giovedì 28 gennaio 2016

falso movimento

Qualche tempo fa mi è stato richiesto un articolo dedicato al 'movimento' su una nuova rivista della mia Università. Ho scritto questo, ma per una rivista accademica con tanto di referaggio non va bene.
Mi è stato consigliato amorevolmente di pubblicarlo qui, sul blog.
Lo faccio.



  1. SAPERE

Sin dai tempi antichi il movimento è stato una delle dimensioni del pensare.
Si racconta che Talete camminasse guardando il cielo, e cadesse nel pozzo.
Che Diogene si muovesse per le vie della città, cercando l'uomo.
Si sa che il Peripato e la Stoa sono stati i luoghi del muoversi e del conoscere insieme, per eccellenza.
Ed anche l'Accademia platonica non assomigliava certo alla nostra: non aveva molto di 'accademico', insomma. (1)

Tutti i manuali di pedagogia, didattica e psicologia cognitiva ci indicano il meth-odos (la via, il percorso) migliore per educare, insegnare ed apprendere: l'esperienza riflessiva del corpo.
Di un corpo-mente che si muove, tocca, sente, connette, gioca.
E che, nel fare, pensa.
'La cognizione, perfino in quelle che sembrano le sue espressioni di livello più alto, è fondata sull'attività concreta dell'intero organismo, cioè sull'accoppiamento senso-motorio. Il mondo non è qualcosa che ci è 'dato', ma è qualcosa a cui prendiamo parte per mezzo di come ci muoviamo, tocchiamo, respiriamo e mangiamo...Questo è ciò che chiamo 'cognizione come enazione'...Essa mette in risalto due punti che spiegano meglio cosa intendo con la parola 'incorpato':
1. la cognizione dipende dai tipi di esperienza che derivano dall'avere un corpo con varie capacità senso-motorie; 2. queste capacità senso-motorie individuali sono esse stesse incastonate in un contesto culturale e biologico più ampio. (2)

Noi sappiamo tutto questo, e sappiamo che è vero.
Ma viviamo l'esperienza del sapere in tutt'altro modo.
Abbiamo strutturato la scuola e l'Università in ambienti statici, rigidi, artificiali.
Il sapere viene trasmesso, perlopiù verbalmente o per immagini, ma quasi mai esperito.
I corpi sono segregati, controllati, disciplinati, separati in sé e tra loro.
Tanto più in un mondo sempre più irretito da scambi e connessioni virtuali, chiusi in casa o nei propri video, da fermi.
Il movimento, il gioco sono ridotti ad ora d'aria, a ricreazione. (3)

Non possiamo stupirci che chi esce da questi luoghi si ricordi poco di quel che ha fatto.
Conosca poco, e pensi ancor meno.
La cultura o si incorpora o non è.
Quel che noi creiamo quotidianamente nel nostro lavoro è soltanto una patina superficiale di nozioni abbarbicate su un corpo estraneo e assente, che non sa come e dove muoversi, e soprattutto perchè.
La vita della mente è piatta, e -se dà segni di vita- va e guarda altrove.
Il nostro mondo, infatti, è tecnicamente e funzionalmente evoluto, come non mai.
Ma la sua est-etica è fragile, succuba, incerta, morente. (4)








2. VIAGGIARE

Viaggiare è l'altro fondamentale movimento della (mia) vita.
Molto è stato già scritto sul senso del muoversi nel mondo, del conoscere altre culture, suoni, lingue, odori.
Dell'entrare a contatto con l'Altro, dell'in-contrarsi: questa combinazione sublime che ci chiama ad avvicinare quel che non siamo, ad entrare in contatto con il diverso, ma anche ad andarci addosso, a scontrarci, per cambiare. (5)
Divergenza e divertimento non hanno a caso la stessa radice.
La varietà è da sempre uno dei fulcri del nostro piacere di vivere. (6)
E, per poter più facilmente differire e variare le forme della nostra vita, possiamo viaggiare.

Camminare a piedi, a lungo.
In passato era quasi un obbligo, in assenza di altri mezzi, per quasi tutti.
Poi è diventata una volontaria penitenza, un rituale di socializzazione ed incontro: i pellegrinaggi, i cammini religiosi stanno a riprova e ricordo di tutto questo.
Ma anche persisteva l'esaltazione del camminare nella natura, del rinvigorirsi l'anima attraverso il moto del corpo, vivente tra i viventi. (7)
O il lungo viaggiare in carrozza, da una nazione all'altra d'Europa, aristocraticamente assisi sul cocchio, a raccontare i panorami e i paesaggi, descrivendo costumi e persone, godendosi le soste.
Non si potrebbero capire la storia, la cultura, l'arte dei moderni senza il viaggio.
Il viaggiare ha tracciato il movimento della modernità, la sua novità e peculiarità, almeno quanto
la costituzione degli Stati e l'industrializzazione.

Ma il viaggiare, l'esplorare, il conoscere attraverso il movimento dei corpi non hanno servito soltanto il trasporto dei cuori e delle menti.
Da sempre sono stati connessi anche alla colonizzazione dell'Altro.
Il paradossimoro del viaggio sta proprio qui: amare la differenza, la varietà, la scoperta del nuovo da un lato, ma anche tendere ad omologarlo, a riportarlo a sé, a sedurlo, a conquistarlo. (8)

Oggi, da viaggiatore impenitente quale sono, soffro per almeno tre motivi:
  • perchè, per spostarmi, devo passare molto tempo in 'non luoghi' senza senso (aeroporti e stazioni, soprattutto);
  • perchè, quando arrivo nei luoghi, in particolare nelle città, trovo ormai quasi sempre le stesse vetrine, gli stessi luoghi e loghi, le stesse immagini già viste in rete, gli stessi standard di vita e di consumo.
Sembra talvolta, e con sconforto, di non poter più immaginare sulla di nuovo, e di essersi mossi inutilmente.
Il turismo di massa, infatti, è una piovra che continuamente ti avvolge nelle spire e un vero viaggiatore, per quanto accorto e resistente, ne soffre sempre più.
La globalizzazione ha facilitato i movimenti, ma è nemica del viaggiare. (9)

Il terzo motivo è più recente e non è altro che la conseguenza terribile di quel che ho appena detto.
Soffro perchè, di giorno in giorno, si riducono sempre più i paesi in cui è possibile, salutare, igienico, viaggiare. Il terrorismo globale e le guerre stanno rendendo il viaggiare un'attività a rischio.
Ed anche là dove non si muovono guerriglia ed eserciti, senti che il risentimento è crescente verso te che viaggi dall'occidente.
E non può che essere così, capisci tutto, continui a muoverti. Ma ne soffri.





  1. AGIRE

Non ho mai creduto nei partiti, ma solo nei movimenti.
Ho trascorso vari decenni della mia vita a creare, organizzare, animare e far agire 'movimenti'.
Il movimento è stato sempre per me sinonimo di politica.
Il resto di quel che si fa chiamare politica mi interessa, lo seguo sui giornali o alla tv.
Ma non fa parte di me, e non ne faccio parte.
I suoi movimenti mi sembrano solo apparenti, il loro gioco si mostra sempre uguale: l'occupazione del potere.
Il potere, invece, per me è sempre stato un gioco da diffondere, da distribuire, da disoccupare.
Non ne ho mai avuto paura, non l'ho mai negato o rimosso.
Dove c'è comunicazione e relazione lì c'è potere. E conflitto, e lotta. (10)
Ho sempre cercato di usare il mio potere e di aiutare gli altri a farlo.
Per questo ho sempre amato la formazione: per imparare a mettersi in gioco, ad agire, a stare in movimento. (11)

Ho pensato e creduto per molti anni che -anche con il mio contributo attivo- la politica si sarebbe mossa verso qualcosa di meglio. Ho creduto alla possibilità nonviolenta di 'democratizzare la democrazia'. Devo ammettere ora che, malgrado gli sforzi e l'impegno miei e altrui, ce ne siamo allontanati: il movimento è stato inverso alle nostre aspettative.
La politica -per come l'ho sempre intesa- non c'è più e quel che è arrivato al suo posto è qualcosa che non le assomiglia, se non per il nome.
Negli ultimi anni, il mio modo -paradossale, l'ammetto- per andare controcorrente, per proseguire a sentirmi in movimento, è stato quello di 'fare il morto'. (12)
Come si fa quando è in corso una sparatoria o un azione terroristica, fingo di essere morto e resto -pur vivo e per restare vivo- più immobile che posso.
Se mi muovessi, mi presentassi e mi esibissi al mondo, finirei nelle sue fauci e sarei finito.

Oggi, per me, l'unico movimento possibile è quello di declinare.
Di declinare gli inviti, gli impegni, le responsabilità.
Di accettare il declino, mio e della nostra prospettiva -ingloriosamente tramontante- di civilizzazione.
Ed in questo, proprio nel declinare attivamente e transitivamente, di provare a ritrovare il senso del vivere, del muoversi, dell'andare (non necessariamente avanti).
Cosa ne è, e ne sarà, del movimento in una 'società della decrescita e della stanchezza' ? (13)
Questa è la domanda che mi faccio da qualche tempo, e che vi faccio qui.
















NOTE
  1. P. Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, Torino, 1988
  2. F. Varela, Un know-how per l'etica, Laterza, Bari, 1992, cap, 2, passim
A.R. Damasio, L'errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano, 1995
H. Maturana-X.Davila, Emozioni e linguaggio in educazione e politica, Elèuthera, Milano, 2006
  1. M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 2014
R. Massa, Le tecniche e i corpi, Unicopli, Milano, 1986
R. Curcio, L'impero virtuale. Colonizzazione dell'immaginario e controllo sociale, Sensibili
alle foglie, Roma, 2015
  1. H. Arendt, La vita della mente, Il Mulino, Bologna, 1987
  2. M. de Certeau, Mai senza l'altro. Viaggio nella differenza, Qiqajon, Vercelli, 1993
M. Aime, Eccessi di culture, Einaudi, Torino, 2004
  1. G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, Mondadori, Milano, 1972
  2. H.D. Thoreau, Camminare, SE, Milano, 1989
  3. T. Todorov, La conquista dell'America. Il problema dell' 'altro', Einaudi, Torino, 1984
  4. M. Augè, Nonluoghi, Elèuthera, Milano, 2009
V. Codeluppi, Lo spettacolo della merce, Bompiani, Milano, 2000
  1. G. Sharp, Politica dell'azione nonviolenta (3 voll.), EGA, Torino, 1985
  2. E, Euli, I dilemmi (diletti) del gioco, la meridiana, Molfetta, 2004
  3. E. Euli, Fare il morto. Vecchi e nuovi giochi di renitenza, di prossima pubblicazione
  4. S. Latouche, La scommessa della decrescita, Feltrinelli, Milano, 2007
B. C. Han, La società della stanchezza, Nottetempo, Roma, 2012
M. Benasayag-G.Schmit, L'epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2004














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