Verso Ankara, scelgo il traghetto da
Eminomu a Kadikoy, stracolmo di turchi vocianti.
Scopro che Kadikoy non è altro che
l'antica Calcedonia, così come Manisa è la storica Magnesia, e che
Ikniz è stata Nicea, e che Bodrum (ora piena di pancioni tedeschi
bianchicci stesi al sole) è stata un tempo nientepopodimeno che
Alicarnasso!
Romani, greci, ma ancor prima accadici,
ittiti, babilonesi, sumeri, frigi, lidi, lici, e poi persiani...
Quanta storia, e quante storie, una
sopra l'altra, una dentro l'altra...
Ritornano i ricordi del ginnasio, le
tante versioni di greco sui re e i miti di allora.
Oggi, a Beyoglu, ho visto una giovane
donna, tutta coperta di nero, uscire da un negozio di lingerie alla
moda, tutta felice, con delle buste d'oro, piene di biancheria
intima.
Ma che (doppia) vita fanno ?
Ankara, una delle più sconclusionate,
arraffazzonate e brutte capitali del mondo, direi.
La distanza da Istanbul è abissale,
sembra di essere tornati in Bulgaria, con ancora meno Europa e più
Asia.
Problema tipico anche di altre capitali
'ammnistrative' che devono fare i conti con le vere capitali
'storiche': vedi Bonn rispetto a Berlino, Washington rispetto a New
York, Brasilia con Rio.
Metropoli enormi, senza capo né coda,
con belle storie divorate dall'edilizia e dalla surmodernità.
Cosa resta oggi della capitale frigia
di Gordio (sì, quello del nodo), del Re Mida, delle lane di capra
d'angora ?
Eppure, anche in un posto così, tanta
umanità, gente che ti accoglie, che è curiosa, che ti ascolta e
cerca di anticipare i tuoi desideri, di aiutarti e di nutrirti.
E poi il Museo delle civiltà
anatoliche, da solo, vale la visita alla città: la parte su Catal
Huyuk, la città della Gimbutas e della Eisler, è stata veramente
emozionante...!
L'Anitkabir, l'enorme mausoleo del
padre della patria, il mitico Ataturk, è un luogo tipico della mania
totalitaria, che tiene insieme mitomania e paranoia bellicista e
nazionalismo e culto retorico dell'unità popolare.
Mustafa Kemal, un vero despota
progressista e scientista, che ha occidentalizzato un paese in soli
15 anni di dominio quasi incontrastato.
Un personaggio a tutto tondo, bello e
demoniaco, un po' attore, soldato e dandy, solitario e uomo di mondo.
Ancora oggi, per loro, un mito.
Ma forse non quanto Erdogan, almeno per
la maggioranza dei turchi odierni.
E' stato sorprendente vedere la folla
assieparsi attorno alla Haci Bayram Cami, ed ho subito capito che
stava accadendo qualcosa di grosso.
Il poliziotto a cui mi sono rivolto mi
ha spiegato che 'era arrivato il Primo Ministro' (lo chiama ancora
così, anche se formalmente ora è il Presidente).
La gente era davvero presa, divertita
ed entusiasta, voleva entrare a tutti i costi dentro la moschea, per
salutarlo o almeno fotografarlo. Faceva impressione vedere pastori,
contadini, casalinghe, donne in nero con i loro smartphone ultima
generazione, fotografarlo e mostrarsi i trofei a vicenda...
Sul piazzale dell'enorme moschea
moderna, che tenta di imitare quelle di Edirne e di Istanbul, un
bambino si lascia scappare un palloncino rosso, che il vento si porta
via, in alto, verso altrove.
Lo seguiamo con lo sguardo, entrambi,
sino all'ultimo, sino a quando non scompare.
Lui sembra allegro di averlo perso, io
più malinconico.
Stasera non ho neppure fame, ho nausea
anzi.
Mangiare era una delle poche attività
'umane' che mi restavano...
A fianco della moschea i bagni separati
per Bay (maschi) e Bayan (femmine).
Due sole letterine, stessa radice, come
Uomo e Uoma nella Genesi.
Nomi similissimi, ma le distanze e le
separazioni, alla faccia di Ataturk, resistono eccome, anche qui.
Stamattina ho fatto colazione con una
sorta di cappuccino e qualcosa che sembrava un dolce.
Quando l'ho intinto ho capito che quel
che sembrava del cioccolato erano dei pezzettini di olive nere
tagliuzzate. Un misto esplosivo...
Eccomi di nuovo al secondo aeroporto di
Istanbul, il Sabiha Gokcen.
Ho scoperto tre cose: che i voli
diretti in Turchia sono merce rara, devi sempre ripassare per
Istanbul ovunque tu voglia andare.
Che la Gokcen è stata una figlia
adottiva di Ataturk e la prima donna pilota di guerra turca.
Che il posto dove sto andando si legge
Malàtia e non Malatìa, come pessimisticamente io pensavo...
A Malatya, caldo ammorbante, 40 gradi
di giorno, 30 di notte.
Meno male che c'è l'aria condizionata
in stanza.
Riprendo contatto con la tv: Al Jazeera
è un continuo mostrare guerre, attentati e disastri.
D'altra parte, a poche centinaia di km
da qui, ci sono Iraq, Siria, Libano, Palestina.
La Turchia attualmente accoglie 850.000
profughi siriani.
Ma tutto scorre, anche qui, come se
niente accadesse intorno, vicino...
Verso il Nemrut Dagi.
Breve pausa pranzo, in un posticino in
mezzo al deserto di montagna dell'Anatolia centrale.
Passa un auto ogni dieci minuti, sono
all'ombra di un caro albero, mangiucchio pita e olive nere, una
pesca, acqua. Un bambino mi vende dei semi di girasole.
La mia trasformazione in turco procede:
la barba cresce, il viso si abbronza, il cappello a visiera comprato
a Ulus fa il resto.
Molti mi credono turco, e mi parlano
come se lo fossi, e restano stupiti che non lo sia.
Siamo solo in due nel tour, io e un
giovane ingegnere informatico taiwanese, Thin.
In questo deserto del nulla, arriviamo
ad alloggiare al Karapinar (sorgente nera), tra gli alberi folti e le
chiare, fresche, dolci acque di un magico ruscello. Un piccolo
paradiso.
Ma prima il nostro autista si è
fermato nel villaggio per consegnare ad una figlia piccola le
medicine
per la nonna, comprate in città. E a
prendere il pane per il motel, passando da un forno rurale, a 10 km
da qui. Turismo familiare, ancora molto in piccolo, perfetto.
Il Re Antioco, al momento di morire, si
è fatto (fare) un mega-monumento su una montagna alta 2000 metri; il
suo trono stava assiso in mezzo agli dei, a Zeus, ad Apollo, a Tyche,
ad Ercole, a leoni e aquile, a significare potenza, caso e fatalità,
necessità, vita e morte, nascita e declino.
Un terremoto, uno dei tanti qui in
Anatolia, ha fatto sfracellare i corpi di dei e semidei, e le teste
sono cadute in basso, andando a finire per terra, miseramente,
catastroficamente...
E quale bellezza da questo crollo...!
Il luogo è indescrivibilmente bello,
il panorama intorno, desolato e immenso, le teste a terra, quasi
attonite ancora dalla caduta inattesa e improvvisa: i loro sguardi
sono alteri e dolci, malinconici e protervi, impotenti e regali.
Soprattutto il lato ovest, quello del
tramonto, quello in cui la vita volge al termine, preserva l'ordine
caotico della caduta, la totale casualità del rotolamento e
dell'attrito,
Dispiace che l'area sia recintata: i
volti sono talmente belli che verrebbe voglia di avvicinarli ed
accarezzarli piano.
Non mi cambiano i soldi in banca a
Malatya, perchè ho la carta d'identià e non il passaporto.
Il sistema informatico non mi accetta.
Allora mi indicano un ufficio di
cambio, ma non riesco a trovarlo.
Chiedo a un negoziante del mercato
coperto: lascia il negozio al figlio e mi accompagna, felice di
parlare un po' di inglese.
Torniamo indietro, mi fa accomodare,
ordina del thè, e inizia a farmi domande sull'Europa, sull'Italia,
su come ho visto la Turchia, su cosa ho visto e cosa sto per
vedere...
Il 3 settembre parte per la Norvegia,
per partecipare ad un torneo internazionale di bridge.
Ci tiene a dirmi che a Malatya sono
islamici, ma non arabi (come invece a Gaziantep o a Sanliurfa).
Ama l'Europa, vorrebbe viverci.
Ma non li abbiamo voluti, non li
vogliamo, così pensa...
Sul soffitto della stanza d'albergo (il
Kent Otel -Kent vuol dire albicocca, frutto locale molto importante),
una freccia indica la Kible (la Kaaba, La Mecca insomma...).
Così puoi rivolgerti nella direzione
giusta per pregare, anche nel segreto della stanza.
Io mi rivolgo più facilmente verso il
nostro idolo, la tv: fortemente omologata all'occidente, tanto sport,
talk show, varietà, videoclip, musica folk, riti religiosi.
Donne sensuali, ammiccanti, ma sempre
vestite, o almeno in bikini.
Pubblicità per depilazioni maschili
radicali, tappetini per la preghiera scontati, spermatozoi da
movimentare, muscolature da gonfiare, arnesi tuttofare per
casalinghe.
Trovo spesso una versione turca di
'Lasciatemi cantare', cantate da donne scatenate su un auto scoperta.
Roba molto noiosa, mi sembra.
La notte c'è qualche spot con donne
russe o slave che si presentano in discinti costumi e si
autopromuovono come 'top model', ma hanno a fianco il numero a cui le
puoi chiamare...
Ipocrisia islamica.
Qui, al Chay Salun, molti ragazzi si
salutano appoggiandosi le tempie l'uno con l'altro, prima una e poi
l'altra. Alcuni sono tifosi del Fenerbache, altri del Galatasaray (ho
scoperto che Saray voleva dire 'serraglio'), ma sono amici. La finale
di Supercoppa turca li tiene insieme, scherzano e si prendono in
giro. Clima tranquillo.
Non così sugli spalti: i tifosi della
curva tirano pomodori, bottigliette di plastica, uova, petardi e
fumogeni contro il portiere avversario per tutta la partita.
Quando un giocatore va a battere il
corner, i poliziotti devono mettersi a testuggine con gli scudi per
proteggerlo da tutto quel che arriva dall'alto.
Nessuna ipotizza che la partita possa
essere sospesa, sono abituati.
Vince il Fenerbache, vincono gli
asiatici contro gli europei: sono contenti che abbia portato fortuna,
e che abbia portato sfiga a Prandelli (allenatore dei Galati
nemici)...
Fa un certo effetto trovarsi a fianco
al Firat, l'Eufrate.
E sapere che domani, in Kurdistan, mi
troverò a fianco il Tigri.
Un ragazzo ieri alla partita mi ha
chiesto: ti piace la Mesopotamia ?
Diyarbakir, città grande, in
espansione, con un'enorme periferia di palazzoni alti e nuovi, 1
milione di persone in movimento. Erdogan sta cercando di tener sotto
i curdi, con la polizia e con i soldi.
Il PKK, Partito comunista curdo, è
abbastanza spiazzato, anche per le lotte che i peshmerga curdi stanno
conducendo nel nord dell'Iraq contro l'Isis, riforniti dagli
americani.
Una situazione strana, da cui forse
però la causa curda potrà averne degli utili, almeno nel prossimo
futuro. Così, almeno, pensa Omar, una persona che vorrebbe farmi da
guida, ma che invece incontro nei caffè o per strada, e parliamo.
Che posto, questa città! Che
mescolanza di miti, storie e riti (islamici, cattolici, armeni,
caldei, ebrei, ortodossi siriaci..., almeno in passato...).
Ora restano i monumenti, e tanta
tolleranza in più, soprattutto se pensiamo a quel che sta diventando
il Medio Oriente.
Sono circondato da auto e taxi della
Fiat (Doblò, Fiorino, Ducato), e i posti intorno si chiamano Silvan,
Batman, Cynar e Bingol.
Un caldo infernale, che emana dal
basalto nero e dal cemento, dalle rosticcerie sempre in funzione, in
un misto surreale di odori e profumi, di carne arrosto e spezie,
meloni e angurie, e pensieri di uomini e donne che percorrono da
migliaia di anni questo labirinto infinito.
Il giovane barbiere, che mi rasa e mi
offre il thè per cinque lire, guarda il comizio di Erdogan in tv, e
sembra soddisfatto: 'è uno che fa le cose, che non promette e
basta...'
Non ho ancora incontrato un turco che
gli sia contro.
Provo a parlare delle proteste, di Gezi
Park e di Taksim: 'piccole minoranze', mi dicono veloci, chiudendola
lì.
L'oppositore ha preso il 38%, ma -in
effetti- il Grande Capo ha avuto la maggioranza assoluta al primo
turno. Che dire ?
L'agente da cui vado a fare il
biglietto in bus per Van mi chiede se posso invitarlo in Italia.
Potrebbe favorire la concessione del
visto.
Per capirci utilizza, come tanti qui,
il sistema di traduzione scritta di Google, sul pc.
Gli lascio la mia mail e gli dico di
scrivermi, per capire se posso davvero aiutarlo e come.
Immagino che non lo farà, ma lui ci
tiene a farmi sapere che vorrebbe andar via, che vorrebbe tentare
l'Europa.
In effetti, nella sua agenzia, che pure
sta al centro, non pare che ci sia tanto traffico.
Ha la faccia stanca, depressa, ma
spera.
Desiderio di fuga. In Europa ?
Il fresco e il colore azzurro
dell'immenso lago mi consolano.
Ma il viaggio è lungo, per quanto la
compagnia provi a confortarlo: si chiama Best Van (e si legge Best
Uàn), offre bibite a bordo, ottima aerazione, film e musica con le
cuffie.
E, anche se gli autisti fumano e
telefonano troppo spesso, e se la prendono un po' comoda (un'ora di
ritardo...), le cose non vanno male a bordo.
Due parole mi seguono da giorni,
ovunque: cicek (fiore) e cocuk (bambino).
Van ha vissuto un tremendo terremoto,
tre anni fa, e ne porta ancora i segni.
Mi aspettavo una città sul lago e
invece Van è arroccata nell'entroterra, a 5 km dall'acqua.
Capitale degli Urartu, dove sei ?
Ce la finisco a mangiare la pasha (una
minestra di manzo con i pezzettini di cartilagine e grasso che
galleggiano dentro). E meno male che mi aspettavo di mangiare pesce
del lago a pranzo e a cena !
Un milione e mezzo di abitanti: me li
godo da una panchina, questi terremotati ai confini dell'Asia.
Tantissima gente, soprattutto giovani,
tutta concentrata nelle città, con attorno il nulla.
Per strada tanti maschi, qualche
ragazza, quasi mai da sola.
Si alza il canto del muezzin.
Le strade sono animatissime, tra gente
che sa dove sta andando ed altra che bighellona senza meta, come me.
Che senso ha venire sino a Van, per
stare tra gente sconosciuta e leggere Proust su una panchina ?
Cosa mi dà piacere in questo (almeno
un poco) ?
Forse proprio il fatto di essere
sconosciuto tra sconosciuti.
O di fare qualcosa di solito in mezzo
all'insolito ?
La sera scende, la città si illumina e
si rabbuia.
E' andata anche questa, qualcosa è
accaduto anche oggi, per loro e per me.
Qualcuno racconterà di me a casa sua,
ad es. il ragazzo disoccupato che mi ha aiutato a farmi capire dal
gestore di un Internet point e mi ha fatto stampare il check-in per
l'aereo che dovrebbe riportarmi a casa.
I ragazzi che si aggirano per tutto il
giorno con le teiere tornano a casa.
Si smette di spruzzare acqua davanti ai
locali.
Si affievoliscono le code al bancomat.
Le serrande scendono rumorosamente.
Con la preghiera delle 20 la vita si
ritira tra le case.
Un palazzo stende un'enorme bandiera
rossa a mezzaluna e stella: domani è la Festa della Vittoria, quando
Ataturk sconfisse i greci.
E' nato anche il nuovo governo: in mano
a un fantoccio di Erdogan, Devutoglu, una faccia da fesso.
Allah kosurum, Ay Allah, Masallah...!
Il programmino della giornata prevede
una lunga camminata sino alla Fortezza sul lago.
Mostro la mappa, dico ripetutamente
'Kalè, kalè', ma dopo un po' devo arrendermi: deviato dal portiere
dell'albergo, avevo letto la mappa esattamente alla rovescia, la
direzione che avevo è completamente sbagliata; oltre al fatto che
tutti mi prendono per matto all'idea che voglia andarci a piedi. Ci
provo, ed è davvero lunga, assolata, non segnalata. Sembra quasi che
la vogliano nascondere, eppure è quasi l'unica attrattiva in città.
Non capisco.
Ci arrivo, dopo un'ora e mezza di
peregrinazioni: ha visto passare selgiuchidi, urtariani e ottomani, è
alta e imponente, guarda magnificamente sul lago, ma nulla più.
Mi siedo, stanco e frustrato,
all'ombra, alla brezza del lago, e leggo Proust, una sua celebre
pagina, che giunge proprio a puntino:
Delle ali, un altro apparato
respiratorio che ci permettessero di attraversare l'immensità, non
ci servirebbero a nulla, perchè se andassimo su Marte o Venere
conservando gli stessi sensi, questi rivestirebbero con l'aspetto
medesimo delle cose della Terra ciò che ci fosse dato vedere.
L'unico vero viaggio, il solo bagno
di Giovinezza, non consisterebbe nell'andare verso nuovi paesaggi, ma
nell'avere altri occhi, nel vedere l'universo con gli occhi di un
altro, di cento altri, nel vedere i cento universi che ciascuno di
essi vede, che ciascuno di essi è...
Al ristorante, sono
circondato da immagini di gatti bianchi (scoprirò poi che la zona è
famosa per una specie a coda corta o senza coda).
In mezzo a un
ricevimento nuziale, con tanti invitati e musiche folk dal vivo.
Si sta bene qui,
manca solo una bella ragazza da baciare, vedo solo vecchie culone o
ragazzine imberbi. Alcune, tutte infazzolettate, sembrano suore.
Provo ad arrivare
al lago, senza risultato: cammino tra aquitrini, recinzioni e cani
rabbiosi.
Mi viene un attacco
di diarrea, torno a casa, arreso.
Sul parabrezza del
dolmus che mi accompagna la scritta 'Can Filistin', che immagino
voglia dire Viva Palestina o La Palestina vive (e da cui colgo anche
la somiglianza tra palestinesi e filistei).
Ma non mi arrendo
del tutto: la sera vado ad Iskele per cercare ancora una volta il
lago e dei pesci a cena, e li trovo entrambi, al buio, senza corrente
elettrica.
Il ristorante si
attrezza con lumini, cerco di non ingoiare troppe spine dei pescetti
appena pescati sul lago di Van...
E' il punto più a
est in cui sono stato nella vita, se escludiamo l'ultimo viaggio in
Laos e Cambogia.
Si respira l'aria
dell'Ararat, dell'Armenia e della Georgia, luoghi che mi attirano per
viaggi futuri.
All'aeroporto di
Van un signore è passato con un sacchetto di dolcetti e ne ha
distribuito a conoscenti e non.
Ora sono seduto sul
secondo aereo, a fianco a due simpatiche signore, di cui una- ben
vecchia- assomiglia a Maria Lai: mi offrono un grissino dalla loro
busta. Belle usanze...
Per darvi un'idea
della lingua, vi leggo: otururken emniyet kemerinizi bagli tutunuz
/tenere le cinture da seduti, oppure: can yelegi koltug unuzun
altindadir/giubbotto di salvataggio sotto il sedile.
Un altro mondo,
proprio...
Izmir, tramonto sul
Konak.
Tanta gente
tranquilla, sul prato, sugli scogli, sui moli, che -come me- lo
attende.
Il cielo si
arrossa, come da milioni di anni, in questa città antichissima e
levantina.
Pensavo di trovare
l'Oriente andando più a est, verso Van.
Ed invece lo
ritrovo ad Occidente, qui nella magnifica Izmir...
Una limpida brezza
che sale dal mare, temperatura perfetta e cielo struggente.
Dal molo partono
delle piccole motonavi verso Alsancak e Foca (l'antica Focea).
Il sole scende ed è
veramente splendente, rosso-viola-arancio.
Arrivo alla Kalè
col 33, una bella donna del popolo ha provato ad aiutarmi su dove
scendere ma l'ho capita tardi. Scendo al capolinea, e mi dirigo a
piedi sotto il sole.
Allora l'autista,
che sta tornando indietro, mi riapre la porta e mi riconduce alla
fermata giusta, indicandomi la strada.
Qui da Kadifekale,
piena di pugliesi e di gadget, si vede un faccione di Ataturk e
dall'altro lato l'immensità dell'abitato e del golfo.
E' incredibile la
quantità e la paciosità di cani e gatti randagi che si aggirano per
le sue mura (ma anche, stamane, tra i ruderi dell'Agorà, un altro
luogo bellissimo...).
Ultime ore, cerco
di ritrovare la via delle sinagoghe.
Le trovo, sono
tutte abbandonate, lacere, svuotate.
Un vecchio signore
si spaccia per rabbino sefardita, parla spagnolo e mi racconta di suo
padre, e di quando c'era ancora la comunità, e suo padre era vivo.
Mi mostra le foto
dell'interno della sinagoga centrale, e mi chiede qualcosa.
La messinscena
merita almeno 5 lire, e gliele do.
Arrivare
all'aeroporto di Smirne, con la metro, sembrava una roba facile.
E invece qui non
puoi prendere la metro se non hai una carta, che costa un bel tot.
La bigliettaia,
davanti alle mie insistenze, fa usare la carta di una ragazza, e io
le do le 2 lire che costerebbe il biglietto.
Ma, nella stazione
di scambio, ci sarebbe da fare lo stesso giro, il passaggio non è
automatico.
Allora, devo
impietosire un poliziotto, che mi fa passare anche lui, questa volta
senza nemmeno pagare. Che cuori d'oro, in questa città!
All'aeroporto
dovrei rincontrare Cristiano, dopo 15 giorni di separazione, ma lui
non c'è.
Viaggio con il
sedile a fianco vuoto, cerco di immaginare cosa abbia deciso alla
fine, e- comunque- sento che è stato meglio così...
Andare da Kadikoy
al Sabiha Gokcen è oramai un'abitudine.
Ma questa è
l'ultima volta, almeno per ora.
Il viaggio sta
finendo, già metto l'ora italiana, stanotte è anche piovuto, ed è
come se fosse il segno della fine d'estate.
Aeroporto
pienissimo, le sedie non bastano.
Una ragazza turca
giovanissima sta per partire a Stoccolma, in cerca di lavoro.
Ne parla con un suo
coetaneo, che ci vive già. Temono molto il freddo che troveranno lì
quest'inverno.
Un'anziana signora
si è premunita con merendine e simit, per sé e per il marito.
Sono serissimi, non
si guardano mai, ma poi -all'improvviso- lui dice una cosa, si
guardano, si sorridono, e ridono anche...!
Ryan Air mi avvisa
che sul volo da Bergamo per Cagliari qualcuno non ha fatto il
check-in online. Non sono io.
Ieri mi sono
comprato un set di mutande nuove.
I sandaletti blu di
Chang May si sono consumati molto in questo viaggio e sono ancora più
belli e vissuti; ho i calli sui talloni ed uno mi fa male, come se
avesse una spina, ma è solo stanco.
Ripassiamo con
l'aereo su Plovdiv e Sofia, e poi verso Sarajevo, e Verona, e
Bergamo...
Mi ritrovo,
rapidamente, sul trenino da Elmas, senza intoppi.
Passo dal mio
giardinetto, prima di tornare a casa: c'è sempre Franco, a dirigere
il traffico dei barboni.
Davanti alla
panchina trovo una cassetta di polistirolo: conteneva 6 kg di orate,
da Bodrum, Turchia.
Qualcuno se le sarà
mangiate, da Deidda o da Lillicu...
La realtà è il più abile dei
nemici. Sferra il suo attacco nel punto del nostro cuore in cui non
li aspettavamo, dove non avevamo preparato alcuna difesa...
http://youtu.be/KzsnLRZVzrA
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