Notte ventosissima
e insonne a Mindelo, sveglia alle 6 e via verso l'aeroporto Cesària
Evora.
Un ATR all'alba,
sino all'aeroporto Nelson Mandela di Praia, qui si transita verso
l'isola di Fogo, con lo stesso aereo, ma con una sequenza di passaggi
insensati tra un volo e l'altro, in perfetto stile capoverdiano.
L'idea di
organizzazione è solo una promessa e un vago ricordo, qui.
Il tutto ci fa
molto ridere, stanchi come siamo.
Ma, a viverci, non
dev'essere sempre piacevole.
Sao Filipe, il
capoluogo, ci accoglie bene.
Le case sono
colorate, il mercato è animato quanto basta, il museo delle
tradizioni popolari è ben curato. Un caldo asfissiante, però.
Giriamo nella baixa
(parte bassa, abitata in passato dai ricchi e ancora oggi punteggiata
dai sobrados, case padronali a due piani, con patio e giardino
interno), e poi verso la praia, spiaggia lunga e ampia, nerissima.
Onde possenti, vento forte, solo l'isoletta di Brava dinanzi,
offuscata dalle nuvole, e tre scoglietti. Dopo, a ovest, solo
l'America.
E proprio a Brava
vogliamo arrivare. Il porto è lontano dalla città, abbastanza
spettrale.
Non perdiamo il
buonumore e il traghetto arriva puntuale e non ci tradisce.
Si parte alle
20.40, balliamo un po', ma un'oretta dopo giungiamo sull'isola più
remota dell'arcipelago. Buio pesto, raggiungiamo in aluguer
collettivo la pensao Paulo, a Nova Sintra, dove ci attende una casa
coloniale arredata con mobili ancièn regime.
La nostra stanza ha
le tendine e la trapunta verde, è molto accogliente, e sta in mezzo
ai monti e ai fiori. Paulo ci prepara una zuppa di pesce con verdure
e zucca, innaffiata da vinho tinto e accompagnata da riso e favette.
Arriviamo a letto,
distrutti ma soddisfatti. Intorno, silenzio, solo qualcuno dei mille
cani che latra alla luna (che cresce, ma ha una strana posizione
notturna, inversa rispetto alla nostra in Italia).
Ci svegliamo bene,
colazione, e andiamo verso Faja de agua, sul mare dalla parte opposta
al porto.
Lunga camminata su
crinali e sentieri scoscesi, che seguono i monti e le ribeire
fluviali.
Si unisce a noi,
quasi sino a Nossa Senhora do Monte (5 km), Revy -un liceale che
vuole fare il pilota e addestrarsi in South Carolina.
Quest'estate andrà
lì per la terza volta, e -come moltissimi di qui- vorrebbero
raggiungere le migliaia di conterranei che, negli ultimi due secoli,
si sono già trasferiti a Providence, a Boston o a Patka e vivono da
americani.
Insomma: anche in
quest'isola sperduta il mito USA è bello forte.
Raggiungiamo il
mare, dopo altre due ore di cammino più scosceso.
Tutto il percorso è
costellato da fiori coloratissimi (ibiscus rossi, lantane, orchidee e
campanule violette, fiori del paradiso, i sensuali fiori del
banano...) e poi da enormi ragnatele di ragni tessitori, altissime
dracene e agavi verdissime e giganti, alcuni baobab, ficus magnolia e
le intricate radici scoperte di piante grasse sconosciute...
Ammiriamo le
semplici, eleganti casette vecchie in pietra, ancora vissute in
parte, nonostante la forte emigrazione, le terrazze di coltivazione
(fontainhas) che cercano di sfruttare la poca acqua sino all'ultima
goccia, in un sistema che ricorda quello delle oasi nel deserto.
Il baretto O
Coqueiro (la palma da cocco) ci offre un'omelette ed una birretta
Strela, che mangiamo e beviamo con gusto e fame.
Relax pomeridiano
tra le case e le palme, poi troviamo un passaggio su un furgoncino di
gentilissimi muratori, sino al bivio per la città.
Riposino e cenetta
di pesce arrosto e sopa ci attendono.
Andremo a dormire
presto perchè domani si torna a Fogo, per tre notti, ultima tappa di
questo nostro bel pellegrinaggio pedestre ed aeronavale.
Ci aspettano
caldeiras e vulcani attivi: due anni fa il Pico (alto quasi 3000
metri) ha seppellito duemila case in una disastrosa e spettacolare
eruzione.
Ma ve ne parlerò a
tempo debito.
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