domenica 7 settembre 2014

dis-orient-amenti est-ivi

Verso Ankara, scelgo il traghetto da Eminomu a Kadikoy, stracolmo di turchi vocianti.
Scopro che Kadikoy non è altro che l'antica Calcedonia, così come Manisa è la storica Magnesia, e che Ikniz è stata Nicea, e che Bodrum (ora piena di pancioni tedeschi bianchicci stesi al sole) è stata un tempo nientepopodimeno che Alicarnasso!
Romani, greci, ma ancor prima accadici, ittiti, babilonesi, sumeri, frigi, lidi, lici, e poi persiani...
Quanta storia, e quante storie, una sopra l'altra, una dentro l'altra...
Ritornano i ricordi del ginnasio, le tante versioni di greco sui re e i miti di allora.

Oggi, a Beyoglu, ho visto una giovane donna, tutta coperta di nero, uscire da un negozio di lingerie alla moda, tutta felice, con delle buste d'oro, piene di biancheria intima.
Ma che (doppia) vita fanno ?

Ankara, una delle più sconclusionate, arraffazzonate e brutte capitali del mondo, direi.
La distanza da Istanbul è abissale, sembra di essere tornati in Bulgaria, con ancora meno Europa e più Asia.
Problema tipico anche di altre capitali 'ammnistrative' che devono fare i conti con le vere capitali 'storiche': vedi Bonn rispetto a Berlino, Washington rispetto a New York, Brasilia con Rio.
Metropoli enormi, senza capo né coda, con belle storie divorate dall'edilizia e dalla surmodernità.
Cosa resta oggi della capitale frigia di Gordio (sì, quello del nodo), del Re Mida, delle lane di capra d'angora ?
Eppure, anche in un posto così, tanta umanità, gente che ti accoglie, che è curiosa, che ti ascolta e cerca di anticipare i tuoi desideri, di aiutarti e di nutrirti.
E poi il Museo delle civiltà anatoliche, da solo, vale la visita alla città: la parte su Catal Huyuk, la città della Gimbutas e della Eisler, è stata veramente emozionante...!

L'Anitkabir, l'enorme mausoleo del padre della patria, il mitico Ataturk, è un luogo tipico della mania totalitaria, che tiene insieme mitomania e paranoia bellicista e nazionalismo e culto retorico dell'unità popolare.
Mustafa Kemal, un vero despota progressista e scientista, che ha occidentalizzato un paese in soli 15 anni di dominio quasi incontrastato.
Un personaggio a tutto tondo, bello e demoniaco, un po' attore, soldato e dandy, solitario e uomo di mondo. Ancora oggi, per loro, un mito.
Ma forse non quanto Erdogan, almeno per la maggioranza dei turchi odierni.
E' stato sorprendente vedere la folla assieparsi attorno alla Haci Bayram Cami, ed ho subito capito che stava accadendo qualcosa di grosso.
Il poliziotto a cui mi sono rivolto mi ha spiegato che 'era arrivato il Primo Ministro' (lo chiama ancora così, anche se formalmente ora è il Presidente).
La gente era davvero presa, divertita ed entusiasta, voleva entrare a tutti i costi dentro la moschea, per salutarlo o almeno fotografarlo. Faceva impressione vedere pastori, contadini, casalinghe, donne in nero con i loro smartphone ultima generazione, fotografarlo e mostrarsi i trofei a vicenda...

Sul piazzale dell'enorme moschea moderna, che tenta di imitare quelle di Edirne e di Istanbul, un bambino si lascia scappare un palloncino rosso, che il vento si porta via, in alto, verso altrove.
Lo seguiamo con lo sguardo, entrambi, sino all'ultimo, sino a quando non scompare.
Lui sembra allegro di averlo perso, io più malinconico.
Stasera non ho neppure fame, ho nausea anzi.
Mangiare era una delle poche attività 'umane' che mi restavano...

A fianco della moschea i bagni separati per Bay (maschi) e Bayan (femmine).
Due sole letterine, stessa radice, come Uomo e Uoma nella Genesi.
Nomi similissimi, ma le distanze e le separazioni, alla faccia di Ataturk, resistono eccome, anche qui.
Stamattina ho fatto colazione con una sorta di cappuccino e qualcosa che sembrava un dolce.
Quando l'ho intinto ho capito che quel che sembrava del cioccolato erano dei pezzettini di olive nere tagliuzzate. Un misto esplosivo...

Eccomi di nuovo al secondo aeroporto di Istanbul, il Sabiha Gokcen.
Ho scoperto tre cose: che i voli diretti in Turchia sono merce rara, devi sempre ripassare per Istanbul ovunque tu voglia andare.
Che la Gokcen è stata una figlia adottiva di Ataturk e la prima donna pilota di guerra turca.
Che il posto dove sto andando si legge Malàtia e non Malatìa, come pessimisticamente io pensavo...

A Malatya, caldo ammorbante, 40 gradi di giorno, 30 di notte.
Meno male che c'è l'aria condizionata in stanza.
Riprendo contatto con la tv: Al Jazeera è un continuo mostrare guerre, attentati e disastri.
D'altra parte, a poche centinaia di km da qui, ci sono Iraq, Siria, Libano, Palestina.
La Turchia attualmente accoglie 850.000 profughi siriani.
Ma tutto scorre, anche qui, come se niente accadesse intorno, vicino...

Verso il Nemrut Dagi.
Breve pausa pranzo, in un posticino in mezzo al deserto di montagna dell'Anatolia centrale.
Passa un auto ogni dieci minuti, sono all'ombra di un caro albero, mangiucchio pita e olive nere, una pesca, acqua. Un bambino mi vende dei semi di girasole.
La mia trasformazione in turco procede: la barba cresce, il viso si abbronza, il cappello a visiera comprato a Ulus fa il resto.
Molti mi credono turco, e mi parlano come se lo fossi, e restano stupiti che non lo sia.
Siamo solo in due nel tour, io e un giovane ingegnere informatico taiwanese, Thin.
In questo deserto del nulla, arriviamo ad alloggiare al Karapinar (sorgente nera), tra gli alberi folti e le chiare, fresche, dolci acque di un magico ruscello. Un piccolo paradiso.
Ma prima il nostro autista si è fermato nel villaggio per consegnare ad una figlia piccola le medicine
per la nonna, comprate in città. E a prendere il pane per il motel, passando da un forno rurale, a 10 km da qui. Turismo familiare, ancora molto in piccolo, perfetto.

Il Re Antioco, al momento di morire, si è fatto (fare) un mega-monumento su una montagna alta 2000 metri; il suo trono stava assiso in mezzo agli dei, a Zeus, ad Apollo, a Tyche, ad Ercole, a leoni e aquile, a significare potenza, caso e fatalità, necessità, vita e morte, nascita e declino.
Un terremoto, uno dei tanti qui in Anatolia, ha fatto sfracellare i corpi di dei e semidei, e le teste sono cadute in basso, andando a finire per terra, miseramente, catastroficamente...
E quale bellezza da questo crollo...!
Il luogo è indescrivibilmente bello, il panorama intorno, desolato e immenso, le teste a terra, quasi attonite ancora dalla caduta inattesa e improvvisa: i loro sguardi sono alteri e dolci, malinconici e protervi, impotenti e regali.
Soprattutto il lato ovest, quello del tramonto, quello in cui la vita volge al termine, preserva l'ordine caotico della caduta, la totale casualità del rotolamento e dell'attrito,
Dispiace che l'area sia recintata: i volti sono talmente belli che verrebbe voglia di avvicinarli ed accarezzarli piano.

Non mi cambiano i soldi in banca a Malatya, perchè ho la carta d'identià e non il passaporto.
Il sistema informatico non mi accetta.
Allora mi indicano un ufficio di cambio, ma non riesco a trovarlo.
Chiedo a un negoziante del mercato coperto: lascia il negozio al figlio e mi accompagna, felice di parlare un po' di inglese.
Torniamo indietro, mi fa accomodare, ordina del thè, e inizia a farmi domande sull'Europa, sull'Italia, su come ho visto la Turchia, su cosa ho visto e cosa sto per vedere...
Il 3 settembre parte per la Norvegia, per partecipare ad un torneo internazionale di bridge.
Ci tiene a dirmi che a Malatya sono islamici, ma non arabi (come invece a Gaziantep o a Sanliurfa).
Ama l'Europa, vorrebbe viverci.
Ma non li abbiamo voluti, non li vogliamo, così pensa...

Sul soffitto della stanza d'albergo (il Kent Otel -Kent vuol dire albicocca, frutto locale molto importante), una freccia indica la Kible (la Kaaba, La Mecca insomma...).
Così puoi rivolgerti nella direzione giusta per pregare, anche nel segreto della stanza.
Io mi rivolgo più facilmente verso il nostro idolo, la tv: fortemente omologata all'occidente, tanto sport, talk show, varietà, videoclip, musica folk, riti religiosi.
Donne sensuali, ammiccanti, ma sempre vestite, o almeno in bikini.
Pubblicità per depilazioni maschili radicali, tappetini per la preghiera scontati, spermatozoi da movimentare, muscolature da gonfiare, arnesi tuttofare per casalinghe.
Trovo spesso una versione turca di 'Lasciatemi cantare', cantate da donne scatenate su un auto scoperta.
Roba molto noiosa, mi sembra.
La notte c'è qualche spot con donne russe o slave che si presentano in discinti costumi e si autopromuovono come 'top model', ma hanno a fianco il numero a cui le puoi chiamare...
Ipocrisia islamica.

Qui, al Chay Salun, molti ragazzi si salutano appoggiandosi le tempie l'uno con l'altro, prima una e poi l'altra. Alcuni sono tifosi del Fenerbache, altri del Galatasaray (ho scoperto che Saray voleva dire 'serraglio'), ma sono amici. La finale di Supercoppa turca li tiene insieme, scherzano e si prendono in giro. Clima tranquillo.
Non così sugli spalti: i tifosi della curva tirano pomodori, bottigliette di plastica, uova, petardi e fumogeni contro il portiere avversario per tutta la partita.
Quando un giocatore va a battere il corner, i poliziotti devono mettersi a testuggine con gli scudi per proteggerlo da tutto quel che arriva dall'alto.
Nessuna ipotizza che la partita possa essere sospesa, sono abituati.
Vince il Fenerbache, vincono gli asiatici contro gli europei: sono contenti che abbia portato fortuna, e che abbia portato sfiga a Prandelli (allenatore dei Galati nemici)...

Fa un certo effetto trovarsi a fianco al Firat, l'Eufrate.
E sapere che domani, in Kurdistan, mi troverò a fianco il Tigri.
Un ragazzo ieri alla partita mi ha chiesto: ti piace la Mesopotamia ?

Diyarbakir, città grande, in espansione, con un'enorme periferia di palazzoni alti e nuovi, 1 milione di persone in movimento. Erdogan sta cercando di tener sotto i curdi, con la polizia e con i soldi.
Il PKK, Partito comunista curdo, è abbastanza spiazzato, anche per le lotte che i peshmerga curdi stanno conducendo nel nord dell'Iraq contro l'Isis, riforniti dagli americani.
Una situazione strana, da cui forse però la causa curda potrà averne degli utili, almeno nel prossimo futuro. Così, almeno, pensa Omar, una persona che vorrebbe farmi da guida, ma che invece incontro nei caffè o per strada, e parliamo.
Che posto, questa città! Che mescolanza di miti, storie e riti (islamici, cattolici, armeni, caldei, ebrei, ortodossi siriaci..., almeno in passato...).
Ora restano i monumenti, e tanta tolleranza in più, soprattutto se pensiamo a quel che sta diventando il Medio Oriente.

Sono circondato da auto e taxi della Fiat (Doblò, Fiorino, Ducato), e i posti intorno si chiamano Silvan, Batman, Cynar e Bingol.
Un caldo infernale, che emana dal basalto nero e dal cemento, dalle rosticcerie sempre in funzione, in un misto surreale di odori e profumi, di carne arrosto e spezie, meloni e angurie, e pensieri di uomini e donne che percorrono da migliaia di anni questo labirinto infinito.
Il giovane barbiere, che mi rasa e mi offre il thè per cinque lire, guarda il comizio di Erdogan in tv, e sembra soddisfatto: 'è uno che fa le cose, che non promette e basta...'
Non ho ancora incontrato un turco che gli sia contro.
Provo a parlare delle proteste, di Gezi Park e di Taksim: 'piccole minoranze', mi dicono veloci, chiudendola lì.
L'oppositore ha preso il 38%, ma -in effetti- il Grande Capo ha avuto la maggioranza assoluta al primo turno. Che dire ?

L'agente da cui vado a fare il biglietto in bus per Van mi chiede se posso invitarlo in Italia.
Potrebbe favorire la concessione del visto.
Per capirci utilizza, come tanti qui, il sistema di traduzione scritta di Google, sul pc.
Gli lascio la mia mail e gli dico di scrivermi, per capire se posso davvero aiutarlo e come.
Immagino che non lo farà, ma lui ci tiene a farmi sapere che vorrebbe andar via, che vorrebbe tentare l'Europa.
In effetti, nella sua agenzia, che pure sta al centro, non pare che ci sia tanto traffico.
Ha la faccia stanca, depressa, ma spera.
Desiderio di fuga. In Europa ?

Il fresco e il colore azzurro dell'immenso lago mi consolano.
Ma il viaggio è lungo, per quanto la compagnia provi a confortarlo: si chiama Best Van (e si legge Best Uàn), offre bibite a bordo, ottima aerazione, film e musica con le cuffie.
E, anche se gli autisti fumano e telefonano troppo spesso, e se la prendono un po' comoda (un'ora di ritardo...), le cose non vanno male a bordo.
Due parole mi seguono da giorni, ovunque: cicek (fiore) e cocuk (bambino).

Van ha vissuto un tremendo terremoto, tre anni fa, e ne porta ancora i segni.
Mi aspettavo una città sul lago e invece Van è arroccata nell'entroterra, a 5 km dall'acqua.
Capitale degli Urartu, dove sei ?
Ce la finisco a mangiare la pasha (una minestra di manzo con i pezzettini di cartilagine e grasso che galleggiano dentro). E meno male che mi aspettavo di mangiare pesce del lago a pranzo e a cena !
Un milione e mezzo di abitanti: me li godo da una panchina, questi terremotati ai confini dell'Asia.
Tantissima gente, soprattutto giovani, tutta concentrata nelle città, con attorno il nulla.
Per strada tanti maschi, qualche ragazza, quasi mai da sola.
Si alza il canto del muezzin.
Le strade sono animatissime, tra gente che sa dove sta andando ed altra che bighellona senza meta, come me.
Che senso ha venire sino a Van, per stare tra gente sconosciuta e leggere Proust su una panchina ?
Cosa mi dà piacere in questo (almeno un poco) ?
Forse proprio il fatto di essere sconosciuto tra sconosciuti.
O di fare qualcosa di solito in mezzo all'insolito ?
La sera scende, la città si illumina e si rabbuia.
E' andata anche questa, qualcosa è accaduto anche oggi, per loro e per me.
Qualcuno racconterà di me a casa sua, ad es. il ragazzo disoccupato che mi ha aiutato a farmi capire dal gestore di un Internet point e mi ha fatto stampare il check-in per l'aereo che dovrebbe riportarmi a casa.

I ragazzi che si aggirano per tutto il giorno con le teiere tornano a casa.
Si smette di spruzzare acqua davanti ai locali.
Si affievoliscono le code al bancomat.
Le serrande scendono rumorosamente.
Con la preghiera delle 20 la vita si ritira tra le case.
Un palazzo stende un'enorme bandiera rossa a mezzaluna e stella: domani è la Festa della Vittoria, quando Ataturk sconfisse i greci.
E' nato anche il nuovo governo: in mano a un fantoccio di Erdogan, Devutoglu, una faccia da fesso.
Allah kosurum, Ay Allah, Masallah...!

Il programmino della giornata prevede una lunga camminata sino alla Fortezza sul lago.
Mostro la mappa, dico ripetutamente 'Kalè, kalè', ma dopo un po' devo arrendermi: deviato dal portiere dell'albergo, avevo letto la mappa esattamente alla rovescia, la direzione che avevo è completamente sbagliata; oltre al fatto che tutti mi prendono per matto all'idea che voglia andarci a piedi. Ci provo, ed è davvero lunga, assolata, non segnalata. Sembra quasi che la vogliano nascondere, eppure è quasi l'unica attrattiva in città. Non capisco.
Ci arrivo, dopo un'ora e mezza di peregrinazioni: ha visto passare selgiuchidi, urtariani e ottomani, è alta e imponente, guarda magnificamente sul lago, ma nulla più.
Mi siedo, stanco e frustrato, all'ombra, alla brezza del lago, e leggo Proust, una sua celebre pagina, che giunge proprio a puntino:
Delle ali, un altro apparato respiratorio che ci permettessero di attraversare l'immensità, non ci servirebbero a nulla, perchè se andassimo su Marte o Venere conservando gli stessi sensi, questi rivestirebbero con l'aspetto medesimo delle cose della Terra ciò che ci fosse dato vedere.
L'unico vero viaggio, il solo bagno di Giovinezza, non consisterebbe nell'andare verso nuovi paesaggi, ma nell'avere altri occhi, nel vedere l'universo con gli occhi di un altro, di cento altri, nel vedere i cento universi che ciascuno di essi vede, che ciascuno di essi è...

Al ristorante, sono circondato da immagini di gatti bianchi (scoprirò poi che la zona è famosa per una specie a coda corta o senza coda).
In mezzo a un ricevimento nuziale, con tanti invitati e musiche folk dal vivo.
Si sta bene qui, manca solo una bella ragazza da baciare, vedo solo vecchie culone o ragazzine imberbi. Alcune, tutte infazzolettate, sembrano suore.
Provo ad arrivare al lago, senza risultato: cammino tra aquitrini, recinzioni e cani rabbiosi.
Mi viene un attacco di diarrea, torno a casa, arreso.
Sul parabrezza del dolmus che mi accompagna la scritta 'Can Filistin', che immagino voglia dire Viva Palestina o La Palestina vive (e da cui colgo anche la somiglianza tra palestinesi e filistei).
Ma non mi arrendo del tutto: la sera vado ad Iskele per cercare ancora una volta il lago e dei pesci a cena, e li trovo entrambi, al buio, senza corrente elettrica.
Il ristorante si attrezza con lumini, cerco di non ingoiare troppe spine dei pescetti appena pescati sul lago di Van...
E' il punto più a est in cui sono stato nella vita, se escludiamo l'ultimo viaggio in Laos e Cambogia.
Si respira l'aria dell'Ararat, dell'Armenia e della Georgia, luoghi che mi attirano per viaggi futuri.

All'aeroporto di Van un signore è passato con un sacchetto di dolcetti e ne ha distribuito a conoscenti e non.
Ora sono seduto sul secondo aereo, a fianco a due simpatiche signore, di cui una- ben vecchia- assomiglia a Maria Lai: mi offrono un grissino dalla loro busta. Belle usanze...
Per darvi un'idea della lingua, vi leggo: otururken emniyet kemerinizi bagli tutunuz /tenere le cinture da seduti, oppure: can yelegi koltug unuzun altindadir/giubbotto di salvataggio sotto il sedile.
Un altro mondo, proprio...

Izmir, tramonto sul Konak.
Tanta gente tranquilla, sul prato, sugli scogli, sui moli, che -come me- lo attende.
Il cielo si arrossa, come da milioni di anni, in questa città antichissima e levantina.
Pensavo di trovare l'Oriente andando più a est, verso Van.
Ed invece lo ritrovo ad Occidente, qui nella magnifica Izmir...
Una limpida brezza che sale dal mare, temperatura perfetta e cielo struggente.
Dal molo partono delle piccole motonavi verso Alsancak e Foca (l'antica Focea).
Il sole scende ed è veramente splendente, rosso-viola-arancio.

Arrivo alla Kalè col 33, una bella donna del popolo ha provato ad aiutarmi su dove scendere ma l'ho capita tardi. Scendo al capolinea, e mi dirigo a piedi sotto il sole.
Allora l'autista, che sta tornando indietro, mi riapre la porta e mi riconduce alla fermata giusta, indicandomi la strada.
Qui da Kadifekale, piena di pugliesi e di gadget, si vede un faccione di Ataturk e dall'altro lato l'immensità dell'abitato e del golfo.
E' incredibile la quantità e la paciosità di cani e gatti randagi che si aggirano per le sue mura (ma anche, stamane, tra i ruderi dell'Agorà, un altro luogo bellissimo...).

Ultime ore, cerco di ritrovare la via delle sinagoghe.
Le trovo, sono tutte abbandonate, lacere, svuotate.
Un vecchio signore si spaccia per rabbino sefardita, parla spagnolo e mi racconta di suo padre, e di quando c'era ancora la comunità, e suo padre era vivo.
Mi mostra le foto dell'interno della sinagoga centrale, e mi chiede qualcosa.
La messinscena merita almeno 5 lire, e gliele do.

Arrivare all'aeroporto di Smirne, con la metro, sembrava una roba facile.
E invece qui non puoi prendere la metro se non hai una carta, che costa un bel tot.
La bigliettaia, davanti alle mie insistenze, fa usare la carta di una ragazza, e io le do le 2 lire che costerebbe il biglietto.
Ma, nella stazione di scambio, ci sarebbe da fare lo stesso giro, il passaggio non è automatico.
Allora, devo impietosire un poliziotto, che mi fa passare anche lui, questa volta senza nemmeno pagare. Che cuori d'oro, in questa città!
All'aeroporto dovrei rincontrare Cristiano, dopo 15 giorni di separazione, ma lui non c'è.
Viaggio con il sedile a fianco vuoto, cerco di immaginare cosa abbia deciso alla fine, e- comunque- sento che è stato meglio così...

Andare da Kadikoy al Sabiha Gokcen è oramai un'abitudine.
Ma questa è l'ultima volta, almeno per ora.
Il viaggio sta finendo, già metto l'ora italiana, stanotte è anche piovuto, ed è come se fosse il segno della fine d'estate.
Aeroporto pienissimo, le sedie non bastano.
Una ragazza turca giovanissima sta per partire a Stoccolma, in cerca di lavoro.
Ne parla con un suo coetaneo, che ci vive già. Temono molto il freddo che troveranno lì quest'inverno.
Un'anziana signora si è premunita con merendine e simit, per sé e per il marito.
Sono serissimi, non si guardano mai, ma poi -all'improvviso- lui dice una cosa, si guardano, si sorridono, e ridono anche...!
Ryan Air mi avvisa che sul volo da Bergamo per Cagliari qualcuno non ha fatto il check-in online. Non sono io.

Ieri mi sono comprato un set di mutande nuove.
I sandaletti blu di Chang May si sono consumati molto in questo viaggio e sono ancora più belli e vissuti; ho i calli sui talloni ed uno mi fa male, come se avesse una spina, ma è solo stanco.
Ripassiamo con l'aereo su Plovdiv e Sofia, e poi verso Sarajevo, e Verona, e Bergamo...
Mi ritrovo, rapidamente, sul trenino da Elmas, senza intoppi.
Passo dal mio giardinetto, prima di tornare a casa: c'è sempre Franco, a dirigere il traffico dei barboni.
Davanti alla panchina trovo una cassetta di polistirolo: conteneva 6 kg di orate, da Bodrum, Turchia.
Qualcuno se le sarà mangiate, da Deidda o da Lillicu...

La realtà è il più abile dei nemici. Sferra il suo attacco nel punto del nostro cuore in cui non li aspettavamo, dove non avevamo preparato alcuna difesa...








































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