lunedì 22 settembre 2014

sua sommergenza

Si sta entrando nello stato di emergenza globale permanente.
O sarebbe meglio dire, nella sommergenza, visto che ne siamo e saremo sommersi.
L'insieme dei fenomeni del disordine planetario, a tutti i livelli, cresce in intensità, frequenza e durata.
La catastrofe ambientale, ormai irreversibile, va a mescolarsi con le guerre e la crisi economica strutturale, che a sua volta si lega ad una crisi delle istituzioni politiche senza precedenti (recenti).
Chi promette soluzioni, oltrechè ridicolo, è solo un bugiardo patentato.
E chi si agita inutilmente (con cortei, petizioni, solidarietà ) fa solo più inquinamento, mentale ed acustico.

In questo intrico di situazioni correlate e vicendevolmente catalitiche, ogni gruppo tende a proteggere solo se stesso, il che accentua la violenza discriminatoria ed escludente del sistema.
E il modo migliore per proteggersi e prender tempo rispetto ad altri è accaparrarsi le risorse residue, acquisire territori, terrorizzare i popoli e soggiogarli, opprimerli con i ricatti e le minacce.
E avanza la catastrofe umanitaria, dei profughi infiniti, in infinita fuga.
Chi subisce tutto questo cerca di fuggire verso luoghi ancora benestanti, o anche solo più tranquilli, vivibili o anche solo visibili.
O cerca di riacquisire le risorse cedute, le terre confiscate, i diritti perduti (vale anche per la renaissance sardista degli ultimi mesi).

Tutto questo sta avvenendo rapidamente davanti ai nostri occhi, sulle nostre spiagge, o molto vicino a noi.
Quando sono stato in Kurdistan, venti giorni fa, non era difficile capire quel che sta avvenendo su quelle frontiere.
Ma non è necessario andare così lontano.
Basta guardarsi attorno, è sufficiente stare nel mio bel giardinetto: il numero dei barboni e degli sbandati è sempre più alto, i ragazzi neri che si affollano sulle panchine crescono.
E si uniscono a ragazzi sardi, molto giovani, alla ricerca di alcool, canne ed eroina.
Sugli scalini di Sant'Eulalia, ma anche in via Lepanto, rivedo scene che non si vedevano da qualche tempo: ragazzi tremanti, in preda a convulsioni e a vaneggi tipici dell'eroina (ma non si vedono siringhe, ora se la fumano...)
E un angolo della piazza si sta trasformando ormai in un pisciatoio.

Stiamo per essere sommersi da noi stessi, da quel che non riusciamo a smettere di fare, da quella che chiamiamo 'la nostra vita'.
Come se fosse una trappola senza uscite, una strada senza altre strade.




venerdì 19 settembre 2014

che cos'è la destra, cos'è la sinistra...

I NO hanno vinto in Scozia.
Ma come si può pensare di poter governare con una minoranza di sì che raggiunge il 45% ?
In che senso una maggioranza vince su questioni come queste ?
Il livello di fiducia ed il senso di appartenenza allo Stato unitario sono evidentemente bassissimi, in quasi metà della popolazione.
E chissà quanti dei No significano la stessa cosa, seppure apparentemente preferiscano (per paura del cambiamento o della novità, non certo per adesione al sistema attuale) di restare come e dove stanno.
Le regioni ricche vogliono l'indipendenza, vogliono separarsi dalle zavorre, vogliono riavere in mano le proprie risorse e le proprie tasse.
E' una strada che, al di là dei risultati di ieri, appare ineluttabile.
E non per motivi identitari, culturali, linguistici, ma soprattutto economici.
Gli stati unitari, comunque, non hanno più alcun senso.
Lo statalismo è una forma di organizzazione che potrà reggersi in piedi, d'ora in poi, solo attraverso gli eserciti.
Andrebbero esplorate altre strade che, come pensava Langer, tenessero insieme il massimo di buona distinzione col massimo di buona interdipendenza (il che si potrebbe tradurre in un vero macroregionalismo federale, se queste parole non fossero ormai state consegnate al leghismo).
Oggi, in questi nostri stati e in queste nostra finta Unione, non abbiamo nè l'una nè l'altra.
Abbiamo solo il peggio del nazionalismo patriottico, del localismo ottuso, e della violenza finanziaria chiamata BCE.

Il FMI e l'ex Ministro Sacconi plaudono al Job Act di Renzie.
Che non è altro che la riforma Ichino camuffata.
La realizzazione del sogno liberista attraverso il centrosinistra, come è già accaduto con Treu e Fornero.
D'altra parte, che cosa si può dire ai sindacati ?  Di smetterla con i soliti slogan del passato, che hanno sempre e solo garantito la loro stessa sopravvivenza e non certo tutelato chi lavora e chi non lavora.
Il processo di 'fine del lavoro a tempo indeterminato' ( e delle garanzie ad esso inerenti) è ineluttabile e dobbiamo rassegnarci ad un futuro senza lavoro.
L'unica cosa seria da fare sarebbe :
1. prepensionare a max 60 anni tutti quelli che hanno oggi un lavoro a tempo indeterminato, e far entrare a lavorare al loro posto trentenni e quarantenni che rischiano di passare la loro vita senza lavoro;
2. abolire gli ammortizzatori sociali assistenziali che durano da decenni e istituire il reddito minimo di cittadinanza;
3.riconvertire la produzione verso attività  ecologiche e poco energivore, verso la cultura e i l'autogestione sociale.
Ma chi farà mai cose simili ?
Ecco perchè, dopo la Fornero, ci penserà Poletti a smantellare quel che resta.
Prima del grande, nuovo, formidabile attacco alle pensioni e alla sanità pubblica.
Ne vedremo delle belle...





un grande

http://www.repubblica.it/spettacoli/musica/2014/09/18/news/leonard_cohen-96030675/?ref=HREC1-41

giovedì 18 settembre 2014

le nostre gang

In un profetico pamphlet anti-Nixon del 1971, uno spumeggiante Philip Roth prende in giro il Presidente e la stampa che finge di intervistarlo.
I giornalisti hanno nomi come Mr. Leccaculo, Mr.Audace, Mr. Rispettoso, Mr. Sagace, Miss Incantevole, Mr. Pratico, Mr. Coglimi in contraddizione, Mr. Affascinato, Mr. Ragionevole, Mr. Fattivo...
In generale, non ce n' è uno che faccia una domanda decente, appaiono tutti sdraiati come scendiletti davanti al capo.
Il brano mi è tornato in mente mentre guardavo (zapping) il 'nuovo' Ballarò e il 'nuovo' DiMartedì.
La solita sbobba, la trita ripetizione di luoghi comuni, delle solite domande e delle solite risposte.
Una noia mortale.
Molto meglio 'Piazza Pulita' di lunedì, dedicata alle guerre, all'Isis e al Kurdistan.
Ottimi servizi dal fronte, vero giornalismo.

Non capisco. Come possono questi giovani dire quello che dicono di me ? Come possono scandire quegli slogan, brandire quei cartelli...su di me ?...
Eppure quando ho fatto quel discorso a San Dementia sembrava tutto così...così perfettamente e, se me lo consentite, così brillantemente innocuo. Cinque minuti dopo non ricordavo neanche più che cosa avevo sostenuto. E adesso i miei avversari politici sono talmente desiderosi di spodestarmi, mancano talmente di rispetto, non solo a me, ma all'augusta carica della presidenza, che hanno preso le poche parole inoffensive e assolutamente prive di significato pronunciate da me quel giono e le hanno trasformate in questa mostruosa vergogna!
Signori, io non sono un pivellino, lo so che in politica si gioca sporco.
Ho visto ogni sorta di trucchi e raggiri, falsificazioni, mistificazioni, distorsioni, citazioni fuorvianti, nonché, ovviamente, sfacciate negazioni della verità.
Anni fa sono stato a guardare con disgusto e orrore quando hanno messo in croce il senatore John Mc Catastrophy solo perchè continuava a cambiare idea sul numero dei comunisti al Ministero degli Esteri...

L'altra sera sono andato a vedere 'The look of silence' (che tradurrei 'Lo sguardo del silenzio'), un docu-film dedicato alle stragi di 'comunisti' (un milione di persone uccise) in Indonesia, nel 1965.
Tutta propaganda americana, i comunisti non c'erano: si trattò di un colpo di stato militare in piena regola, e quelle persone sono ancora al potere, impunite, laggiù.
Le vittime, ancora oggi, hanno paura di ricordare, rimuovono, negano, affidano a Dio la vendetta.
I carnefici ne parlano ridendo, esaltandosi nel ricordo, pensandosi ancora eroi e salvatori della patria. Terribile, ma da vedere.

Tricky: Capisco...capisco...Va bene, ci sto! Ecco...così bisogna comportarsi durante una crisi, con risolutezza! Proprio come ho scritto nel mio libro: 'Un agire risoluto allenta la tensione che va accumulandosi nel corso della crisi. Quando la situazione richiede che un individuo si trattenga per un lungo periodo dall'agire con risolutezza, allora la crisi può diventare estremamente sfibrante'.
Vedete, il punto non è che cosa si decide, ma il fatto stesso di decidere.
Altrimenti c'è quella dannata tensione, troppa tensione, e vi garantisco che si rischia di crollare.
E io fino a quando sarò Presidente degli Stati Uniti non crollerò, voglio che questo sia ben chiaro.
Se leggete il mio libro, vedrete che tutta la mia carriera consiste, più che in qualunque altra cosa, in questo:non crollare. E non intendo cominciare adesso...

(le citazioni sono tratte da Ph.Roth, La nostra gang, Einaudi)

Non sembra di sentire Renzie ?
Anche ammettendo che non siano in malafede e che ci amino davvero, e che facciano tutto questo (anche) per il nostro bene, e che ci credano sinceramente (è dura, ma proviamo a crederlo).
Ammesso e non concesso tutto questo, Renzie mi sembra come quell'ex fidanzato che ha avvinto in un abbraccio mortale la sua ex e si è buttato dal settimo piano con lei, ammazzando entrambi.
Questi non crollano, dicono.
Ma quando crollano ci portano con sé nell'aldilà, per amore.
E forse moriremo solo noi, per giunta.

Loro hanno sempre il paracadute, anche quando fanno la scena di suicidarsi.

mercoledì 17 settembre 2014

l'ennesima ultima spiaggia

Quando un nostro Capo del governo inizia a parlare di ultima chance per l'Italia, significa che il suo mandato è agli sgoccioli.
E' già capitato a persone ben più potenti (e molto meno simpatiche) di Renzie.
La grande, ennesima autoillusione sta iniziando a sfracellarsi, come le altre e come tutte, contro la dura realtà.
Le bugie hanno le gambe corte, si dice.
Magari fosse...
Prima avevamo un solo grande bugiardo, Berlu.
Ora abbiamo ancora lui, e in più un altro, l'ineffabile Renzie.
Da uno a due, e alleati: bel guadagno.
Il tutto attraverso i voti degli elettori PD-Repubblica.
Ottimo risultato, grazie.

Obama, l'altro immenso Pinocchio mondiale: fa finta di credere di poter davvero sconfiggere l'Isis con i bombardieri e i droni, dall'alto. Ma ben sa che solo un intervento di terra, forse, potrà servire (ma c'è da dubitarne, visti i risultati in Afghanista e Iraq).
E, nonostante le promesse contrarie, lo farà, perchè - nelle sue premesse- dovrà farlo.
Così come manda l'esercito in Liberia per affrontare Ebola ( e la popolazione locale si chiede: ma non ci servivano i medicinali e i medici ?).
Così come affronta e affronterà militarmente le catastrofi ambientali.
E' un'unica logica, quella della guerra, che ci governa.
Ma la decadenza è ineluttabile, non ci sarà guerra che tenga: USA ed Europa sono alla frutta, è evidente.

L'Europa, lo ammetteva ieri sera lo stesso Prodi, è sulla via del fallimento, ancor prima di provarci davvero.
Gli USA, ci hanno provato ed hanno dominato il pianeta per un secolo, riuscendoci.
Ma miliardi di persone ormai li odiano nel mondo.
E, per quanto possano il denaro e le armi, non si può governare a lungo un sistema solo con essi.
Sotto sotto, ma neanche tanto (basta aggirarsi per l'Oriente e in Africa), chi ci attacca ha il sostegno di tanta parte della popolazione mondiale che, apparentemente, obbedisce e sta sotto, al massimo protesta pacificamente, ma di fatto appoggia la guerriglia degli insorgenti.
Altrimenti non ti spiegheresti la resistenza talebana, o la capillarità di Al Qaeda, o la potenza persuasiva di Al Baghdadi.

Il mondo, giustamente, è stanco di noi.
Ed anche la natura.
E ci faranno fuori, nell'arco di pochi decenni.
Se avessimo appreso qualcosa, o avessimo intenzione di cambiare stili di vita, avremmo qualche chance.
Ma non è così.
L'Occidente persevera nei suoi errori e li chiama valori, virtù, diritti, doveri, responsabilità.
Se esiste, il Diavolo siamo noi.
E così, assediati tra due Satana che si credono Dio, faremo la fine che indubbiamente ci meritiamo.


   




domenica 14 settembre 2014

capo fraschetta

Checchè ne dicano giornali e tv la manifestazione a Capo Frasca è stata un vero flop.
5000 persone, dopo tanto battage e tante adesioni apparenti, è un numero di partecipanti davvero esiguo.
Un grande bluff, insomma.
Peraltro, la qualità dei partecipanti era bassissima, un mix esplosivo di selvaggi, professionisti della politica e radical chic.
No, non voglio le basi militari,
Ma non voglio partecipare neppure a questa roba, mi dispiace...

I decapitati si susseguono nei video dell'Isis, che viene così presentata come mostruosità infame e senza cuore.
Cameron e Obama si stracciano le vesti davanti a tanto orrore.
Sarebbe interessante mostrare, in parallelo, le foto di tutti gli arabi che abbiamo ammazzato in questi ultimi anni, da terra e dal cielo,nei villaggi afgani o iracheni, in Africa e anche in Europa, nel nostro Mare Nostrum, dentro i barconi.
Sarebbe bello vederle una ad una, insieme a quelle dei torturati a Guantanamo (che sono ancora lì, ovviamente).
Così capiremmo che i mostri non sono da una parte sola, almeno...

Quel che spaventa dell'Isis è vedere come colpiscano giornalisti e volontari, persone comuni, innocenti e colpevoli di essere solo se stessi, e vengano presentati come rappresentanti dei loro governi o stati.
Pagheremo noi, persone comuni, al posto di chi ci governa.
E' un prezzo molto alto per la nostra collusione, sapendo che i nostri capi resteranno ben difesi nei loro fortini.
E' la guerra, una follia assoluta, come ha detto il Papa a Redipuglia.
Grande discorso il suo: soprattutto quando ha parlato di terza guerra mondiale già in corso, ma 'a pezzi' e ha chiesto all'umanità di mettersi a piangere, di piangere su stessa, e così di apprendere qualcosa dalle guerre trascorse.
Ed invece nulla: non siamo capaci di piangere su noi stessi. E di apprendere.
Ripeteremo tutto il novecento, guerre e lager compresi, all'ennesima potenza.
Sta già accadendo, basta decidersi a vederlo.
Lo stiamo già rifacendo.
La catastrofe è anche questo: una catastrofe della ripetizione infinita, del non apprendimento, della retorica pacifista e della retorica militare, come sempre.





accettare (l'accetta)




Si crede di poter cambiare le cose intorno a sé secondo il proprio desiderio, lo si crede perchè non si vedono soluzioni favorevoli all'infuori di questa. Non si pensa a quella che si realizza più spesso e che è altrettanto favorevole: non riusciamo a cambiare le cose secondo il nostro desiderio ma, a poco a poco, il nostro desiderio cambia.
La situazione che speravamo di cambiare perchè ci era insopportabile, ci diventa indifferente. Non abbiamo più potuto superare l'ostacolo, come assolutamente volevamo, ma la vita ce l'ha fatto aggirare, oltrepassare, ed è un miracolo se, tornando a volgerci verso la lontananza del passato, riusciamo ancora a scorgerlo, tanto impercettibile si è fatto.

Sollevando un angolo del pesante velo dell'abitudine (l'abitudine istupidente che per tutto il corso della vita ci nasconde pressochè l'intero universo e che in una notte profonda, lasciando immutate le etichette, sostituisce ai veleni più pericolosi o più inebrianti della vita qualcosa di anodino che non produce alcuna delizia), i ricordi tornavano a me come il primo giorno, con quella novità fresca e penetrante di una stagione che riappare, di un cambiamento nella tranquilla monotonia delle nostre ore...

Perchè all'inizio la vecchiaia ci rende incapaci di intraprendere, ma non di desiderare.
E' solo in un terzo periodo che chi vive in un'età molto avanzata rinuncia al desiderio come già ha dovuto abbandonare l'azione...Si accontenta di andare a passeggio, di mangiare, di leggere i giornali, sopravvive a se stesso...
E accorgendomi di non provare gioia che lei fosse viva, di non amarla più, avrei dovuto essere più sconvolto di uno che guardandosi in uno specchio dopo mesi di viaggio o di malattia si accorge di avere dei capelli bianchi e una faccia nuova, d'uomo maturo o di vecchio.
E' una cosa che sconvolge perchè vuol dire: l'uomo che ero, quel giovane biondo non esiste più, io sono un altro...Ma di essere diventati un altro, col passare degli anni e nell'ordine della successione del tempo, non ci si affligge più di quanto ci si affligga, in uno stesso periodo, d'esser via via gli esseri contraddittori -il cattivo, il sensibile, il delicato, il villano, il disinteressato, l'ambizioso- che si è via via in ogni giornata.
E la ragione per cui non ci si affligge è la stessa, cioè che l'io eclissato, momentaneamente in quest'ultimo caso e quando si tratta del carattere, per sempre nel primo caso e quando si tratta delle passioni, non è più lì a deplorare l'altro, l'altro che è in quel momento, o è ormai, tutto ciò che siamo; il villano sorride della sua villania quando siamo il villano, e lo smemorato non si rattrista della sua mancanza di memoria perchè, appunto, se n'è dimenticato...
Smettendo di vedere Albertine, avevo smesso di amarla, mentre non avevo smesso d'amarmi perchè i miei legami quotidiani con me stesso non erano mai stati interrotti come, invece, con lei. Ma se anche quelli con il mio corpo, con me stesso si fossero interrotti...? Sicuramente sarebbe accaduta la stessa cosa.
Il nostro amore della vita non è che una vecchia relazione di cui non sappiamo liberarci.
La sua forza sta nella sua permanenza. Ma la morte, interrompendola, ci guarirà dal desiderio di immortalità.

(M. Proust, Albertine scomparsa, ultimo volume della Ricerca, la cui lettura va quasi a concludersi...)

A furia di anestetizzarsi, si rischia di morire, come l'orsa Daniza.
Ma, senza anestesia dei desideri (visto che non ricorro ad alcool o droghe o religioni), soffrirei troppo oggi.
Vivo come in apnea, respirando meno che posso, per paura ( e con la sensazione-convinzione ) che non ci sia -almeno per me- abbastanza aria...
Accetto il crucifige, e così sia...




giovedì 11 settembre 2014

la grande devastatrice

E' arrivato un nuovo 11 settembre, e si stanno creando tutte le condizioni perchè ce ne siano altri in futuro.
La nuova coalizione anti-ISIS indetta ieri da Obama, che procederà a bombardare il Medio Oriente, non contenta dei fantastici risultati già raggiunti in Iraq, ci getta definitivamente in pasto alla guerra per i prossimi decenni di vita.
La guerra ci inghiotte nelle sue spire, torna la corsa agli armamenti (che, di fatto, non si è mai interrotta, nonostante la crisi): Putin ieri ha dichiarato che gestirà direttamente i nuovi acquisti al mastodontico mercato delle armi.
Si sente aria di nuova guerra fredda e tiepida e calda.
Il militarismo e la militarizzazione appaiono ancora come l'unica strada e l'unica soluzione percorribile ai governi e alla maggioranza dei popoli.
Questo non produrrà altro che violenza, disperazione e morte.

In questo disastro generale, che appare irreversibilmente votato alla devastazione di quel poco che resta delle nostre vite (per non parlare delle vite di chi non sta nel 'benessere' come noi, ma vive già in guerra da anni), fanno davvero sorridere le polemiche sulle basi e servitù militari in Sardegna.
Ogni tanto i politici si svegliano e fanno finta di fare la voce grossa, o di scoprire ora quel che si sa da sempre.
Si sono abbarbicati da decenni su compensazioni economiche, promesse di sviluppo, collusioni e tangenti.
Ed ora si arrabbiano per un nuraghe distrutto, un ambiente devastato, un turismo impossibile.
Sono solo ridicoli.
Peraltro, non mi sembra proprio la fase per ottenere riduzioni delle servitù; anzi alcune aree serviranno sempre di più, vista l'aria (di guerra) che tira.
Magari le nuove tecnologie rendono obsolete le grandi esercitazioni simulate, ma certo non la sperimentazione di nuovi sistemi d'arma o di nuove bombe.
Su questo la Sardegna è un avamposto insostituibile, una sorta di colonia interna utilizzabile senza remore e ritegno, sin dagli anni 50.
E la situazione non cambierà con un corteo o una petizione, inutile farsi illusioni.

Noi proseguiamo a non renderci conto dell'odio che stiamo seminando intorno a noi, su di noi e nei nostri confronti.
E non ci rendiamo ancora conto di quante adesioni e sostegni suscitino i califfi, e gli insorgenti in genere, nel mondo arabo.
E quanto lo scontro tra civiltà ( o quel che prova a presentarsi e camuffarsi come tale) si stia facendo reale nel mondo.
In realtà, non di due civiltà si tratta, ma sempre della stessa: quella fondata sulla guerra, sullo spirito di crociata, sull'espansionismo totalitario e monoteistico.
E' il patrimonio comune, e mai soppresso, dell'unica civiltà umana dominante: quella della violenza militare, della gestione bellica dei conflitti, della supremazia attraverso la potenza della morte.
Il nichilismo, fase suprema del capitalismo.



domenica 7 settembre 2014

dis-orient-amenti est-ivi

Verso Ankara, scelgo il traghetto da Eminomu a Kadikoy, stracolmo di turchi vocianti.
Scopro che Kadikoy non è altro che l'antica Calcedonia, così come Manisa è la storica Magnesia, e che Ikniz è stata Nicea, e che Bodrum (ora piena di pancioni tedeschi bianchicci stesi al sole) è stata un tempo nientepopodimeno che Alicarnasso!
Romani, greci, ma ancor prima accadici, ittiti, babilonesi, sumeri, frigi, lidi, lici, e poi persiani...
Quanta storia, e quante storie, una sopra l'altra, una dentro l'altra...
Ritornano i ricordi del ginnasio, le tante versioni di greco sui re e i miti di allora.

Oggi, a Beyoglu, ho visto una giovane donna, tutta coperta di nero, uscire da un negozio di lingerie alla moda, tutta felice, con delle buste d'oro, piene di biancheria intima.
Ma che (doppia) vita fanno ?

Ankara, una delle più sconclusionate, arraffazzonate e brutte capitali del mondo, direi.
La distanza da Istanbul è abissale, sembra di essere tornati in Bulgaria, con ancora meno Europa e più Asia.
Problema tipico anche di altre capitali 'ammnistrative' che devono fare i conti con le vere capitali 'storiche': vedi Bonn rispetto a Berlino, Washington rispetto a New York, Brasilia con Rio.
Metropoli enormi, senza capo né coda, con belle storie divorate dall'edilizia e dalla surmodernità.
Cosa resta oggi della capitale frigia di Gordio (sì, quello del nodo), del Re Mida, delle lane di capra d'angora ?
Eppure, anche in un posto così, tanta umanità, gente che ti accoglie, che è curiosa, che ti ascolta e cerca di anticipare i tuoi desideri, di aiutarti e di nutrirti.
E poi il Museo delle civiltà anatoliche, da solo, vale la visita alla città: la parte su Catal Huyuk, la città della Gimbutas e della Eisler, è stata veramente emozionante...!

L'Anitkabir, l'enorme mausoleo del padre della patria, il mitico Ataturk, è un luogo tipico della mania totalitaria, che tiene insieme mitomania e paranoia bellicista e nazionalismo e culto retorico dell'unità popolare.
Mustafa Kemal, un vero despota progressista e scientista, che ha occidentalizzato un paese in soli 15 anni di dominio quasi incontrastato.
Un personaggio a tutto tondo, bello e demoniaco, un po' attore, soldato e dandy, solitario e uomo di mondo. Ancora oggi, per loro, un mito.
Ma forse non quanto Erdogan, almeno per la maggioranza dei turchi odierni.
E' stato sorprendente vedere la folla assieparsi attorno alla Haci Bayram Cami, ed ho subito capito che stava accadendo qualcosa di grosso.
Il poliziotto a cui mi sono rivolto mi ha spiegato che 'era arrivato il Primo Ministro' (lo chiama ancora così, anche se formalmente ora è il Presidente).
La gente era davvero presa, divertita ed entusiasta, voleva entrare a tutti i costi dentro la moschea, per salutarlo o almeno fotografarlo. Faceva impressione vedere pastori, contadini, casalinghe, donne in nero con i loro smartphone ultima generazione, fotografarlo e mostrarsi i trofei a vicenda...

Sul piazzale dell'enorme moschea moderna, che tenta di imitare quelle di Edirne e di Istanbul, un bambino si lascia scappare un palloncino rosso, che il vento si porta via, in alto, verso altrove.
Lo seguiamo con lo sguardo, entrambi, sino all'ultimo, sino a quando non scompare.
Lui sembra allegro di averlo perso, io più malinconico.
Stasera non ho neppure fame, ho nausea anzi.
Mangiare era una delle poche attività 'umane' che mi restavano...

A fianco della moschea i bagni separati per Bay (maschi) e Bayan (femmine).
Due sole letterine, stessa radice, come Uomo e Uoma nella Genesi.
Nomi similissimi, ma le distanze e le separazioni, alla faccia di Ataturk, resistono eccome, anche qui.
Stamattina ho fatto colazione con una sorta di cappuccino e qualcosa che sembrava un dolce.
Quando l'ho intinto ho capito che quel che sembrava del cioccolato erano dei pezzettini di olive nere tagliuzzate. Un misto esplosivo...

Eccomi di nuovo al secondo aeroporto di Istanbul, il Sabiha Gokcen.
Ho scoperto tre cose: che i voli diretti in Turchia sono merce rara, devi sempre ripassare per Istanbul ovunque tu voglia andare.
Che la Gokcen è stata una figlia adottiva di Ataturk e la prima donna pilota di guerra turca.
Che il posto dove sto andando si legge Malàtia e non Malatìa, come pessimisticamente io pensavo...

A Malatya, caldo ammorbante, 40 gradi di giorno, 30 di notte.
Meno male che c'è l'aria condizionata in stanza.
Riprendo contatto con la tv: Al Jazeera è un continuo mostrare guerre, attentati e disastri.
D'altra parte, a poche centinaia di km da qui, ci sono Iraq, Siria, Libano, Palestina.
La Turchia attualmente accoglie 850.000 profughi siriani.
Ma tutto scorre, anche qui, come se niente accadesse intorno, vicino...

Verso il Nemrut Dagi.
Breve pausa pranzo, in un posticino in mezzo al deserto di montagna dell'Anatolia centrale.
Passa un auto ogni dieci minuti, sono all'ombra di un caro albero, mangiucchio pita e olive nere, una pesca, acqua. Un bambino mi vende dei semi di girasole.
La mia trasformazione in turco procede: la barba cresce, il viso si abbronza, il cappello a visiera comprato a Ulus fa il resto.
Molti mi credono turco, e mi parlano come se lo fossi, e restano stupiti che non lo sia.
Siamo solo in due nel tour, io e un giovane ingegnere informatico taiwanese, Thin.
In questo deserto del nulla, arriviamo ad alloggiare al Karapinar (sorgente nera), tra gli alberi folti e le chiare, fresche, dolci acque di un magico ruscello. Un piccolo paradiso.
Ma prima il nostro autista si è fermato nel villaggio per consegnare ad una figlia piccola le medicine
per la nonna, comprate in città. E a prendere il pane per il motel, passando da un forno rurale, a 10 km da qui. Turismo familiare, ancora molto in piccolo, perfetto.

Il Re Antioco, al momento di morire, si è fatto (fare) un mega-monumento su una montagna alta 2000 metri; il suo trono stava assiso in mezzo agli dei, a Zeus, ad Apollo, a Tyche, ad Ercole, a leoni e aquile, a significare potenza, caso e fatalità, necessità, vita e morte, nascita e declino.
Un terremoto, uno dei tanti qui in Anatolia, ha fatto sfracellare i corpi di dei e semidei, e le teste sono cadute in basso, andando a finire per terra, miseramente, catastroficamente...
E quale bellezza da questo crollo...!
Il luogo è indescrivibilmente bello, il panorama intorno, desolato e immenso, le teste a terra, quasi attonite ancora dalla caduta inattesa e improvvisa: i loro sguardi sono alteri e dolci, malinconici e protervi, impotenti e regali.
Soprattutto il lato ovest, quello del tramonto, quello in cui la vita volge al termine, preserva l'ordine caotico della caduta, la totale casualità del rotolamento e dell'attrito,
Dispiace che l'area sia recintata: i volti sono talmente belli che verrebbe voglia di avvicinarli ed accarezzarli piano.

Non mi cambiano i soldi in banca a Malatya, perchè ho la carta d'identià e non il passaporto.
Il sistema informatico non mi accetta.
Allora mi indicano un ufficio di cambio, ma non riesco a trovarlo.
Chiedo a un negoziante del mercato coperto: lascia il negozio al figlio e mi accompagna, felice di parlare un po' di inglese.
Torniamo indietro, mi fa accomodare, ordina del thè, e inizia a farmi domande sull'Europa, sull'Italia, su come ho visto la Turchia, su cosa ho visto e cosa sto per vedere...
Il 3 settembre parte per la Norvegia, per partecipare ad un torneo internazionale di bridge.
Ci tiene a dirmi che a Malatya sono islamici, ma non arabi (come invece a Gaziantep o a Sanliurfa).
Ama l'Europa, vorrebbe viverci.
Ma non li abbiamo voluti, non li vogliamo, così pensa...

Sul soffitto della stanza d'albergo (il Kent Otel -Kent vuol dire albicocca, frutto locale molto importante), una freccia indica la Kible (la Kaaba, La Mecca insomma...).
Così puoi rivolgerti nella direzione giusta per pregare, anche nel segreto della stanza.
Io mi rivolgo più facilmente verso il nostro idolo, la tv: fortemente omologata all'occidente, tanto sport, talk show, varietà, videoclip, musica folk, riti religiosi.
Donne sensuali, ammiccanti, ma sempre vestite, o almeno in bikini.
Pubblicità per depilazioni maschili radicali, tappetini per la preghiera scontati, spermatozoi da movimentare, muscolature da gonfiare, arnesi tuttofare per casalinghe.
Trovo spesso una versione turca di 'Lasciatemi cantare', cantate da donne scatenate su un auto scoperta.
Roba molto noiosa, mi sembra.
La notte c'è qualche spot con donne russe o slave che si presentano in discinti costumi e si autopromuovono come 'top model', ma hanno a fianco il numero a cui le puoi chiamare...
Ipocrisia islamica.

Qui, al Chay Salun, molti ragazzi si salutano appoggiandosi le tempie l'uno con l'altro, prima una e poi l'altra. Alcuni sono tifosi del Fenerbache, altri del Galatasaray (ho scoperto che Saray voleva dire 'serraglio'), ma sono amici. La finale di Supercoppa turca li tiene insieme, scherzano e si prendono in giro. Clima tranquillo.
Non così sugli spalti: i tifosi della curva tirano pomodori, bottigliette di plastica, uova, petardi e fumogeni contro il portiere avversario per tutta la partita.
Quando un giocatore va a battere il corner, i poliziotti devono mettersi a testuggine con gli scudi per proteggerlo da tutto quel che arriva dall'alto.
Nessuna ipotizza che la partita possa essere sospesa, sono abituati.
Vince il Fenerbache, vincono gli asiatici contro gli europei: sono contenti che abbia portato fortuna, e che abbia portato sfiga a Prandelli (allenatore dei Galati nemici)...

Fa un certo effetto trovarsi a fianco al Firat, l'Eufrate.
E sapere che domani, in Kurdistan, mi troverò a fianco il Tigri.
Un ragazzo ieri alla partita mi ha chiesto: ti piace la Mesopotamia ?

Diyarbakir, città grande, in espansione, con un'enorme periferia di palazzoni alti e nuovi, 1 milione di persone in movimento. Erdogan sta cercando di tener sotto i curdi, con la polizia e con i soldi.
Il PKK, Partito comunista curdo, è abbastanza spiazzato, anche per le lotte che i peshmerga curdi stanno conducendo nel nord dell'Iraq contro l'Isis, riforniti dagli americani.
Una situazione strana, da cui forse però la causa curda potrà averne degli utili, almeno nel prossimo futuro. Così, almeno, pensa Omar, una persona che vorrebbe farmi da guida, ma che invece incontro nei caffè o per strada, e parliamo.
Che posto, questa città! Che mescolanza di miti, storie e riti (islamici, cattolici, armeni, caldei, ebrei, ortodossi siriaci..., almeno in passato...).
Ora restano i monumenti, e tanta tolleranza in più, soprattutto se pensiamo a quel che sta diventando il Medio Oriente.

Sono circondato da auto e taxi della Fiat (Doblò, Fiorino, Ducato), e i posti intorno si chiamano Silvan, Batman, Cynar e Bingol.
Un caldo infernale, che emana dal basalto nero e dal cemento, dalle rosticcerie sempre in funzione, in un misto surreale di odori e profumi, di carne arrosto e spezie, meloni e angurie, e pensieri di uomini e donne che percorrono da migliaia di anni questo labirinto infinito.
Il giovane barbiere, che mi rasa e mi offre il thè per cinque lire, guarda il comizio di Erdogan in tv, e sembra soddisfatto: 'è uno che fa le cose, che non promette e basta...'
Non ho ancora incontrato un turco che gli sia contro.
Provo a parlare delle proteste, di Gezi Park e di Taksim: 'piccole minoranze', mi dicono veloci, chiudendola lì.
L'oppositore ha preso il 38%, ma -in effetti- il Grande Capo ha avuto la maggioranza assoluta al primo turno. Che dire ?

L'agente da cui vado a fare il biglietto in bus per Van mi chiede se posso invitarlo in Italia.
Potrebbe favorire la concessione del visto.
Per capirci utilizza, come tanti qui, il sistema di traduzione scritta di Google, sul pc.
Gli lascio la mia mail e gli dico di scrivermi, per capire se posso davvero aiutarlo e come.
Immagino che non lo farà, ma lui ci tiene a farmi sapere che vorrebbe andar via, che vorrebbe tentare l'Europa.
In effetti, nella sua agenzia, che pure sta al centro, non pare che ci sia tanto traffico.
Ha la faccia stanca, depressa, ma spera.
Desiderio di fuga. In Europa ?

Il fresco e il colore azzurro dell'immenso lago mi consolano.
Ma il viaggio è lungo, per quanto la compagnia provi a confortarlo: si chiama Best Van (e si legge Best Uàn), offre bibite a bordo, ottima aerazione, film e musica con le cuffie.
E, anche se gli autisti fumano e telefonano troppo spesso, e se la prendono un po' comoda (un'ora di ritardo...), le cose non vanno male a bordo.
Due parole mi seguono da giorni, ovunque: cicek (fiore) e cocuk (bambino).

Van ha vissuto un tremendo terremoto, tre anni fa, e ne porta ancora i segni.
Mi aspettavo una città sul lago e invece Van è arroccata nell'entroterra, a 5 km dall'acqua.
Capitale degli Urartu, dove sei ?
Ce la finisco a mangiare la pasha (una minestra di manzo con i pezzettini di cartilagine e grasso che galleggiano dentro). E meno male che mi aspettavo di mangiare pesce del lago a pranzo e a cena !
Un milione e mezzo di abitanti: me li godo da una panchina, questi terremotati ai confini dell'Asia.
Tantissima gente, soprattutto giovani, tutta concentrata nelle città, con attorno il nulla.
Per strada tanti maschi, qualche ragazza, quasi mai da sola.
Si alza il canto del muezzin.
Le strade sono animatissime, tra gente che sa dove sta andando ed altra che bighellona senza meta, come me.
Che senso ha venire sino a Van, per stare tra gente sconosciuta e leggere Proust su una panchina ?
Cosa mi dà piacere in questo (almeno un poco) ?
Forse proprio il fatto di essere sconosciuto tra sconosciuti.
O di fare qualcosa di solito in mezzo all'insolito ?
La sera scende, la città si illumina e si rabbuia.
E' andata anche questa, qualcosa è accaduto anche oggi, per loro e per me.
Qualcuno racconterà di me a casa sua, ad es. il ragazzo disoccupato che mi ha aiutato a farmi capire dal gestore di un Internet point e mi ha fatto stampare il check-in per l'aereo che dovrebbe riportarmi a casa.

I ragazzi che si aggirano per tutto il giorno con le teiere tornano a casa.
Si smette di spruzzare acqua davanti ai locali.
Si affievoliscono le code al bancomat.
Le serrande scendono rumorosamente.
Con la preghiera delle 20 la vita si ritira tra le case.
Un palazzo stende un'enorme bandiera rossa a mezzaluna e stella: domani è la Festa della Vittoria, quando Ataturk sconfisse i greci.
E' nato anche il nuovo governo: in mano a un fantoccio di Erdogan, Devutoglu, una faccia da fesso.
Allah kosurum, Ay Allah, Masallah...!

Il programmino della giornata prevede una lunga camminata sino alla Fortezza sul lago.
Mostro la mappa, dico ripetutamente 'Kalè, kalè', ma dopo un po' devo arrendermi: deviato dal portiere dell'albergo, avevo letto la mappa esattamente alla rovescia, la direzione che avevo è completamente sbagliata; oltre al fatto che tutti mi prendono per matto all'idea che voglia andarci a piedi. Ci provo, ed è davvero lunga, assolata, non segnalata. Sembra quasi che la vogliano nascondere, eppure è quasi l'unica attrattiva in città. Non capisco.
Ci arrivo, dopo un'ora e mezza di peregrinazioni: ha visto passare selgiuchidi, urtariani e ottomani, è alta e imponente, guarda magnificamente sul lago, ma nulla più.
Mi siedo, stanco e frustrato, all'ombra, alla brezza del lago, e leggo Proust, una sua celebre pagina, che giunge proprio a puntino:
Delle ali, un altro apparato respiratorio che ci permettessero di attraversare l'immensità, non ci servirebbero a nulla, perchè se andassimo su Marte o Venere conservando gli stessi sensi, questi rivestirebbero con l'aspetto medesimo delle cose della Terra ciò che ci fosse dato vedere.
L'unico vero viaggio, il solo bagno di Giovinezza, non consisterebbe nell'andare verso nuovi paesaggi, ma nell'avere altri occhi, nel vedere l'universo con gli occhi di un altro, di cento altri, nel vedere i cento universi che ciascuno di essi vede, che ciascuno di essi è...

Al ristorante, sono circondato da immagini di gatti bianchi (scoprirò poi che la zona è famosa per una specie a coda corta o senza coda).
In mezzo a un ricevimento nuziale, con tanti invitati e musiche folk dal vivo.
Si sta bene qui, manca solo una bella ragazza da baciare, vedo solo vecchie culone o ragazzine imberbi. Alcune, tutte infazzolettate, sembrano suore.
Provo ad arrivare al lago, senza risultato: cammino tra aquitrini, recinzioni e cani rabbiosi.
Mi viene un attacco di diarrea, torno a casa, arreso.
Sul parabrezza del dolmus che mi accompagna la scritta 'Can Filistin', che immagino voglia dire Viva Palestina o La Palestina vive (e da cui colgo anche la somiglianza tra palestinesi e filistei).
Ma non mi arrendo del tutto: la sera vado ad Iskele per cercare ancora una volta il lago e dei pesci a cena, e li trovo entrambi, al buio, senza corrente elettrica.
Il ristorante si attrezza con lumini, cerco di non ingoiare troppe spine dei pescetti appena pescati sul lago di Van...
E' il punto più a est in cui sono stato nella vita, se escludiamo l'ultimo viaggio in Laos e Cambogia.
Si respira l'aria dell'Ararat, dell'Armenia e della Georgia, luoghi che mi attirano per viaggi futuri.

All'aeroporto di Van un signore è passato con un sacchetto di dolcetti e ne ha distribuito a conoscenti e non.
Ora sono seduto sul secondo aereo, a fianco a due simpatiche signore, di cui una- ben vecchia- assomiglia a Maria Lai: mi offrono un grissino dalla loro busta. Belle usanze...
Per darvi un'idea della lingua, vi leggo: otururken emniyet kemerinizi bagli tutunuz /tenere le cinture da seduti, oppure: can yelegi koltug unuzun altindadir/giubbotto di salvataggio sotto il sedile.
Un altro mondo, proprio...

Izmir, tramonto sul Konak.
Tanta gente tranquilla, sul prato, sugli scogli, sui moli, che -come me- lo attende.
Il cielo si arrossa, come da milioni di anni, in questa città antichissima e levantina.
Pensavo di trovare l'Oriente andando più a est, verso Van.
Ed invece lo ritrovo ad Occidente, qui nella magnifica Izmir...
Una limpida brezza che sale dal mare, temperatura perfetta e cielo struggente.
Dal molo partono delle piccole motonavi verso Alsancak e Foca (l'antica Focea).
Il sole scende ed è veramente splendente, rosso-viola-arancio.

Arrivo alla Kalè col 33, una bella donna del popolo ha provato ad aiutarmi su dove scendere ma l'ho capita tardi. Scendo al capolinea, e mi dirigo a piedi sotto il sole.
Allora l'autista, che sta tornando indietro, mi riapre la porta e mi riconduce alla fermata giusta, indicandomi la strada.
Qui da Kadifekale, piena di pugliesi e di gadget, si vede un faccione di Ataturk e dall'altro lato l'immensità dell'abitato e del golfo.
E' incredibile la quantità e la paciosità di cani e gatti randagi che si aggirano per le sue mura (ma anche, stamane, tra i ruderi dell'Agorà, un altro luogo bellissimo...).

Ultime ore, cerco di ritrovare la via delle sinagoghe.
Le trovo, sono tutte abbandonate, lacere, svuotate.
Un vecchio signore si spaccia per rabbino sefardita, parla spagnolo e mi racconta di suo padre, e di quando c'era ancora la comunità, e suo padre era vivo.
Mi mostra le foto dell'interno della sinagoga centrale, e mi chiede qualcosa.
La messinscena merita almeno 5 lire, e gliele do.

Arrivare all'aeroporto di Smirne, con la metro, sembrava una roba facile.
E invece qui non puoi prendere la metro se non hai una carta, che costa un bel tot.
La bigliettaia, davanti alle mie insistenze, fa usare la carta di una ragazza, e io le do le 2 lire che costerebbe il biglietto.
Ma, nella stazione di scambio, ci sarebbe da fare lo stesso giro, il passaggio non è automatico.
Allora, devo impietosire un poliziotto, che mi fa passare anche lui, questa volta senza nemmeno pagare. Che cuori d'oro, in questa città!
All'aeroporto dovrei rincontrare Cristiano, dopo 15 giorni di separazione, ma lui non c'è.
Viaggio con il sedile a fianco vuoto, cerco di immaginare cosa abbia deciso alla fine, e- comunque- sento che è stato meglio così...

Andare da Kadikoy al Sabiha Gokcen è oramai un'abitudine.
Ma questa è l'ultima volta, almeno per ora.
Il viaggio sta finendo, già metto l'ora italiana, stanotte è anche piovuto, ed è come se fosse il segno della fine d'estate.
Aeroporto pienissimo, le sedie non bastano.
Una ragazza turca giovanissima sta per partire a Stoccolma, in cerca di lavoro.
Ne parla con un suo coetaneo, che ci vive già. Temono molto il freddo che troveranno lì quest'inverno.
Un'anziana signora si è premunita con merendine e simit, per sé e per il marito.
Sono serissimi, non si guardano mai, ma poi -all'improvviso- lui dice una cosa, si guardano, si sorridono, e ridono anche...!
Ryan Air mi avvisa che sul volo da Bergamo per Cagliari qualcuno non ha fatto il check-in online. Non sono io.

Ieri mi sono comprato un set di mutande nuove.
I sandaletti blu di Chang May si sono consumati molto in questo viaggio e sono ancora più belli e vissuti; ho i calli sui talloni ed uno mi fa male, come se avesse una spina, ma è solo stanco.
Ripassiamo con l'aereo su Plovdiv e Sofia, e poi verso Sarajevo, e Verona, e Bergamo...
Mi ritrovo, rapidamente, sul trenino da Elmas, senza intoppi.
Passo dal mio giardinetto, prima di tornare a casa: c'è sempre Franco, a dirigere il traffico dei barboni.
Davanti alla panchina trovo una cassetta di polistirolo: conteneva 6 kg di orate, da Bodrum, Turchia.
Qualcuno se le sarà mangiate, da Deidda o da Lillicu...

La realtà è il più abile dei nemici. Sferra il suo attacco nel punto del nostro cuore in cui non li aspettavamo, dove non avevamo preparato alcuna difesa...








































venerdì 5 settembre 2014

izmirevolissimevolmente

Testo (3 KB)  

İzmır, o Smırne, la magnıfıca.
Ho avuto la fortuna dı beccare un hotelıno nel cuore della cıtta vecchıa, ad Anafartalar, la vıa che taglıa ıl centro storıco, e vıve dı gıorno e dı notte allo stesso modo: ı sıgnorı che bevono the, le donne ınvısıbılı, ı canı e ı barbonı che dormono sulle panchıne, una tv nella pıazzetta comune al fresco per guardare un polızıesco, oppure c’e’ chı gıoca ad un gıoco tıpo pınnacolo ma senza carte…
Vıta totale, assoluta, dısperata, curıosa, assente, perdente e perduta, gıocosa.
Una delle cıtta’ pıu’ ospıtalı che abbıa maı ıncontrato.
Sono arrıvato ın aereoporto e la navetta mı ha deposıtato molto lontano da dove sareı dovuto arrıvare. Ho ınızıato a cammınare e,dopo varı tentatıvı dı ındıcazıone contraddıttorı, ho capıto che qualcosa non tornava.
Mı sono rıvolto a due ımpettıtı dırıgentı d’azıenda a fıne gıornata, elegantı e rampantı.
Mi hanno guardato ed hanno capıto che mı dovevano aıutare, che ad Anafartalar da solo non cı sareı arrıvato.
Hanno cercato ıl numero dell’hotel, hanno chıamato, sı sono fattı spıegare dov’era, mı hanno carıcato sula loro auto e mı hanno portato all’ıncrocıo gıusto: ın pochı mınutı ero ın camera (un bugıgattolo dı 15 metrı quadrı, ın cuı erano rıuscıtı a far star dentro un letto, un bagno, un attaccapannı,un armadıetto, un condızıonatore e una tv!).
Il gıorno dopo, arrıvato a Sardı ın treno (due ore e mezzo per fare 90 km, ma volevo provarlo…) mı sono ınoltrato a pıedı, sotto ıl sole cocente delle 2, per cercare ıl tempıo dı Artemıde.
L’ho trovato e stavo tornando ındıetro: commosso dalla mıa follıa, un sıgnore sı e’ fermato con ıl suo motorıno , mı ha dato un passaggıo sıno al cartello della superstrada ın cuı prendere ıl dolmus per tornare al Vatan Otel.  Nell’attesa ıl tıpo del chıosco mı ha fatto sedere all’ombra della sua tettoıa.
Arrıvato alla stazıone deı bus, la fantomatıca Otogar, mı erano rımastı solo 3.85 TL. IL tıpo che gestıva ı taxı collettıvı mı ha prestato le 15 kr che mancavano per salırcı.
Tutto preso dalla fıducıa nel popolo dı Smırne e dıntornı, sono entrato ın un bel rıstorante dı pesce sul lungomare (ıl Kordon, che parte da Konak e gıunge ad Alsancak…quante Kappa!) e ho scelto un pesce da grıglıa senza guardare ıl menu.
MI hanno fregato e fatto ıl colletto della vıta: ho speso ın una notte quel che dı solıto spendo ın cınque gıornı dı cıbo.
Ah, fıdarsı, che arma a doppıo taglıo!
Ma non me ne pento, questa bellıssıma cıtta e questa bellıssıma gente, sı merıtava anche questo…
Ora sono a Kadıkoy, quası solo ın attesa del rıentro.
Vedo İstanbul dalla sua parte asıatıca, dall’altro lato del Bosforo.
Nulla dı turıstıco ın questo enorme sobborgo, lascıo trascorrere le ore su una panchına o sul molo, a guardar la gente o ad ascoltare ıl caos e la quıete del mondo e dı me.
Domanı torno a casa, dopo l’ennesımo aereo dı questo vıaggıo, e l’ennesımo passaggıo al Sabıha Gokcen, secondo aeroporto dı İstanbul, dedıcato alla pılota dı guerra fıglıa adottıva del mıtıco Ataturk…

ps: nel frattempo, sono tornato a casa.