle credenze forgiate dall'anima pura della mia adolescenza, gli spettri di di tutte le bassezze menzognere della vita – questi spettri che mi dicono così chiaramente con le loro labbra mute: e allora, cosa ci ha guadagnato ? Hai ottenuto almeno qualcosa di ciò che hai desiderato ? Non l'otterrai mai. Mai, hai sentito, mai. Capisci questa parola: mai ? Che hai da gridare: fatevi avanti, fatevi avanti tutti, non ho paura di nessuno, voglio vedervi ad uno ad uno, un viso dopo l'altro! Nessuno si farà avanti, perchè dovremmo ? Siamo gli umili, gli insignificanti, non siamo orgogliosi, non cerchiamo la rissa, non ne abbiamo bisogno per mangiarti vivo, mio piccolo falcone. Abbiamo fregato gente ben più robusta di te. Ad uno ad uno. E perchè vuoi che acconsentiamo ? Perchè mai ? Non sta in questo la nostra forza, noi procediamo piano piano, a passettini. Siamo la moltitudine, siamo legioni di legioni, siamo il mondo intero, e tu invece chi sei ? Tu sei solo, noi siamo il mondo intero, e tu sei solo, lo capisci ? Agitati, agitati quanto vuoi, noi aspettiamo, non abbiamo fretta, siamo gente umile. Perciò grida, mio piccolo falcone, grida e agitati, noi aspettiamo, non siamo orgogliosi, non siamo come te, che immaginavi che il mondo fosse stato creato per realizzarvi i tuoi sogni. Che furbo! La nostra forza, caro mio, non sta in questo, noi procediamo piano piano, tranquillamente -prima te ne mandiamo uno, poi un altro, poi un terzo, poi un decimo, e improvvisamente ti accorgi che c'è una folla. Bè, è così che ci poggeremo su di te, tutti insieme, in folla, per schiacciarti. E tutti saranno con noi, anche quelli che ti erano più vicini, anche loro saranno con noi. E con te, ragazzo mio, chi ci sarà con te ? Nessuno. Perchè di bei sogni grandiosi non si sazia nessuno -e anche se ci credessi ai tuoi sogni?- ci credi, almeno ? Credi davvero di poter far scorrere un fiume dal mare verso i monti, far muovere il sole dal tramonto all'alba? Ci credi proprio? E allora il tuo dolore, da dove viene? E la mortale spossatezza del tuo animo? E quella piega di disperazione all'angolo della bocca? Non lo sai forse che tutto ciò che hai toccato si è trasformato in distruzione e sventura? Non lo hai ancora capito, piccolo falcone? Sei solo, completamente solo, non ti accompagna né ti segue nessuno. Ti agiti ancora? Eppure lo sai già, che quando non ne potrai più di agitarti, in quel preciso istante noi saremo tutti lì, freschi e riposati, per schiacciarti con il nostro peso e la nostra moltitudine. E chi ti difenderà? Non ti difenderà nessuno -perchè hai davvero pestato i piedi a troppa gente con la tua diabolica arroganza. Sei solo, con i tuoi sogni grandiosi. Mentre noi saremo anche umili, ma siamo la moltitudine -oh che moltitudine!

In cima alla mia torre, scrive, non vedo nessuno, nessuno viene a trovarmi, non vado a trovare nessuno. Divento sempre più selvatica e anche, detto tra noi, sempre più stanca.

Sono le sette. Non ho nessun programma,...e si delinea la prospettiva preoccupante di una serata solitaria, sdraiato sul letto, mentre la gente va a spasso per le strade, si incontra nei bar, chiacchiera, sorride, si bacia, insomma fa quello che la gente fa il sabato sera in una grande città, se è gente normale. Per tutta la vita mi sono considerato non normale, eccezionale, al tempo stesso meraviglioso e mostruoso, il che è comune da adolescenti ma preoccupante alla mia età e per quanto vada dallo psicanalista tre volte la settimana, vedo sempre meno motivi perchè la situazione cambi.
Uscendo dall'albergo,..noto un centro massaggi e, avvicinandomi, che quel centro non offre solo massaggi, ma anche una seduta di floating -che consiste nel galleggiare in un contenitore d'acqua salata, senza dover fare alcun movimento per rimanere a galla. Il contenitore...ha le dimensioni di una grossa vasca da bagno, ma munita di un coperchio ed ermeticamente chiusa, in modo che il rilassamento non sia turbato da nessuno stimolo esterno, visivo o uditivo. Non ci vuole molto per capire che quel tank somiglia moltissimo a una tomba, e intuire che la prospettiva di passare un po' di tempo in quella tomba mi ha subito rinvigorito: ho trovato come occupare la serata...
La stanza dove si trova il tank sta a metà fra una jacuzzi, una cabina a raggi Uva e una camera mortuaria. Faccio la doccia, poi entro nel contenitore. Chiudo il coperchio. Galleggio, nudo, sull'acqua tiepida, leggermente collosa. Oscurità totale, silenzio totale, tranne il battito di sangue nelle arterie...Mi piace o no? Difficile rispondere. Il mondo esterno non esiste più. Immagino che sia un arricchimento per chi passa la giornata nella continua apprensione di una vita professionale stressante...Il mio problema è esattamente l'opposto. Non frequento molto il mondo esterno, la vota reale, e passo la maggior parte del tempo nel mio mondo interiore, di cui sono stanco, per l'appunto, e in cui mi sento prigioniero. Sogno solo di uscire da questa prigione, ma non ci riesco, e perchè mai ? Perchè ne ho paura, e anche, ed è la cosa più spiacevole da ammettere, perchè in fondo mi piace...

L'amico Pavel mi racconta una storiella ebraica. Abramo supplica Jahvè: Jahvè, Jahvè, un giorno vorrei tanto vincere la lotteria! Ti supplico Jahvè, ti scongiuro, te lo chiedo da così tanto tempo, concedimelo, solo questo, solo per una volta, e non ti chiederò mai più niente. Jahvè, fai che vinca la lotteria. Piange, in ginocchio, si torce le mani. Alla fine Jahvè sbuca dalla nube e dice: Abramo ti ho sentito, voglio esaudirti. Ma ti prego, dammi una possibilità. Per una volta nella vita, compra un biglietto!

(da La vita come un romanzo russo, 2007)


Si diceva convinto che lo sguardo di uno scrittore su questa tragedia potesse completare e trascendere largamente altri approcci, più riduttivi, come quello della psichiatria o di altre scienze umane. Ci teneva a persuadere me e se stesso che un qualsiasi 'recupero narcisistico' era lontano dai suoi pensieri (perlomeno consci).

Una seconda équipe di psichiatri ha formulato la stessa diagnosi: il romanzo narcisistico continua in carcere, permettendo al protagonista di sfuggire ancora una volta alla violenta depressione che lo ha minacciato per tutta la vita. Al tempo stesso Romand si rende conto che...non gli sarà mai possibile essere considerato una persona sincera, e teme che nemmeno lui riuscirà mai a ritenersi tale. Prima tutti credevano a tutto ciò che diceva, adesso nessuno crede più a niente, e lui stesso non sa cosa credere....Si può solo auspicare che giunga, anche a costo di una depressione endogena il cui rischio resta alto, a difese meno sistematiche, a una maggiore ambivalenza e autenticità.

(da L'avversario, 2000)

Come avrete intuito, in questi giorni mi sono tuffato definitivamente nell'opera omnia di Emmanuel Carrère. Sento verso di lui gli stessi sentimenti che provo per me, o per quel che avrei potuto essere, o che in parte sono stato e da cui oggi fuggo: ammirazione, invidia, paura, diffidenza, amore, odio, nostalgia, identificazione in qualcuno o qualcosa, smarrimento, chiarezza e lucidità estrema, spietatezza della verità e menzogna narrativa, disgusto, gioia dello scrivere.

Due dialoghi di questo inizio d'anno, con amici di vecchia data che non vivono qui.
Nel primo, ho provato ancora una volta a spiegare che la mia attuale e decisa riluttanza a mostrarmi ed esibirmi in pubblico, a rendermi visibile, a partecipare alla vita sociale, non nasce da una imposizione mentale, da un doverismo eteronomo o da una ricercata dignità filosofica o ideologica. Nasce dalle mie emozioni profonde, dal mio desiderio di non essere più quell'essere che ero, di non riuscirci più. Non è più in campo la volontà di essere o non essere qualcosa o qualcuno. Non sono più 'un personaggio'. Sento così di essere a contatto con i miei archetipi inconsci più profondi, che ora vengono fuori. Ne soffro molto, perchè ha dei costi alti, soprattutto per il mio ego e per la mia libido. Una parte di me se ne lamenta, si dice infelice. Questa mia nuova versione non piace al mondo, non l'attrae, anzi l'allontana a gambe levate. E, lo so, questo vi fa anche preoccupare per la mia sorte. Ma non posso fare altro, né lo vorrei. Starei molto peggio, credetemi, se provassi a conciliarmi col mondo come, mi sembra, provate a fare voi con un'abnegazione encomiabile, lo riconosco. Quando vi vedo a gestire figli, rapporti di coppia, stress da lavoro, problemi economici, mi dibatto, irrisolto, tra l'ammirazione e l'incomprensione. Ma si deve essere pronti ad ardere nella propria fiamma: com'è possibile rinnovarsi senza prima essere divenuti cenere ?

A taluni, seppure personalmente incapaci di sciogliere le proprie catene, è nondimeno dato affrancare gli amici.
Queste due frasi tratte dallo 'Zarathustra' rispuntano da un libro di Yalom, Le lacrime di Nietzsche, regalatomi per il compleanno (in anticipo) dal mio primo amico.
E questa frase vale molto bene per il secondo: ieri ho saputo che finalmente ha deciso di lasciare la moglie, il matrimonio e la casa di sempre.
E' una bella notizia per lui, che mi rincuora per un vero nuovo inizio, non solo d'anno.
Da tempo ci speravo, per il bene suo, e di tutti (anche dei suoi familiari).
Un augurio di cuore per la sua, e loro, nuova vita.

P.S.: Ieri notte davano in tv 'Al di là del bene e del male', un film del 1977 della Cavani, che descrive la vicenda filosofico-amorosa della Trinità (Fritz Nietzsche-Paul Reè-Lou Salomè), conclusasi malamente. Alla fine del film Nietzsche è ormai folle, e suona il piano da solo, recluso in una stanza...Divenuto cenere, non gli è stato concessa un'ulteriore possibilità di rinnovarsi.
Ci sarà per me ? Per noi ? Per questa nostra forma di vita ? Per questa nostra umanità ?
Non possiamo saperlo ora.
Ora possiamo preoccuparci solo della fase in corso: quella dell'autocremazione.





venerdì 1 gennaio 2016

prove (di) generali

Quel che si fa a Capodanno si fa tutto l'anno.
Se fosse vero, per me, non sarebbe granchè.
Sono andato a letto alle dieci e mi sono alzato stamattina a mezzogiorno, dopo aver letto 200 pagine della saga di Claudine, un vero capolavoro di Colette.
Qualche telefonata, qualche messaggino, alcuni di circostanza, altri no.
Cena con patate e favette lesse, alle sette.
Mi sentivo un po' come la piccola fiammiferaia...
Ma sempre meglio così che stare in piazza con gente che urla, canta, e fa finta di divertirsi.

Fuori, peraltro, non so.
Ho sentito qualche botto, ma pochi.
In tv parlano di Capodanno blindato.
Stamattina ho visto milioni di persone che festeggiavano circondati da migliaia di militari e transenne e controlli.
Ma si può festeggiare così ? E, soprattutto, cosa c'è da festeggiare ?
Le forze dell'ordine hanno vietato anche i botti.
I militari vogliono essere gli unici a usare le bombe, si vede.
Sono le prove generali del 2016, un anno in cui la militarizzazione delle nostre vite procederà senza colpo ferire.
Tra attentati, terrori, cicloni e alluvioni i pretesti per creare un clima di totale insicurezza non mancano e non mancheranno.
Siamo nelle mani dei nostri protettori, che non ci chiudono ancora definitivamente in casa solo perchè altrimenti i mercati dello shopping crollerebbero.
Ma, della nostra libertà, non gliene frega niente. Né a loro, né -purtroppo- a noi.

Ora arriveranno freddo, vento e pioggia, mai tanto auspicati, a toglierci le polveri dal naso e dai bronchi.
Auguri, allora, e saluti particolati a tutti...!