Qualche tempo fa mi è stato richiesto un articolo dedicato al 'movimento' su una nuova rivista della mia Università. Ho scritto questo, ma per una rivista accademica con tanto di referaggio non va bene.
Mi è stato consigliato amorevolmente di pubblicarlo qui, sul blog.
Lo faccio.
- SAPERE
Sin dai tempi antichi il movimento è
stato una delle dimensioni del pensare.
Si racconta che Talete camminasse
guardando il cielo, e cadesse nel pozzo.
Che Diogene si muovesse per le vie
della città, cercando l'uomo.
Si sa che il Peripato e la Stoa sono
stati i luoghi del muoversi e del conoscere insieme, per eccellenza.
Ed anche l'Accademia platonica non
assomigliava certo alla nostra: non aveva molto di 'accademico',
insomma. (1)
Tutti i manuali di pedagogia, didattica
e psicologia cognitiva ci indicano il meth-odos (la via, il
percorso) migliore per educare, insegnare ed apprendere: l'esperienza
riflessiva del corpo.
Di un corpo-mente che si muove, tocca,
sente, connette, gioca.
E che, nel fare, pensa.
'La cognizione, perfino in quelle
che sembrano le sue espressioni di livello più alto, è fondata
sull'attività concreta dell'intero organismo, cioè
sull'accoppiamento senso-motorio. Il mondo non è qualcosa che ci è
'dato', ma è qualcosa a cui prendiamo parte per mezzo di come ci
muoviamo, tocchiamo, respiriamo e mangiamo...Questo è ciò che
chiamo 'cognizione come enazione'...Essa mette in risalto due punti
che spiegano meglio cosa intendo con la parola 'incorpato':
1. la cognizione dipende dai tipi di
esperienza che derivano dall'avere un corpo con varie capacità
senso-motorie; 2. queste capacità senso-motorie individuali sono
esse stesse incastonate in un contesto culturale e biologico più
ampio. (2)
Noi sappiamo tutto questo, e sappiamo
che è vero.
Ma viviamo l'esperienza del sapere in
tutt'altro modo.
Abbiamo strutturato la scuola e
l'Università in ambienti statici, rigidi, artificiali.
Il sapere viene trasmesso, perlopiù
verbalmente o per immagini, ma quasi mai esperito.
I corpi sono segregati, controllati,
disciplinati, separati in sé e tra loro.
Tanto più in un mondo sempre più
irretito da scambi e connessioni virtuali, chiusi in casa o nei
propri video, da fermi.
Il movimento, il gioco sono ridotti ad
ora d'aria, a ricreazione. (3)
Non possiamo stupirci che chi esce da
questi luoghi si ricordi poco di quel che ha fatto.
Conosca poco, e pensi ancor meno.
La cultura o si incorpora o non è.
Quel che noi creiamo quotidianamente
nel nostro lavoro è soltanto una patina superficiale di nozioni
abbarbicate su un corpo estraneo e assente, che non sa come e dove
muoversi, e soprattutto perchè.
La vita della mente è piatta, e -se dà
segni di vita- va e guarda altrove.
Il nostro mondo, infatti, è
tecnicamente e funzionalmente evoluto, come non mai.
Ma la sua est-etica è fragile,
succuba, incerta, morente. (4)
2. VIAGGIARE
Viaggiare è l'altro fondamentale
movimento della (mia) vita.
Molto è stato già scritto sul senso
del muoversi nel mondo, del conoscere altre culture, suoni, lingue,
odori.
Dell'entrare a contatto con l'Altro,
dell'in-contrarsi: questa combinazione sublime che ci chiama
ad avvicinare quel che non siamo, ad entrare in contatto con il
diverso, ma anche ad andarci addosso, a scontrarci, per cambiare. (5)
Divergenza e divertimento non hanno a
caso la stessa radice.
La varietà è da sempre uno dei fulcri
del nostro piacere di vivere. (6)
E, per poter più facilmente differire
e variare le forme della nostra vita, possiamo viaggiare.
Camminare a piedi, a lungo.
In passato era quasi un obbligo, in
assenza di altri mezzi, per quasi tutti.
Poi è diventata una volontaria
penitenza, un rituale di socializzazione ed incontro: i
pellegrinaggi, i cammini religiosi stanno a riprova e ricordo di
tutto questo.
Ma anche persisteva l'esaltazione del
camminare nella natura, del rinvigorirsi l'anima attraverso il moto
del corpo, vivente tra i viventi. (7)
O il lungo viaggiare in carrozza, da
una nazione all'altra d'Europa, aristocraticamente assisi sul
cocchio, a raccontare i panorami e i paesaggi, descrivendo costumi e
persone, godendosi le soste.
Non si potrebbero capire la storia, la
cultura, l'arte dei moderni senza il viaggio.
Il viaggiare ha tracciato il movimento
della modernità, la sua novità e peculiarità, almeno quanto
la costituzione degli Stati e
l'industrializzazione.
Ma il viaggiare, l'esplorare, il
conoscere attraverso il movimento dei corpi non hanno servito
soltanto il trasporto dei cuori e delle menti.
Da sempre sono stati connessi anche
alla colonizzazione dell'Altro.
Il paradossimoro del viaggio sta
proprio qui: amare la differenza, la varietà, la scoperta del nuovo
da un lato, ma anche tendere ad omologarlo, a riportarlo a sé, a
sedurlo, a conquistarlo. (8)
Oggi, da viaggiatore impenitente quale
sono, soffro per almeno tre motivi:
- perchè, per spostarmi, devo passare molto tempo in 'non luoghi' senza senso (aeroporti e stazioni, soprattutto);
- perchè, quando arrivo nei luoghi, in particolare nelle città, trovo ormai quasi sempre le stesse vetrine, gli stessi luoghi e loghi, le stesse immagini già viste in rete, gli stessi standard di vita e di consumo.
Sembra talvolta, e con sconforto, di
non poter più immaginare sulla di nuovo, e di essersi mossi
inutilmente.
Il turismo di massa, infatti, è una
piovra che continuamente ti avvolge nelle spire e un vero
viaggiatore, per quanto accorto e resistente, ne soffre sempre più.
La globalizzazione ha facilitato i
movimenti, ma è nemica del viaggiare. (9)
Il terzo motivo è più recente e non è
altro che la conseguenza terribile di quel che ho appena detto.
Soffro perchè, di giorno in giorno, si
riducono sempre più i paesi in cui è possibile, salutare, igienico,
viaggiare. Il terrorismo globale e le guerre stanno rendendo il
viaggiare un'attività a rischio.
Ed anche là dove non si muovono
guerriglia ed eserciti, senti che il risentimento è crescente verso
te che viaggi dall'occidente.
E non può che essere così, capisci
tutto, continui a muoverti. Ma ne soffri.
- AGIRE
Non ho mai creduto nei partiti, ma solo
nei movimenti.
Ho trascorso vari decenni della mia
vita a creare, organizzare, animare e far agire 'movimenti'.
Il movimento è stato sempre per me
sinonimo di politica.
Il resto di quel che si fa chiamare
politica mi interessa, lo seguo sui giornali o alla tv.
Ma non fa parte di me, e non ne faccio
parte.
I suoi movimenti mi sembrano solo
apparenti, il loro gioco si mostra sempre uguale: l'occupazione del
potere.
Il potere, invece, per me è sempre
stato un gioco da diffondere, da distribuire, da disoccupare.
Non ne ho mai avuto paura, non l'ho mai
negato o rimosso.
Dove c'è comunicazione e relazione lì
c'è potere. E conflitto, e lotta. (10)
Ho sempre cercato di usare il mio
potere e di aiutare gli altri a farlo.
Per questo ho sempre amato la
formazione: per imparare a mettersi in gioco, ad agire, a stare in
movimento. (11)
Ho pensato e creduto per molti anni che
-anche con il mio contributo attivo- la politica si sarebbe mossa
verso qualcosa di meglio. Ho creduto alla possibilità nonviolenta di
'democratizzare la democrazia'. Devo ammettere ora che, malgrado gli
sforzi e l'impegno miei e altrui, ce ne siamo allontanati: il
movimento è stato inverso alle nostre aspettative.
La politica -per come l'ho sempre
intesa- non c'è più e quel che è arrivato al suo posto è qualcosa
che non le assomiglia, se non per il nome.
Negli ultimi anni, il mio modo
-paradossale, l'ammetto- per andare controcorrente, per proseguire a
sentirmi in movimento, è stato quello di 'fare il morto'.
(12)
Come si fa quando è in corso una
sparatoria o un azione terroristica, fingo di essere morto e resto
-pur vivo e per restare vivo- più immobile che posso.
Se mi muovessi, mi presentassi e mi
esibissi al mondo, finirei nelle sue fauci e sarei finito.
Oggi, per me, l'unico movimento
possibile è quello di declinare.
Di declinare gli inviti, gli impegni,
le responsabilità.
Di accettare il declino, mio e della
nostra prospettiva -ingloriosamente tramontante- di civilizzazione.
Ed in questo, proprio nel declinare
attivamente e transitivamente, di provare a ritrovare il senso del
vivere, del muoversi, dell'andare (non necessariamente avanti).
Cosa ne è, e ne sarà, del movimento
in una 'società della decrescita e della stanchezza' ? (13)
Questa è la domanda che mi faccio da
qualche tempo, e che vi faccio qui.
NOTE
- P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, Torino, 1988
- F. Varela, Un know-how per l'etica, Laterza, Bari, 1992, cap, 2, passim
A.R. Damasio, L'errore di
Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano, 1995
H. Maturana-X.Davila,
Emozioni e linguaggio in educazione e politica, Elèuthera, Milano,
2006
- M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 2014
R. Massa, Le tecniche e i
corpi, Unicopli, Milano, 1986
R. Curcio, L'impero
virtuale. Colonizzazione dell'immaginario e controllo sociale,
Sensibili
alle foglie, Roma, 2015
- H. Arendt, La vita della mente, Il Mulino, Bologna, 1987
- M. de Certeau, Mai senza l'altro. Viaggio nella differenza, Qiqajon, Vercelli, 1993
M. Aime, Eccessi di
culture, Einaudi, Torino, 2004
- G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, Mondadori, Milano, 1972
- H.D. Thoreau, Camminare, SE, Milano, 1989
- T. Todorov, La conquista dell'America. Il problema dell' 'altro', Einaudi, Torino, 1984
- M. Augè, Nonluoghi, Elèuthera, Milano, 2009
V. Codeluppi, Lo spettacolo
della merce, Bompiani, Milano,
2000
- G. Sharp, Politica dell'azione nonviolenta (3 voll.), EGA, Torino, 1985
- E, Euli, I dilemmi (diletti) del gioco, la meridiana, Molfetta, 2004
- E. Euli, Fare il morto. Vecchi e nuovi giochi di renitenza, di prossima pubblicazione
- S. Latouche, La scommessa della decrescita, Feltrinelli, Milano, 2007
B. C. Han, La
società della stanchezza, Nottetempo, Roma, 2012
M.
Benasayag-G.Schmit, L'epoca delle passioni tristi, Feltrinelli,
Milano, 2004
Nessun commento:
Posta un commento