sabato 4 gennaio 2014

marrakech express



FES

All'aeroporto mi confondo benissimo. potrei essere uno di loro, con il mio vestire e la papalina algerina bianca e rossa. Mi confondo talmente bene che l'autista del taxi mandato dall'ostello stenta a riconoscermi; solo quando sto per andar via e uscir fuori dalla hall per conto mio, lo guardo negli occhi, lui capisce e tira fuori il cartello: MR. ENRICO. Sono io!
Ha una bella faccia malinconica e semplice, cappello di lana e baffi, potrebbe essere un genovese o un greco.
Macchina giapponese, si vanta, facendomi salire.
Ma dopo dieci minuti, alle porte della Ville Nouvelle, una gomma si sgonfia.
Cric, nuovo copertone, bulloni, e si riparte.
'Benvenuto in Marocco', mi dice ridendo.

Arriviamo all'ostello Dar Lalla Kenza, palazzina antica, tutta intarsiata e maiolicata ai confini della medina. Ben, il giovane gestore, mi consiglia di non inoltrarmici di notte (è chiusa, mi dice).
Domattina capirò meglio.
Intanto, donne e bambini ancora in giro, a nugoli, molte senza velo, soprattutto le giovani.
E i maschi sono tutti radunati nei caffè e nei bar, che fumano come turchi, bevono thè e stanno schierati davanti alla tv: c'è la partita di semifinale del campionato mondiale per club.
Si gioca in Marocco e il Raja Casablanca ha battuto la squadra messicana ed ora se la gioca con l'Atletico Mineiro di Ronaldinho e Jo. Non so come, e non lo sanno forse neanche gli indigeni per quanto esaltati, ma il Raja gioca benissimo e vince 3-1.
Vengo immediatamente eletta mascotte ufficiale del torneo dal pubblico in sala.

Nella piazza R-Cif, dopo un primo lungo giro, a caso, nella medina, senza cercare riferimenti sulla mappa, prendendo vie a ispirazione, non trovando mai quel che pensavo di cercare, senza cercare nulla di preciso. Tra stradine strettissime, labirinti apparentemente insulsi, all'improvviso emerge una moschea o una medersa o una zaouia.
Bambini e bambine, tantissimi; donne incinte, tantissime.
I bambini girano da soli, poche donne belle, lineamenti pesanti e corpi grassocci, non paiono molto eleganti, sembrano le donne che escono in vestaglia o in pigiama in Romania.
Poche girano con un simil-burka integrale, molte solo col velo sui capelli, ma molte anche senza nulla.

Ho visto oggi molte facce di vecchi ancora sulla soglia del negozio in cui hanno lavorato tutta la vita e che ora è passato ai figli o ai nipoti.
Ho visto donne con occhi tristi, appoggiate al bancone del marito e con i figli appesi addosso.
Piove, e mi circonda un'umidità fredda.
Tolgo il bucatino steso in mattinata, e mi rifugio in ostello.
Ben parla a raffica con giapponesi, francesi, spagnoli e americani.
Io non collaboro alla conversazione, mi stanca anche solo sentirli.
Mi rifugio in terrazza: vedo a distanza le tombe merinidi al tramonto.
A fine sera, Ben mi dice che sono io il miglior cliente: chiedo poco, amo il silenzio, non parlo a vanvera. Ascoltiamo insieme alcune canzoni di 'Anime salve' che lui ama molto, provo a dirgli qualcosa sui testi; mi fa usare il suo pc per guardare la posta...

Ho aggredito Fès El Jedid dalla circonvallazione esterna.
Il palazzo reale, enorme e disabitato, è un pugno nell'occhio tra le case diroccate e povere che gli stanno intorno, tra la medina e il Mellah (ex quartiere ebraico).
Quartieri veri, non per turisti, senza l'ombra di un'attenzione apparente per te.
Ma la gente è accogliente e dolce, ti aiuta subito e semplicemente appena lo chiedi.
Le zone pedonali favoriscono i giochi dei bambini e dei ragazzini che stanno per strada a giocare a palla, a figurine, alla lotta, a tirarsi pietre e a far bande, a nascondersi.
Cerco inutilmente Bab Boujat; due signore mi vedono e mi affidano alla loro figlia piccola, Beki, timidissima e attenta, che mi conduce alla porta che cercavo. Torno indietro con lei, sorride, non accetta denaro.
Il riad in cui pranzo è un giardino piccolo, ma ricco di limoni, aranci, melograni, ulivi.
Un'harira (minestra), delle brochette di manzo, un'insalata di arance e cannella, a fianco del torrente Fès, che muove la ruota di un vecchio mulino ad acqua.
Un piccolo paradiso di colori, odori e sapori, tutto per me.


MOULAY IDRISS-VOLUBILIS-MEKNES

Sotto l'arco sottile e perfetto della porta di Tangeri, che apre verso il decumano maggiore sino all'arco di Caracalla. Vedo davanti a me e tutt'intorno i campi verdissimi, gli ulivi e le terre nere, fertilissime. E la basilica, il foro, le tante colonne superstiti. E mosaici di ninfe, zodiaci, Dionisi, atleti e delfini. Acqua che scende dal monte Zerhoun, il monte sacro, luogo di miti, favole e riti.
Sono nella romana Volubilis (che nome piacevole e vago).
Scorgo, abbarbicata sotto il monte, Moulay Idriss, la cittadina che mi ospita e che ho lasciato a piedi qualche ora fa.
La guest house che mi accoglie, da solo, è molto raffinata e silenziosa.
E' proprietà di Rose, una scozzese che viene qui ogni tanto. Fatima, marocchina, gestisce il luogo in sua assenza, quando ci sono ospiti.
Primo viaggio in treno da Fès a Meknès oggi, 2 euro per un'ora di viaggio, comodo e puntuale.
A fianco, un signore sessantenne che lavora al tribunale. Mi accompagna a piedi sino alla stazione dei grand taxi (dei mercedesoni per i viaggi medio-lunghi, diffusi in tutta l'Africa), in cui ci stipiamo in sette. Non c'è posto per lui, per ora, anche perchè lo lascia a me, augurandomi 'bon voyage'...

Ora, sempre su un grand taxi, attendo di partire per Meknès. E' domenica, ed è presto per loro, poca gente si muove. Tarderò un po', oppure -come spesso capita- tutto si anima e si agita all'improvviso e si può andare. Ieri ho cenato benissimo, con un tajine bollente al bollito di manzo, un'harira calda e gustosa e un thè alla menta profumatissimo.
Il Raja non ha fatto il miracolo anche col Bayern in finale: gli spietati tedeschi hanno vinto 2-0, ma la gente era comunque contenta, allo stadio c'era anche il Re che baciava tutti i giocatori e la gente lo applaudiva...).
Al bar c'era l'area per non fumatori (situazione invertita, rispetto alla nostra di oggi).
Partiti! Una ragazza mi invita ad appoggiarmi meglio alla spalliera, come loro, anche a costo di toccarci col corpo. Sono strane queste arabe: nessun contatto, ma disinvolte e tranquille.

Meknès: suk, palazzo reale, mausoleo di Moulay Ismail (che distrusse tutto e tutto ricostruì, credendosi il Re Sole, con cui peraltro si scriveva e si alleò, ma con cui non riuscì a far guerra alla Spagna e da cui non ebbe per moglie la principessa francese che aveva richiesto...).
Il re di oggi, Mohammed VI, mantiene in piedi tutti i vari palazzi reali, ma vive soprattutto in quello di Rabat (dove lavorano 2000 persone). Mi pare uno spreco, simile ai nostri.
Meknès appare, come Fès, una città doppia, con due medine che si rispecchiano, una di fronte all'altra. E' bello stare al sole, in questa bella piazza davanti alla Bab El Mansour, ascoltare i suoni di questa città: suonatori, incantatori di serpenti, maghe con i loro intrugli, scimmiette del Rif che si attaccano per le foto, vestite da Messi e Ronaldo, una sorta di varietà di provincia.
Il sole non scende. 'Fa male', mi dice un tipo che fuma seduto al mio fianco.
'Fumiamo molto, sì, perchè non beviamo alcool come voi...'.


TANGERI

Sull'ennesimo taxi da Moulay Idriss una ragazza guardava continuamente il suo anello di brillanti, al dito. Indossava anche un orologio da polso, fermo alle ore 9.00.
Mi attende un lungo viaggio in treno, verso Tàngeri (o Tangèri), una città che ho spesso sperato e immaginato di vedere.
Molta gente qui alla stazione, in attesa dei treni (in ritardo) per Oujda o Casa.
Ho preparato una saporita sportina per il viaggio: mandarini, datteri, olive e pane, una scatola di formaggini (qui li vendono soprattutto uno a uno, come le sigarette).
Il mio treno arriva puntuale, senza preavviso: è vecchio, anni 70, ma funzionante, sembra, e quasi vuoto.
Una bella ragazza, molto elegante e sottile, ascolta le cuffie e si muove continuamente col volto e col corpo, non riesce a star ferma: continua a mettersi e togliersi la sciarpa, a mettersi e togliersi le cuffie, a sbadigliare, a chiudere gli occhi cercando di rilassarsi, e ad aprirli continuamente, con un'ansia perenne.
Arriva un signore, si siede davanti a lei (nonostante ci siano moltissimi scompartimenti liberi), e attacca subito bottone.
Intraprendenza che mi manca. Mi scopro sempre più timido, ma forse lo sono sempre stato in fondo. E' che prima le cose accadevano da sole e non avevo bisogno di far quasi nulla.
Non mi potevo scoprire ancora in questo. Ora lo so.

Leggero ritardo. Ci avviciniamo a Larache, l'antica Lixus.
Qui Ercole colse i pomi nel giardino delle Esperidi e qui (nel cimitero cattolico!) è seppellito Jean Genet.
Il treno si è riempito di famiglie, donne incinte, operai e lavoratori stanchi.
Intorno situazioni pulite e ordinate, eccetto che ai fianchi della ferrovia nei centri abitati, trasformati in piccole discariche di plastica e rifiuti organici da bruciare.
Qui portano cappellini a zuccotto, fortemente dolicocefali, allungati verso l'alto, spesso molto colorati. Mi piacciono i popoli che amano i cappellini e le zuppe calde.
Tutte le persone che vedo qui sul treno potrebbero essere sarde...

Tangeri è sempre stata vista come una straniera in patria, città extraterritoriale, più spagnola che francese, più americana che marocchina.
Il meglio e il peggio dell'Europa e dell'Africa mescolati, città di mare e di porti, più decadente e degradata rispetto alle città già viste.
Terra di confine estremo, luogo di dogane e contrabbando.
All'ostello Melting Pot il francese è scomparso, si parla solo spagnolo o inglese.
Davanti alle Colonne d'Ercole, per millenni l'unica, vera, fine del mondo...
Sto a sorseggiare un the al famoso Gran Cafè de Paris, mi riscaldo un'oretta e guardo gli altri avventori: qui si siedono anche donne (poche), magari con marito o fidanzato, mai da sole, se non straniere. Pochi burnous, molti vestiti occidentali, anche per gli anziani.
Ragazze più raffinate e più belle, in senso europeo.
Città che, nonostante sia decaduta e sia stata a lungo abbandonata, o forse proprio per questo, resta molto affascinante.
L'impresa ogni volta è trovare l'ostello: ora ho imparato una strada, ma temo di farne altre, mi perdo sempre. Anche perchè molta gente non ha idea dei nomi delle strade. Si orienta in altro modo, immagino...

E' strano pensare che da qui l'Europa è a oriente.
E che il Marocco sia l'Atlante occidentale, l'extremum occasus.
E che l'unica terra ad occidente siano le Americhe...
E che ci sia solo mare da qui a lì.
Dopo poche ore, quel che sembrava un intrico di viuzze senza senso, inestricabile impaurente, inizia a svelarsi. Il bello delle medine è che ti puoi perdere, perchè comunque alla fine trovi sempre un muro e una porta, e capisci dove sei finito.
E poi c'è sempre gente in giro, è molto, molto abitata.
Le persone si salutano, si toccano, si abbracciano, si salutano molto, e con evidenza.
Bella giornata di sole, anche oggi, davvero splendente di luce.
Vicino alle tombe fenicie sul mare, quartiere di Marshan: sembra di essere a Sirai o a Tuvixeddu.
Sotto di me, un lungomare simile al Malecòn.
Davanti, lo Stretto e a destra, più distante, lo sperone di Gibilterra.
Coppie e ragazzi stanno seduti sulle tombe, davanti all'oceano che si mescola col Mediterraneo.
Il traghetto per Tarifa, sulla costa iberica, parte ora e arriva in soli 35 minuti sull'altra sponda, sull'altro continente, a poche decine di miglia da qui...

Sui gradini del Cafè Tingis, al Petit Socco, attendo che apra il barbiere per farmi barba e capelli 'a la maroquine'. Il posto è tranquillo, ho girato con piacere e calma. Un posteggiatore mi ha offerto thè e kif (erba) nella sua casetta di legno e voleva anche vendermene un pacco da due chili!
Ho visto che a St.Andrew, la chiesa anglicana c'è la Messa di Natale stanotte: rifarmi cristiano proprio qui che niente fa pensare che oggi sia il 24 dicembre ?
Né il clima, né le vetrine, né le chiese, né gli dei ?
Il tempo è peggiorato molto nel pomeriggio, con nuvole, forte vento e diluvi prolungati.
Piove dentro il cucinino dell'ostello, in cui mi rifugio per leggere e stare al calduccio, dopo un buon pranzo a base di pesce arrosto e zuppa.
Sono le 18, ma quasi mi metterei a dormire, altro che Notte di Natale...!

Notte di Natale: dopo il cinema RIF, in cui ho visto 'Il Maggiordomo', film bello ma molto filo-Obama, sorseggio un thè e qualche cioccolatino della sporta, senza cena.
Fuori pioviggina alquanto e l'umidità è altissima.
Non saprei cos'altro fare oggi, avrò camminato per almeno 10 km.
Donne, non se ne parla, purtroppo.
Non ho sonno, ma non ho voglia di stare fuori con questo tempo.
L'ostello, e anche la mia camerata da otto, sono quasi vuoti.
Un maschio dorme già nella mia stanza, un altro si aggira -mezzo disperato- fra le scale, il computer comune e i bagni. Tutti gli altri a far festa, ma dove ?
Meglio stare alla larga, comunque. Excelsa solitudo.
Il cioccolatino fondente era molto buono, in fondo...


CASABLANCA- RABAT

Anche la stazione di Tangeri, come le altre, è nuova, moderna, efficiente.
Questo Marocco è forse il paese africano più moderno che abbia visto finora, escluso il Sudafrica (delle città).
I francesi, a differenza degli spagnoli, hanno lasciato qualcosa anche di buono.
Ma forse neppure Tunisia e Senegal sono così 'civilizzate'.
La notte di Natale è stata un vero diluvio, la città è sommersa dall'acqua, ne parlano anche i Tg.
Mi dirigo verso Casablanca, la loro Milano...
Città enorme (si parla di 4 milioni di abitanti con l'hinterland, sterminato), centro portuale e commerciale di primo livello sull'Atlantico e nel mondo.
Sul treno, una ragazza giovanissima non fa altro che cliccare lo smartphone e usare 'what's up', con quel suo cinguettio cretino e asfissiante.
Poi ha mangiato due biscotti, bevuto un po' di succo ed è crollata sul tavolino, e dorme di brutto.
Le giovani generazioni sono così: superattive e superpassive, senza scampo, senza riflessione, senza mediazioni.
Tempo ancora grigio, il treno -dopo la bella Asilah- lascia il mare e torna verso l'interno (peccato!).
E' abbastanza pieno, ma comodo, con spazio per tutti.
Mi piacerebbe camminare sulla spiaggia, ora.
Ma dovrò attendere qualche ora, sempre che il porto di Casa abbia lasciato qualche sbocco al mare.

Disteso nel letto ad una piazza e mezzo, comodissimo, con un piumone a rose rosse, più un armadio, una finestra e un bagnetto.
Non c'è altro in questa spartanissima cameretta dell'Hotel du Palais, in una via sperduta, ma che sta ad un passo dalle piazze centrali e dalla medina.
La città è moderna, francese, coloniale, come mi aspettavo.
Girano dei tram supernuovi ed eleganti, quasi come se fossimo ad Amsterdam.
Qui si credono veramente europei o americani.
Un avvocato, salito a Rabat, non ha fatto altro che telefonare e usare il tablet per un'ora che è stato a bordo. Tanti ragazzi che sono saliti insieme ma non si parlano e stanno anche loro a chattare ininterrottamente, sempre a comunicare con tutti fuorchè con quelli che hanno davanti.
Dormirò presto, oggi, dopo una semplice cenetta da 'Emilia, la gitana' (zuppa e tajine allo spezzatino di manzo), in Piazza delle Nazioni Unite.
Ho domani per girare tra tanta gente e tante automobili.

Il bel tempo è tornato, una luce molto dolce arriva dal mare.
'Là dove c'era l'erba ora c'è...'.
Sorseggio una cioccolata calda al caffè dell'Excelsior, di fronte all'Hyatt (che conserva memorie del famoso film con Bogart ).
Qui bisogna girare sempre con la testa verso l'alto: i palazzi art deco o nouveau o non so cos'altro sono tanti, ma per vederli devi camminare così...
Mi avventuro verso il porto, e mi dirigo verso la mastodontica Moschea di Hassan II.
Minareto alto 200 metri, con luce laser che va verso La Mecca, in una posizione splendida, struggente, circondata dalle onde e dalla nebbia più fonda.
Nella sala di preghiera ci stanno 20.000 fedeli, il tetto è decappottabile, mirhab in marmo di Carrara, cedri intarsiati finemente, altoparlanti mimetizzati nelle colonne.
Luogo un po' finto, per turisti (è l'unica moschea visitabile da non musulmani in tutto il paese), biglietto d'ingresso relativamente costoso, ma ne vale la pena.
Esco, mangio un mandarino e qualche dattero, e mi dirigo di nuovo verso la medina che – a questo punto- si sarà svegliata.

Era sveglia sì.
Mi trovo in mezzo ad uno strettissimo e poverissimo suk di frutta e verdure, coloratissime e profumate, con donne giovani e anziane in caffettani o vestaglie in pile, che fanno la loro spesa quotidiana, per arrangiare pranzo e cena.
Casablanca non è roba per turisti, in fondo.
La medina è stata completamente circondata e avvinta dalla modernità, dalle banche e dai mercati.
D'altra parte, per costruire la Moschea di Hassan (peraltro, un re poco amabile e amato), avranno speso l'equivalente di milioni di salari delle persone che vedo qua in giro.
Dentro il porto hanno inglobato anche i pescatori, i pescherecci sono uno sull'altro, parcheggiati in un intrico incredibile.
Mi consolo con una delle trattorie di pesce all'aperto (una scofanata fantastica di fritto misto per 4 euro). Temo di abbioccarmi su una panchina, non sono lucidissimo...


E subito qualcuno ne approfitta.
Mentre mi dirigo al Parco della Lega Araba, mi si accosta un signore che dice di essere un marinaio mauritano, di essere bloccato al porto da quattro giorni, in una nave che trasporta fosfati.
Naturalmente ha parenti a Milano e ha bisogno di soldi per telefonare alla famiglia, che non sa dei suoi problemi e dalla quale dovrebbe ricevere dei soldi.
Cerca di impietosirmi, ma sempre in modo indiretto, sagace, senza chiedermi nulla di fatto.
Quando lo sto salutando e faccio per allontanarmi, lo fa, mostrandomi una carta telefonica e dicendomi che è vuota.
Sorridendo, gli dò 40 dirhams: è stato bravo, comunque sia, se sia vero o no quel che mi ha raccontato.
Sono molto bravi a raccontare storie qui e vedo che la gente, anche adulta, resta ancora incantata ad ascoltare, affabulata.
Scopro che le Torri Gemelle qui a Casa esistono ancora: più piccole, solo una quarantina di piani, unite come da una carena di nave, che vanno e partono verso un futuro di progresso e surmodernità.
Bel paradosso pensare che degli arabi se le sono fatte costruire qui ed altri arabi le hanno distrutte altrove...

Mi muovo, sempre in treno (ma da Casa Port, non da Voyageurs), verso Rabat, la capitale.
Svegliato alle 7 da qualche ansimo sessuale nella stanza a fianco: roba rapida, questi maschi musulmani ci vanno giù veloci, purtroppo.
Anche giornata umida, soleggiata, ma anche fresca.
Passo per Mohammedia, mare e industria petrolchimica, una sorta di enorme Sarroch.
Noto che le persone, soprattutto le ragazze, sbadigliano apertamente e senza ritegno in pubblico.
Mi faccio il mio pane e formaggino di colazione, imitando le bancarelle che organizzano dei fast-food in cui ficcano nel pane, oltre al formaggino (un bene di lusso, qui), uova, olio d'oliva, cipolle crude tritate e patate lesse.
Deve essere una bontà, prima o poi lo provo, ma oggi c'era una fila...
Rabat mi accoglie bellissima, sull'estuario dell'Oued Bou Regreg , che la separa da Salè.
La lotta tra il fiume e l'oceano si compie davanti ai miei occhi, che guardano dall'alto della Kasbah.

Forse avrei fatto meglio a risiedere qui e ad andare per un giorno a Casa.
La città, sia quella antica che quella moderna, mi appaiono aperte e ariose, terse e solari, vive, vivibili e vissute.
Esco dal suk arabo, attraversando la Mellah ebraica ed entro al caffè Nefertiti, così non mi faccio mancare neanche l'antico Egitto!
La gente è sempre gentilissima, accogliente, umana, anche ora qui intorno a me.
Stamane il ferroviere a cui ho chiesto il binario per Rabat me l'ha indicato mettendomi il braccio sulla spalla.
Mi passano davanti, irraggiungibili, delle belle ragazze, magre, lineamenti sottili, ben vestite.
Si vede che siamo nella capitale: l'avevo sottovalutata, ed invece mi ha sorpreso.
Anche questo Parco delle tre vie fa 10 a 0 a quello di ieri a Casablanca: vegetazione lussureggiante, curatissimo e ben frequentato, da famiglie e coppiette in amore; gli innamorati qui non possono baciarsi in pubblico, passeggiano per mano o a braccetto, si guardano dolcemente, nient'altro e niente di più. Immagino che facciano il resto in privato, o almeno lo spero...
Mi godo l'ultima ora di sole, lo cerco, e non è facile visto quanto è fitta la vegetazione.
Due situazioni insolite e inedite:
-una manifestazione di protesta di associazioni di commercianti davanti al Parlamento (che celebra i suoi 50 anni) a fianco della Ferrovie (che celebrano i loro 50 anni...tutto pare avvenuto nel '63, qui in Marocco).
-prendo il treno all'ultimo secondo, file lunghissime per il biglietto, e vagoni stracolmi, con la gente accalcata anche nei passaggi e negli atri. Mi siedo su uno scalino della scala a chiocciola che va a piano superiore.
Viaggio scomodo, mi consolo all'arrivo con una cena lussuosa, zuppa di pesce e ostriche.
Ristorante per stranieri o per uomini d'affari, offrono anche il vino, cosa molto rara (e vietata ai locali, ovviamente).


MARRAKECH

Ho dormito quasi nove ore, ma sono un po' insonnolito.
Treno verso Marrakech, infine.
Il mare si allontana, e anche i pesci.
A metà percorso, infatti, all'improvviso lo scenario cambia: la terra si fa brulla e secca, quasi savana e deserto, e si innalzano gli alti monti dell'Atlante. Marrakech è là.
Rientro in stanza, alla Casa del Sol in Derb Tijani-quartiere Muassine della medina, dopo 8 ore di immersione totale nella mitica piazza centrale, la Jemaa El Fna.
Luogo pazzesco, un'organizzazione caotica e ordinatissima in cui ogni giorno vivono, convivono, danno spettacolo, si incontrano, si vendono e si comprano, si agitano, mangiano e si riposano, e tutto il resto anche, migliaia e migliaia di marocchini, berberi, maghrebini e turisti stranieri di ogni dove (moltissimi italiani, per la prima volta, e spagnoli, francesi, tedeschi, giapponesi...).
Una marea umana, supermescolata, avvolta da decine di suk diversi e di incantatori di serpenti, maghe e fattucchiere, chiromanti e taroccare, donne che fanno disegni sulle mani con l'hennè, venditori di tutto, giochi strani e strampalati, vecchi ciechi che fanno sempre la stessa nota sul violino. Suonatori di tamburi e tamburelli, di bassi potenti e antichi e di banjos, di liuti e sonagli, danzatori uomini mascherati da donne o con barbe posticce, con scimmiette al guinzaglio, o uccelli rapaci. Insomma, un caravanserraglio del mondo intero riunito in una sola piazza.
Un eterno bivacco, da mane a sera, come in un deserto dentro la città più incredibile del mondo.
Questo posto è davvero straordinario.
Peraltro, un clima splendido, oggi ho pranzato in maglietta (e ho mangiato delle cose buonissime, tra cui il mio primo cus-cus qui; ora, a cena, mi scateno finalmente sul panino delle bancarelle tanto atteso...).
Ma la piazza è rimasta calda, anche quando la sera è scesa e si è fatta più fredda.
La cosa più bella è la tranquillità con cui puoi girare anche la notte: nessuno che ti abborsa o ti assale, nessuna pressione. Anzi, attenzione e sensibilità malcelate, ascolto e silenzio, calma.

Al mattino, non ho le forze per riaffrontare la piazza e i suk, mi rifugio nel Gueliz, la città nuova, e nei giardini Majorelle, bell'oasi di fresco e di pace.
E' domenica, e -mentre vado- mi arrivano contro varie centinaia di ragazzini che escono dalla stazione e vanno verso El Fna: sono tifosi della FAR (Forze Aviazione Reale) di Rabat (sono partiti, dunque, verso le 4 da lì) e si preparano alla grande partita contro il Marrakech.
Mi informo da loro, inizierà alle 16.
Torno al centro anche io, e vado verso Bab Agnaou, visito il Badia, spogliato dal solito Moulay Ismail per costruire la nuova città imperiale di Meknès. Ormai spoglio di quasi tutto, è vestito dalle cicogne che hanno fatto i loro nidi sui suoi muri ancora imponenti.
All'interno dei suoi padiglioni, vuoti da tempo, sono cresciuti gli aranci.
E' incredibile la quantità di bici, carrozzine e motorini che girano e sono parcheggiati in questa città.
Tutti veloci e agilissimi, sfrecciano tra le persone, a loro volta guizzanti, super elastiche, espertissime di questo irrefrenabile e inquietante e divertente viavai...

Che cosa non può il calcio ?
Mi trovo allo stadio, a 8 km dal centro.
Sono riuscito ad entrare, con un ritardo di soltanto un quarto d'ora dall'inizio della partita, e dico 'soltanto' perchè ne ho visto di tutti i colori, per arrivarci ed entrarci.
Lo stadio è lontanissimo. I tifosi del FAR hanno provato a salire sull'autobus di città per arrivarci, insieme a me che li seguivo con circospezione. Ma hanno scoperto che sul bus c'erano già i tifosi locali. Il conducente chiama un vigile che non sa cosa fare da solo e chiama la polizia che chiama l'esercito: cariche selvagge e tifosi del Far a terra. Io ed uno spagnolo, Jesùs, che sta cercando di tornare al suo albergo Ibis in periferia, ci dichiariamo prigionieri politici e siamo risparmiati dalla furia dei manganelli, insieme a vecchi, donne e bambini del posto.
Il bus giunge al capolinea, ma mancano ancora tre km a piedi.
Il percorso è lunghissimo e siamo costretti a farlo tra le transenne, a bordo strada, con la polizia schierata. Più si avvicina lo stadio e l'orario d'inizio e più si rischia di finire schiacciati nella calca.
All'arrivo davanti alla biglietteria, la ressa si fa ancora più forte: la partita è già iniziata, ed anzi sale un urlo perchè il Marrakech è già in vantaggio. La folla preme per fare uno degli ultimi biglietti, ma la polizia (a cavallo) carica ancora. Urlo 'etranger, etranger!', un poliziotto mi solleva con le sue braccia e mi deposita davanti alla cassa, scavalcando migliaia di marocchini assatanati.
Faccio il biglietto (2 euro) e, miracolosamente, entro.
Brutta partita, nessun altro gol, ma che storia...!

Gita turistica organizzata verso la valle dell'Ourika e i monti.
Un po' di vera Africa in tanta apparente organizzazione non poteva mancare.
Mi accordo con un certo Moha, per colazione, viaggio, guida ed escursione.
Mi dà appuntamento alle 8.45 davanti all'agenzia.
Alle 9.15 non è ancora arrivato nessuno; un vecchietto, che pulisce i locali, si impietosisce e mi indica una fermata da cui dovrebbe passare comunque la navetta.
Mi avvicino e, con un'ora e mezzo di ritardo, riesco a salire sul furgone di un'altra agenzia.
Altri turisti, mezz'inculati, come me, rinunciano.
Ritrovo, incredibilmente, per caso, anche Jesùs, il sivigliano, che fa la mia stessa gita.
Vediamo bei posti lungo il fiume, case berbere, piccole aziende erboristiche biologiche (compro the, curry, harissa ed argan), negozietti di varia mercanzia.
Pranziamo sul fiume, e lì decido di vendicarmi: non pago e faccio chiamare l'agente inaffidabile; gli faccio sapere che pagherà lui il pranzo, visto come mi ha trattato. Gli chiudo il telefono in faccia e non ha alternative: pagherà.
Bella, ma non proprio rilassante salita verso le cascatelle in alto, un percorso che qui da noi sarebbe vietato per i rischi di scivolate e cadute, abbastanza naif e selvatico.
Ancora un po' di vita, qui, non regolata dalla 626.

La piazza mi accoglie ancora e ancora nella notte.
Cena con olive condite, melanzane fritte, sugo e pane, sardine.
Un suonatore di un simil-liuto ha un cappellino della Costa Smeralda.
Tutto si ripete, bello per i turisti di un giorno, già un po' ripetitivo per me (e immagino per loro che lo fanno ogni notte da anni...!).
C'è un gioco in cui si provano a pescare delle bottiglie di coca e fanta con canna e lenza (in 4 notti non ho visto nessuno che ce la facesse), oppure altri cercano di tenere un pacchetto di sigarette con due bacchettine, o giocano ad una sorta di minigolf, o a carte.
La gente si diverte con poco, i loro occhi sorridono molto, come quelli dei bambini.
Vivono con poco, in generale, direi.
Questo intrico di suoni, odori, sapori, fumi, giochi ed esseri viventi che è El Fna, è comunque un'esperienza unica al mondo e, per quel che ho potuto vedere sinora nella mia vita di viaggiatore, Marrakech è una delle città più belle che abbia avuto la sorte di vedere nella vita.

Ultima giornata di viaggio, ultimo giorno dell'anno.
Ultimi giri per questa meravigliosa città, a far compere e regalini, a vedere le ultime cose, le ultime strade, i suoi ultimi colori.
Il sole inizia a salire, e riscalda.
Giornata lenta, a sfinirsi nei suk a caso, assediati da quantità indescrivibili di lanterne accese e spente, ninnoli, teiere, babbucce, pellami, souvenir, specchietti, gioielli, legno di thuia, incenso...
Ma quanta roba producono e quanta ne possiamo comprare ?
Per non parlare dei prodotti cinesi, che anche qui iniziano ad invadere i mercatini e le piazze.
'Allah akbar!' risuona puntuale, più o meno alle 6, alle 9, alle 12, alle 15 e alle 19.
Mi fa da riferimento,ormai, a telefonino permanentemente spento.
Mi diverto a trattare sui prezzi, cosa che di solito faccio con disagio: una borsa che parte da 120 arriva a 50, una collanina di feltro da 100 arriva a 30 (e il tizio mi rincorre e mi rintraccia qualche minuto dopo, pur di vendermela...).

Alle 16, arrivano tutti i carrettini dei ristoranti, che ogni giorno montano e smontano nella piazza.
E' come un invasione di barbari, che costruiscono però, e in pochissimo tempo, hanno ricreato lo scenario della notte, ed alcuni già hanno anche acceso il fuoco e messo in bella vista i cibi succulenti. Sono pazzeschi!
La piazza è comunque sempre animata, non smette mai, se non a notte fonda.
Ma quando arrivano loro, in un attimo, si trasforma ulteriormente e diventa un vero brulichio di esseri e di viventi, formiche piene di energia e di cuore.
Prendo un'harira con datteri (per mezzo euro) e vado al cinema per vedere un film comico marocchino, 'Road to Kabul', in cui prendono in giro di brutto americani e talebani.
Nonostante fosse in arabo con sottotitoli in francese, è riuscito a far molto ridere anche me.
Il resto del pubblico si sganasciava.
Sono uscito alle 22.30 e, con gli ultimi soldi, mi sono pappato un bel piatto di bollito caldo, segno finale e definitivo di quanto siano gentili e premurosi i marocchini: il cuoco mi ha scelto un pezzo di carne pulitissima e tenerissima, l'ha immersa nel brodo, e me l'ha tagliata a pezzetti.
Gli ho lasciato anche la mancia.
Coerentemente con il resto dell'anno, l'ho terminato da solo, con un bicchierino di gingembre caldo al cardamomo, senza brindisi ed auguri: la piazza ha continuato con i suoi ritmi e i suoi riti, quasi come se niente fosse, anche nel momento fatidico della mezzanotte (che arrivava qui un'ora prima che da noi).
Qualche piccola luminaria autogestita, dei cappellini a punta da parte di qualche giovane, qualche grido o saluto nel buio, ma niente più.
Nessun festeggiamento, insomma. Meglio così.

Aeroporto di Menara, con molte ore d'anticipo.
Quando un viaggio è finito, inutile cincischiare o fare ultimi giri nostalgici.
Sono andato via dalla Casa del Sol, sgattaiolando in silenzio, guardando ancora la copia in tedesco di 'Kafka sulla spiaggia' che stava appoggiata su un comodino nell'atrio.
Ora una signora francese sta leggendo al mio fianco '1Q84'.
La varietà di persone che vedi qui all'aeroporto è la stessa che ho visto in città, ma tutta concentrata qui fa ancora più impressione.
Gente come me, che ha fatto una vacanza 'povera' ed altri, che vengono dai resort e dai grand hotel (quelli che stanno distruggendo gradualmente ma irreversibilmente la Palmeraie), accompagnati sino all'ultimo da sherpa locali, in attesa dell'ultimo balzello.
Mi devo preparare ad una giornata di aeroporti, 3 ore qui e 5 a Ciampino, purtroppo.
Ma ho voglia di tornare a casa, sono stanco di girovagare.
Mi restano nel cuore le due visioni più belle di El Fna: un vecchietto arzillissimo che suona il suo basso per tutta la sera, sino a tardi e gli occhi di una ragazza bruna e bellissima, che -come una Cenerentola alla rovescia- mi è apparsa per la seconda volta, esattamente ai rintocchi del nuovo anno.

La giornata fuori continua ad essere molto luminosa e calda, io mi sottopongo alle lunghe e un po' troppo burocratiche operazioni aeroportuali.
Il passaggio, soprattutto a Ciampino, è brusco.
La vita asettica e immunizzata dell'aeroporto, in cui tutto sembra un ambulatorio per ricchi, si scontra con gli afrori e le spezie del recentissimo passato, i suoi colori e contatti, gli equilibri e le pulsioni dei corpi, gli slanci di quella città.
Anche i prezzi sembrano ancora più assurdi del solito.
Il Marocco, alla fine, mi resta così: semplice, umile, orgoglioso e fiero di sé, generoso, amorevole.

Mi resta la voglia, prima o poi, di tornarci.
Credo che sarà così, che accadrà.











1 commento:

  1. Grazie per questo diario, salvifico nel rientro uggioso a Roma.

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