FES
All'aeroporto mi confondo benissimo.
potrei essere uno di loro, con il mio vestire e la papalina algerina
bianca e rossa. Mi confondo talmente bene che l'autista del taxi
mandato dall'ostello stenta a riconoscermi; solo quando sto per andar
via e uscir fuori dalla hall per conto mio, lo guardo negli occhi,
lui capisce e tira fuori il cartello: MR. ENRICO. Sono io!
Ha una bella faccia malinconica e
semplice, cappello di lana e baffi, potrebbe essere un genovese o un
greco.
Macchina giapponese, si vanta,
facendomi salire.
Ma dopo dieci minuti, alle porte della
Ville Nouvelle, una gomma si sgonfia.
Cric, nuovo copertone, bulloni, e si
riparte.
'Benvenuto in Marocco', mi dice
ridendo.
Arriviamo all'ostello Dar Lalla Kenza,
palazzina antica, tutta intarsiata e maiolicata ai confini della
medina. Ben, il giovane gestore, mi consiglia di non inoltrarmici di
notte (è chiusa, mi dice).
Domattina capirò meglio.
Intanto, donne e bambini ancora in
giro, a nugoli, molte senza velo, soprattutto le giovani.
E i maschi sono tutti radunati nei
caffè e nei bar, che fumano come turchi, bevono thè e stanno
schierati davanti alla tv: c'è la partita di semifinale del
campionato mondiale per club.
Si gioca in Marocco e il Raja
Casablanca ha battuto la squadra messicana ed ora se la gioca con
l'Atletico Mineiro di Ronaldinho e Jo. Non so come, e non lo sanno
forse neanche gli indigeni per quanto esaltati, ma il Raja gioca
benissimo e vince 3-1.
Vengo immediatamente eletta mascotte
ufficiale del torneo dal pubblico in sala.
Nella piazza R-Cif, dopo un primo lungo
giro, a caso, nella medina, senza cercare riferimenti sulla mappa,
prendendo vie a ispirazione, non trovando mai quel che pensavo di
cercare, senza cercare nulla di preciso. Tra stradine strettissime,
labirinti apparentemente insulsi, all'improvviso emerge una moschea o
una medersa o una zaouia.
Bambini e bambine, tantissimi; donne
incinte, tantissime.
I bambini girano da soli, poche donne
belle, lineamenti pesanti e corpi grassocci, non paiono molto
eleganti, sembrano le donne che escono in vestaglia o in pigiama in
Romania.
Poche girano con un simil-burka
integrale, molte solo col velo sui capelli, ma molte anche senza
nulla.
Ho visto oggi molte facce di vecchi
ancora sulla soglia del negozio in cui hanno lavorato tutta la vita e
che ora è passato ai figli o ai nipoti.
Ho visto donne con occhi tristi,
appoggiate al bancone del marito e con i figli appesi addosso.
Piove, e mi circonda un'umidità
fredda.
Tolgo il bucatino steso in mattinata, e
mi rifugio in ostello.
Ben parla a raffica con giapponesi,
francesi, spagnoli e americani.
Io non collaboro alla conversazione, mi
stanca anche solo sentirli.
Mi rifugio in terrazza: vedo a distanza
le tombe merinidi al tramonto.
A fine sera, Ben mi dice che sono io il
miglior cliente: chiedo poco, amo il silenzio, non parlo a vanvera.
Ascoltiamo insieme alcune canzoni di 'Anime salve' che lui ama molto,
provo a dirgli qualcosa sui testi; mi fa usare il suo pc per guardare
la posta...
Ho aggredito Fès El Jedid dalla
circonvallazione esterna.
Il palazzo reale, enorme e disabitato,
è un pugno nell'occhio tra le case diroccate e povere che gli stanno
intorno, tra la medina e il Mellah (ex quartiere ebraico).
Quartieri veri, non per turisti, senza
l'ombra di un'attenzione apparente per te.
Ma la gente è accogliente e dolce, ti
aiuta subito e semplicemente appena lo chiedi.
Le zone pedonali favoriscono i giochi
dei bambini e dei ragazzini che stanno per strada a giocare a palla,
a figurine, alla lotta, a tirarsi pietre e a far bande, a
nascondersi.
Cerco inutilmente Bab Boujat; due
signore mi vedono e mi affidano alla loro figlia piccola, Beki,
timidissima e attenta, che mi conduce alla porta che cercavo. Torno
indietro con lei, sorride, non accetta denaro.
Il riad in cui pranzo è un giardino
piccolo, ma ricco di limoni, aranci, melograni, ulivi.
Un'harira (minestra), delle brochette
di manzo, un'insalata di arance e cannella, a fianco del torrente
Fès, che muove la ruota di un vecchio mulino ad acqua.
Un piccolo paradiso di colori, odori e
sapori, tutto per me.
MOULAY IDRISS-VOLUBILIS-MEKNES
Sotto l'arco sottile e perfetto della
porta di Tangeri, che apre verso il decumano maggiore sino all'arco
di Caracalla. Vedo davanti a me e tutt'intorno i campi verdissimi,
gli ulivi e le terre nere, fertilissime. E la basilica, il foro, le
tante colonne superstiti. E mosaici di ninfe, zodiaci, Dionisi,
atleti e delfini. Acqua che scende dal monte Zerhoun, il monte sacro,
luogo di miti, favole e riti.
Sono nella romana Volubilis (che nome
piacevole e vago).
Scorgo, abbarbicata sotto il monte,
Moulay Idriss, la cittadina che mi ospita e che ho lasciato a piedi
qualche ora fa.
La guest house che mi accoglie, da
solo, è molto raffinata e silenziosa.
E' proprietà di Rose, una scozzese che
viene qui ogni tanto. Fatima, marocchina, gestisce il luogo in sua
assenza, quando ci sono ospiti.
Primo viaggio in treno da Fès a Meknès
oggi, 2 euro per un'ora di viaggio, comodo e puntuale.
A fianco, un signore sessantenne che
lavora al tribunale. Mi accompagna a piedi sino alla stazione dei
grand taxi (dei mercedesoni per i viaggi medio-lunghi, diffusi in
tutta l'Africa), in cui ci stipiamo in sette. Non c'è posto per lui,
per ora, anche perchè lo lascia a me, augurandomi 'bon voyage'...
Ora, sempre su un grand taxi, attendo
di partire per Meknès. E' domenica, ed è presto per loro, poca
gente si muove. Tarderò un po', oppure -come spesso
capita- tutto si anima e si agita all'improvviso e si può andare.
Ieri ho cenato benissimo, con un tajine bollente al bollito di manzo,
un'harira calda e gustosa e un thè alla menta profumatissimo.
Il Raja non ha fatto il miracolo anche
col Bayern in finale: gli spietati tedeschi hanno vinto 2-0, ma la
gente era comunque contenta, allo stadio c'era anche il Re che
baciava tutti i giocatori e la gente lo applaudiva...).
Al bar c'era l'area per non fumatori
(situazione invertita, rispetto alla nostra di oggi).
Partiti! Una ragazza mi invita ad
appoggiarmi meglio alla spalliera, come loro, anche a costo di
toccarci col corpo. Sono strane queste arabe: nessun contatto, ma
disinvolte e tranquille.
Meknès: suk, palazzo reale, mausoleo
di Moulay Ismail (che distrusse tutto e tutto ricostruì, credendosi
il Re Sole, con cui peraltro si scriveva e si alleò, ma con cui non
riuscì a far guerra alla Spagna e da cui non ebbe per moglie la
principessa francese che aveva richiesto...).
Il re di oggi, Mohammed VI, mantiene in
piedi tutti i vari palazzi reali, ma vive soprattutto in quello di
Rabat (dove lavorano 2000 persone). Mi pare uno spreco, simile ai
nostri.
Meknès appare, come Fès, una città
doppia, con due medine che si rispecchiano, una di fronte all'altra.
E' bello stare al sole, in questa bella piazza davanti alla Bab El
Mansour, ascoltare i suoni di questa città: suonatori, incantatori
di serpenti, maghe con i loro intrugli, scimmiette del Rif che si
attaccano per le foto, vestite da Messi e Ronaldo, una sorta di
varietà di provincia.
Il sole non scende. 'Fa male', mi dice
un tipo che fuma seduto al mio fianco.
'Fumiamo molto, sì, perchè non
beviamo alcool come voi...'.
TANGERI
Sull'ennesimo taxi da Moulay Idriss una
ragazza guardava continuamente il suo anello di brillanti, al dito.
Indossava anche un orologio da polso, fermo alle ore 9.00.
Mi attende un lungo viaggio in treno,
verso Tàngeri (o Tangèri), una città che ho spesso sperato e
immaginato di vedere.
Molta gente qui alla stazione, in
attesa dei treni (in ritardo) per Oujda o Casa.
Ho preparato una saporita sportina per
il viaggio: mandarini, datteri, olive e pane, una scatola di
formaggini (qui li vendono soprattutto uno a uno, come le sigarette).
Il mio treno arriva puntuale, senza
preavviso: è vecchio, anni 70, ma funzionante, sembra, e quasi
vuoto.
Una bella ragazza, molto elegante e
sottile, ascolta le cuffie e si muove continuamente col volto e col
corpo, non riesce a star ferma: continua a mettersi e togliersi la
sciarpa, a mettersi e togliersi le cuffie, a sbadigliare, a chiudere
gli occhi cercando di rilassarsi, e ad aprirli continuamente, con
un'ansia perenne.
Arriva un signore, si siede davanti a
lei (nonostante ci siano moltissimi scompartimenti liberi), e attacca
subito bottone.
Intraprendenza che mi manca. Mi scopro
sempre più timido, ma forse lo sono sempre stato in fondo. E' che
prima le cose accadevano da sole e non avevo bisogno di far quasi
nulla.
Non mi potevo scoprire ancora in
questo. Ora lo so.
Leggero ritardo. Ci avviciniamo a
Larache, l'antica Lixus.
Qui Ercole colse i pomi nel giardino
delle Esperidi e qui (nel cimitero cattolico!) è seppellito Jean
Genet.
Il treno si è riempito di famiglie,
donne incinte, operai e lavoratori stanchi.
Intorno situazioni pulite e ordinate,
eccetto che ai fianchi della ferrovia nei centri abitati, trasformati
in piccole discariche di plastica e rifiuti organici da bruciare.
Qui portano cappellini a zuccotto,
fortemente dolicocefali, allungati verso l'alto, spesso molto
colorati. Mi piacciono i popoli che amano i cappellini e le zuppe
calde.
Tutte le persone che vedo qui sul treno
potrebbero essere sarde...
Tangeri è sempre stata vista come una
straniera in patria, città extraterritoriale, più spagnola che
francese, più americana che marocchina.
Il meglio e il peggio dell'Europa e
dell'Africa mescolati, città di mare e di porti, più decadente e
degradata rispetto alle città già viste.
Terra di confine estremo, luogo di
dogane e contrabbando.
All'ostello Melting Pot il francese è
scomparso, si parla solo spagnolo o inglese.
Davanti alle Colonne d'Ercole, per
millenni l'unica, vera, fine del mondo...
Sto a sorseggiare un the al famoso Gran
Cafè de Paris, mi riscaldo un'oretta e guardo gli altri avventori:
qui si siedono anche donne (poche), magari con marito o fidanzato,
mai da sole, se non straniere. Pochi burnous, molti vestiti
occidentali, anche per gli anziani.
Ragazze più raffinate e più belle, in
senso europeo.
Città che, nonostante sia decaduta e
sia stata a lungo abbandonata, o forse proprio per questo, resta
molto affascinante.
L'impresa ogni volta è trovare
l'ostello: ora ho imparato una strada, ma temo di farne altre, mi
perdo sempre. Anche perchè molta gente non ha idea dei nomi delle
strade. Si orienta in altro modo, immagino...
E' strano pensare che da qui l'Europa è
a oriente.
E che il Marocco sia l'Atlante
occidentale, l'extremum occasus.
E che l'unica terra ad occidente siano
le Americhe...
E che ci sia solo mare da qui a lì.
Dopo poche ore, quel che sembrava un
intrico di viuzze senza senso, inestricabile impaurente, inizia a
svelarsi. Il bello delle medine è che ti puoi perdere, perchè
comunque alla fine trovi sempre un muro e una porta, e capisci dove
sei finito.
E poi c'è sempre gente in giro, è
molto, molto abitata.
Le persone si salutano, si toccano, si
abbracciano, si salutano molto, e con evidenza.
Bella giornata di sole, anche oggi,
davvero splendente di luce.
Vicino alle tombe fenicie sul mare,
quartiere di Marshan: sembra di essere a Sirai o a Tuvixeddu.
Sotto di me, un lungomare simile al
Malecòn.
Davanti, lo Stretto e a destra, più
distante, lo sperone di Gibilterra.
Coppie e ragazzi stanno seduti sulle
tombe, davanti all'oceano che si mescola col Mediterraneo.
Il traghetto per Tarifa, sulla costa
iberica, parte ora e arriva in soli 35 minuti sull'altra sponda,
sull'altro continente, a poche decine di miglia da qui...
Sui gradini del Cafè Tingis, al Petit
Socco, attendo che apra il barbiere per farmi barba e capelli 'a la
maroquine'. Il posto è tranquillo, ho girato con piacere e calma. Un
posteggiatore mi ha offerto thè e kif (erba) nella sua casetta di
legno e voleva anche vendermene un pacco da due chili!
Ho visto che a St.Andrew, la chiesa
anglicana c'è la Messa di Natale stanotte: rifarmi cristiano proprio
qui che niente fa pensare che oggi sia il 24 dicembre ?
Né il clima, né le vetrine, né le
chiese, né gli dei ?
Il tempo è peggiorato molto nel
pomeriggio, con nuvole, forte vento e diluvi prolungati.
Piove dentro il cucinino dell'ostello,
in cui mi rifugio per leggere e stare al calduccio, dopo un buon
pranzo a base di pesce arrosto e zuppa.
Sono le 18, ma quasi mi metterei a
dormire, altro che Notte di Natale...!
Notte di Natale: dopo il cinema RIF, in
cui ho visto 'Il Maggiordomo', film bello ma molto filo-Obama,
sorseggio un thè e qualche cioccolatino della sporta, senza cena.
Fuori pioviggina alquanto e l'umidità
è altissima.
Non saprei cos'altro fare oggi, avrò
camminato per almeno 10 km.
Donne, non se ne parla, purtroppo.
Non ho sonno, ma non ho voglia di stare
fuori con questo tempo.
L'ostello, e anche la mia camerata da
otto, sono quasi vuoti.
Un maschio dorme già nella mia stanza,
un altro si aggira -mezzo disperato- fra le scale, il computer comune
e i bagni. Tutti gli altri a far festa, ma dove ?
Meglio stare alla larga, comunque.
Excelsa solitudo.
Il cioccolatino fondente era molto
buono, in fondo...
CASABLANCA- RABAT
Anche la stazione
di Tangeri, come le altre, è nuova, moderna, efficiente.
Questo Marocco è
forse il paese africano più moderno che abbia visto finora, escluso il Sudafrica
(delle città).
I francesi, a
differenza degli spagnoli, hanno lasciato qualcosa anche di buono.
Ma forse neppure
Tunisia e Senegal sono così 'civilizzate'.
La notte di Natale
è stata un vero diluvio, la città è sommersa dall'acqua, ne
parlano anche i Tg.
Mi dirigo verso
Casablanca, la loro Milano...
Città enorme (si
parla di 4 milioni di abitanti con l'hinterland, sterminato), centro
portuale e commerciale di primo livello sull'Atlantico e nel mondo.
Sul treno, una
ragazza giovanissima non fa altro che cliccare lo smartphone e usare
'what's up', con quel suo cinguettio cretino e asfissiante.
Poi ha mangiato due
biscotti, bevuto un po' di succo ed è crollata sul tavolino, e dorme
di brutto.
Le giovani
generazioni sono così: superattive e superpassive, senza scampo,
senza riflessione, senza mediazioni.
Tempo ancora
grigio, il treno -dopo la bella Asilah- lascia il mare e torna verso
l'interno (peccato!).
E' abbastanza
pieno, ma comodo, con spazio per tutti.
Mi piacerebbe
camminare sulla spiaggia, ora.
Ma dovrò attendere
qualche ora, sempre che il porto di Casa abbia lasciato qualche
sbocco al mare.
Disteso nel letto
ad una piazza e mezzo, comodissimo, con un piumone a rose rosse, più
un armadio, una finestra e un bagnetto.
Non c'è altro in
questa spartanissima cameretta dell'Hotel du Palais, in una via
sperduta, ma che sta ad un passo dalle piazze centrali e dalla
medina.
La città è
moderna, francese, coloniale, come mi aspettavo.
Girano dei tram
supernuovi ed eleganti, quasi come se fossimo ad Amsterdam.
Qui si credono
veramente europei o americani.
Un avvocato, salito
a Rabat, non ha fatto altro che telefonare e usare il tablet per
un'ora che è stato a bordo. Tanti ragazzi che sono saliti insieme ma
non si parlano e stanno anche loro a chattare ininterrottamente,
sempre a comunicare con tutti fuorchè con quelli che hanno davanti.
Dormirò presto,
oggi, dopo una semplice cenetta da 'Emilia, la gitana' (zuppa e
tajine allo spezzatino di manzo), in Piazza delle Nazioni Unite.
Ho domani per
girare tra tanta gente e tante automobili.
Il bel tempo è
tornato, una luce molto dolce arriva dal mare.
'Là dove c'era
l'erba ora c'è...'.
Sorseggio una
cioccolata calda al caffè dell'Excelsior, di fronte all'Hyatt (che
conserva memorie del famoso film con Bogart ).
Qui bisogna girare
sempre con la testa verso l'alto: i palazzi art deco o nouveau o non
so cos'altro sono tanti, ma per vederli devi camminare così...
Mi avventuro verso
il porto, e mi dirigo verso la mastodontica Moschea di Hassan II.
Minareto alto 200
metri, con luce laser che va verso La Mecca, in una posizione
splendida, struggente, circondata dalle onde e dalla nebbia più
fonda.
Nella sala di
preghiera ci stanno 20.000 fedeli, il tetto è decappottabile, mirhab
in marmo di Carrara, cedri intarsiati finemente, altoparlanti
mimetizzati nelle colonne.
Luogo un po' finto,
per turisti (è l'unica moschea visitabile da non musulmani in tutto
il paese), biglietto d'ingresso relativamente costoso, ma ne vale la
pena.
Esco, mangio un
mandarino e qualche dattero, e mi dirigo di nuovo verso la medina che
– a questo punto- si sarà svegliata.
Era sveglia sì.
Mi trovo in mezzo
ad uno strettissimo e poverissimo suk di frutta e verdure,
coloratissime e profumate, con donne giovani e anziane in caffettani
o vestaglie in pile, che fanno la loro spesa quotidiana, per
arrangiare pranzo e cena.
Casablanca non è
roba per turisti, in fondo.
La medina è stata
completamente circondata e avvinta dalla modernità, dalle banche e
dai mercati.
D'altra parte, per
costruire la Moschea di Hassan (peraltro, un re poco amabile e
amato), avranno speso l'equivalente di milioni di salari delle
persone che vedo qua in giro.
Dentro il porto
hanno inglobato anche i pescatori, i pescherecci sono uno sull'altro,
parcheggiati in un intrico incredibile.
Mi consolo con una
delle trattorie di pesce all'aperto (una scofanata fantastica di
fritto misto per 4 euro). Temo di abbioccarmi su una panchina, non
sono lucidissimo...
E subito qualcuno
ne approfitta.
Mentre mi dirigo al
Parco della Lega Araba, mi si accosta un signore che dice di essere
un marinaio mauritano, di essere bloccato al porto da quattro giorni,
in una nave che trasporta fosfati.
Naturalmente ha
parenti a Milano e ha bisogno di soldi per telefonare alla famiglia,
che non sa dei suoi problemi e dalla quale dovrebbe ricevere dei
soldi.
Cerca di
impietosirmi, ma sempre in modo indiretto, sagace, senza chiedermi
nulla di fatto.
Quando lo sto
salutando e faccio per allontanarmi, lo fa, mostrandomi una carta
telefonica e dicendomi che è vuota.
Sorridendo, gli dò
40 dirhams: è stato bravo, comunque sia, se sia vero o no quel che
mi ha raccontato.
Sono molto bravi a
raccontare storie qui e vedo che la gente, anche adulta, resta ancora
incantata ad ascoltare, affabulata.
Scopro che le Torri
Gemelle qui a Casa esistono ancora: più piccole, solo una quarantina
di piani, unite come da una carena di nave, che vanno e partono verso
un futuro di progresso e surmodernità.
Bel paradosso
pensare che degli arabi se le sono fatte costruire qui ed altri arabi
le hanno distrutte altrove...
Mi muovo, sempre in
treno (ma da Casa Port, non da Voyageurs), verso Rabat, la capitale.
Svegliato alle 7 da
qualche ansimo sessuale nella stanza a fianco: roba rapida, questi
maschi musulmani ci vanno giù veloci, purtroppo.
Anche giornata
umida, soleggiata, ma anche fresca.
Passo per
Mohammedia, mare e industria petrolchimica, una sorta di enorme
Sarroch.
Noto che le
persone, soprattutto le ragazze, sbadigliano apertamente e senza
ritegno in pubblico.
Mi faccio il mio
pane e formaggino di colazione, imitando le bancarelle che
organizzano dei fast-food in cui ficcano nel pane, oltre al
formaggino (un bene di lusso, qui), uova, olio d'oliva, cipolle crude
tritate e patate lesse.
Deve essere una
bontà, prima o poi lo provo, ma oggi c'era una fila...
Rabat mi accoglie
bellissima, sull'estuario dell'Oued Bou Regreg , che la separa da
Salè.
La lotta tra il
fiume e l'oceano si compie davanti ai miei occhi, che guardano
dall'alto della Kasbah.
Forse avrei fatto
meglio a risiedere qui e ad andare per un giorno a Casa.
La città, sia
quella antica che quella moderna, mi appaiono aperte e ariose, terse
e solari, vive, vivibili e vissute.
Esco dal suk arabo,
attraversando la Mellah ebraica ed entro al caffè Nefertiti, così
non mi faccio mancare neanche l'antico Egitto!
La gente è sempre
gentilissima, accogliente, umana, anche ora qui intorno a me.
Stamane il
ferroviere a cui ho chiesto il binario per Rabat me l'ha indicato
mettendomi il braccio sulla spalla.
Mi passano davanti,
irraggiungibili, delle belle ragazze, magre, lineamenti sottili, ben
vestite.
Si vede che siamo
nella capitale: l'avevo sottovalutata, ed invece mi ha sorpreso.
Anche questo Parco
delle tre vie fa 10 a 0 a quello di ieri a Casablanca: vegetazione
lussureggiante, curatissimo e ben frequentato, da famiglie e
coppiette in amore; gli innamorati qui non possono baciarsi in
pubblico, passeggiano per mano o a braccetto, si guardano dolcemente,
nient'altro e niente di più. Immagino che facciano il resto in
privato, o almeno lo spero...
Mi godo l'ultima
ora di sole, lo cerco, e non è facile visto quanto è fitta la
vegetazione.
Due situazioni
insolite e inedite:
-una manifestazione
di protesta di associazioni di commercianti davanti al Parlamento
(che celebra i suoi 50 anni) a fianco della Ferrovie (che celebrano i
loro 50 anni...tutto pare avvenuto nel '63, qui in Marocco).
-prendo il treno
all'ultimo secondo, file lunghissime per il biglietto, e vagoni
stracolmi, con la gente accalcata anche nei passaggi e negli atri. Mi
siedo su uno scalino della scala a chiocciola che va a piano
superiore.
Viaggio scomodo, mi
consolo all'arrivo con una cena lussuosa, zuppa di pesce e ostriche.
Ristorante per
stranieri o per uomini d'affari, offrono anche il vino, cosa molto
rara (e vietata ai locali, ovviamente).
MARRAKECH
Ho dormito quasi
nove ore, ma sono un po' insonnolito.
Treno verso
Marrakech, infine.
Il mare si
allontana, e anche i pesci.
A metà percorso,
infatti, all'improvviso lo scenario cambia: la terra si fa brulla e
secca, quasi savana e deserto, e si innalzano gli alti monti
dell'Atlante. Marrakech è là.
Rientro in stanza,
alla Casa del Sol in Derb Tijani-quartiere Muassine della medina,
dopo 8 ore di immersione totale nella mitica piazza centrale, la
Jemaa El Fna.
Luogo pazzesco,
un'organizzazione caotica e ordinatissima in cui ogni giorno vivono,
convivono, danno spettacolo, si incontrano, si vendono e si comprano,
si agitano, mangiano e si riposano, e tutto il resto anche, migliaia
e migliaia di marocchini, berberi, maghrebini e turisti stranieri di
ogni dove (moltissimi italiani, per la prima volta, e spagnoli,
francesi, tedeschi, giapponesi...).
Una marea umana,
supermescolata, avvolta da decine di suk diversi e di incantatori di
serpenti, maghe e fattucchiere, chiromanti e taroccare, donne che
fanno disegni sulle mani con l'hennè, venditori di tutto, giochi
strani e strampalati, vecchi ciechi che fanno sempre la stessa nota
sul violino. Suonatori di tamburi e tamburelli, di bassi potenti e
antichi e di banjos, di liuti e sonagli, danzatori uomini mascherati
da donne o con barbe posticce, con scimmiette al guinzaglio, o
uccelli rapaci. Insomma, un caravanserraglio del mondo intero riunito
in una sola piazza.
Un eterno bivacco,
da mane a sera, come in un deserto dentro la città più incredibile
del mondo.
Questo posto è
davvero straordinario.
Peraltro, un clima
splendido, oggi ho pranzato in maglietta (e ho mangiato delle cose
buonissime, tra cui il mio primo cus-cus qui; ora, a cena, mi scateno
finalmente sul panino delle bancarelle tanto atteso...).
Ma la piazza è
rimasta calda, anche quando la sera è scesa e si è fatta più
fredda.
La cosa più bella
è la tranquillità con cui puoi girare anche la notte: nessuno che
ti abborsa o ti assale, nessuna pressione. Anzi, attenzione e
sensibilità malcelate, ascolto e silenzio, calma.
Al mattino, non ho
le forze per riaffrontare la piazza e i suk, mi rifugio nel Gueliz,
la città nuova, e nei giardini Majorelle, bell'oasi di fresco e di
pace.
E' domenica, e
-mentre vado- mi arrivano contro varie centinaia di ragazzini che
escono dalla stazione e vanno verso El Fna: sono tifosi della FAR
(Forze Aviazione Reale) di Rabat (sono partiti, dunque, verso le 4 da
lì) e si preparano alla grande partita contro il Marrakech.
Mi informo da loro,
inizierà alle 16.
Torno al centro
anche io, e vado verso Bab Agnaou, visito il Badia, spogliato dal
solito Moulay Ismail per costruire la nuova città imperiale di
Meknès. Ormai spoglio di quasi tutto, è vestito dalle cicogne che
hanno fatto i loro nidi sui suoi muri ancora imponenti.
All'interno dei
suoi padiglioni, vuoti da tempo, sono cresciuti gli aranci.
E' incredibile la
quantità di bici, carrozzine e motorini che girano e sono
parcheggiati in questa città.
Tutti veloci e
agilissimi, sfrecciano tra le persone, a loro volta guizzanti, super
elastiche, espertissime di questo irrefrenabile e inquietante e
divertente viavai...
Che cosa non può
il calcio ?
Mi trovo allo
stadio, a 8 km dal centro.
Sono riuscito ad
entrare, con un ritardo di soltanto un quarto d'ora dall'inizio della
partita, e dico 'soltanto' perchè ne ho visto di tutti i colori, per
arrivarci ed entrarci.
Lo stadio è
lontanissimo. I tifosi del FAR hanno provato a salire sull'autobus di
città per arrivarci, insieme a me che li seguivo con circospezione.
Ma hanno scoperto che sul bus c'erano già i tifosi locali. Il
conducente chiama un vigile che non sa cosa fare da solo e chiama la
polizia che chiama l'esercito: cariche selvagge e tifosi del Far a
terra. Io ed uno spagnolo, Jesùs, che sta cercando di tornare al suo
albergo Ibis in periferia, ci dichiariamo prigionieri politici e
siamo risparmiati dalla furia dei manganelli, insieme a vecchi, donne
e bambini del posto.
Il bus giunge al
capolinea, ma mancano ancora tre km a piedi.
Il percorso è
lunghissimo e siamo costretti a farlo tra le transenne, a bordo
strada, con la polizia schierata. Più si avvicina lo stadio e
l'orario d'inizio e più si rischia di finire schiacciati nella
calca.
All'arrivo davanti
alla biglietteria, la ressa si fa ancora più forte: la partita è
già iniziata, ed anzi sale un urlo perchè il Marrakech è già in
vantaggio. La folla preme per fare uno degli ultimi biglietti, ma la
polizia (a cavallo) carica ancora. Urlo 'etranger, etranger!', un
poliziotto mi solleva con le sue braccia e mi deposita davanti alla
cassa, scavalcando migliaia di marocchini assatanati.
Faccio il biglietto
(2 euro) e, miracolosamente, entro.
Brutta partita,
nessun altro gol, ma che storia...!
Gita turistica
organizzata verso la valle dell'Ourika e i monti.
Un po' di vera
Africa in tanta apparente organizzazione non poteva mancare.
Mi accordo con un
certo Moha, per colazione, viaggio, guida ed escursione.
Mi dà appuntamento
alle 8.45 davanti all'agenzia.
Alle 9.15 non è
ancora arrivato nessuno; un vecchietto, che pulisce i locali, si
impietosisce e mi indica una fermata da cui dovrebbe passare comunque
la navetta.
Mi avvicino e, con
un'ora e mezzo di ritardo, riesco a salire sul furgone di un'altra
agenzia.
Altri turisti,
mezz'inculati, come me, rinunciano.
Ritrovo,
incredibilmente, per caso, anche Jesùs, il sivigliano, che fa la mia
stessa gita.
Vediamo bei posti
lungo il fiume, case berbere, piccole aziende erboristiche biologiche
(compro the, curry, harissa ed argan), negozietti di varia mercanzia.
Pranziamo sul
fiume, e lì decido di vendicarmi: non pago e faccio chiamare
l'agente inaffidabile; gli faccio sapere che pagherà lui il pranzo,
visto come mi ha trattato. Gli chiudo il telefono in faccia e non ha
alternative: pagherà.
Bella, ma non
proprio rilassante salita verso le cascatelle in alto, un percorso
che qui da noi sarebbe vietato per i rischi di scivolate e cadute,
abbastanza naif e selvatico.
Ancora un po' di
vita, qui, non regolata dalla 626.
La piazza mi
accoglie ancora e ancora nella notte.
Cena con olive
condite, melanzane fritte, sugo e pane, sardine.
Un suonatore di un
simil-liuto ha un cappellino della Costa Smeralda.
Tutto si ripete,
bello per i turisti di un giorno, già un po' ripetitivo per me (e
immagino per loro che lo fanno ogni notte da anni...!).
C'è un gioco in
cui si provano a pescare delle bottiglie di coca e fanta con canna e
lenza (in 4 notti non ho visto nessuno che ce la facesse), oppure
altri cercano di tenere un pacchetto di sigarette con due
bacchettine, o giocano ad una sorta di minigolf, o a carte.
La gente si diverte
con poco, i loro occhi sorridono molto, come quelli dei bambini.
Vivono con poco, in
generale, direi.
Questo intrico di
suoni, odori, sapori, fumi, giochi ed esseri viventi che è El Fna, è
comunque un'esperienza unica al mondo e, per quel che ho potuto
vedere sinora nella mia vita di viaggiatore, Marrakech è una delle
città più belle che abbia avuto la sorte di vedere nella vita.
Ultima giornata di
viaggio, ultimo giorno dell'anno.
Ultimi giri per
questa meravigliosa città, a far compere e regalini, a vedere le
ultime cose, le ultime strade, i suoi ultimi colori.
Il sole inizia a
salire, e riscalda.
Giornata lenta, a
sfinirsi nei suk a caso, assediati da quantità indescrivibili di
lanterne accese e spente, ninnoli, teiere, babbucce, pellami,
souvenir, specchietti, gioielli, legno di thuia, incenso...
Ma quanta roba
producono e quanta ne possiamo comprare ?
Per non parlare dei
prodotti cinesi, che anche qui iniziano ad invadere i mercatini e le
piazze.
'Allah akbar!'
risuona puntuale, più o meno alle 6, alle 9, alle 12, alle 15 e alle
19.
Mi fa da
riferimento,ormai, a telefonino permanentemente spento.
Mi diverto a
trattare sui prezzi, cosa che di solito faccio con disagio: una borsa
che parte da 120 arriva a 50, una collanina di feltro da 100 arriva a
30 (e il tizio mi rincorre e mi rintraccia qualche minuto dopo, pur
di vendermela...).
Alle 16, arrivano
tutti i carrettini dei ristoranti, che ogni giorno montano e smontano
nella piazza.
E' come un
invasione di barbari, che costruiscono però, e in pochissimo tempo,
hanno ricreato lo scenario della notte, ed alcuni già hanno anche
acceso il fuoco e messo in bella vista i cibi succulenti. Sono
pazzeschi!
La piazza è
comunque sempre animata, non smette mai, se non a notte fonda.
Ma quando arrivano
loro, in un attimo, si trasforma ulteriormente e diventa un vero
brulichio di esseri e di viventi, formiche piene di energia e di
cuore.
Prendo un'harira
con datteri (per mezzo euro) e vado al cinema per vedere un film
comico marocchino, 'Road to Kabul', in cui prendono in giro di brutto
americani e talebani.
Nonostante fosse in
arabo con sottotitoli in francese, è riuscito a far molto ridere
anche me.
Il resto del
pubblico si sganasciava.
Sono uscito alle
22.30 e, con gli ultimi soldi, mi sono pappato un bel piatto di
bollito caldo, segno finale e definitivo di quanto siano gentili e
premurosi i marocchini: il cuoco mi ha scelto un pezzo di carne
pulitissima e tenerissima, l'ha immersa nel brodo, e me l'ha tagliata
a pezzetti.
Gli ho lasciato
anche la mancia.
Coerentemente con
il resto dell'anno, l'ho terminato da solo, con un bicchierino di
gingembre caldo al cardamomo, senza brindisi ed auguri: la piazza ha
continuato con i suoi ritmi e i suoi riti, quasi come se niente
fosse, anche nel momento fatidico della mezzanotte (che arrivava qui
un'ora prima che da noi).
Qualche piccola
luminaria autogestita, dei cappellini a punta da parte di qualche
giovane, qualche grido o saluto nel buio, ma niente più.
Nessun
festeggiamento, insomma. Meglio così.
Aeroporto di Menara, con molte ore d'anticipo.
Quando un viaggio è
finito, inutile cincischiare o fare ultimi giri nostalgici.
Sono andato via
dalla Casa del Sol, sgattaiolando in silenzio, guardando ancora la
copia in tedesco di 'Kafka sulla spiaggia' che stava appoggiata su
un comodino nell'atrio.
Ora una signora
francese sta leggendo al mio fianco '1Q84'.
La varietà di
persone che vedi qui all'aeroporto è la stessa che ho visto in
città, ma tutta concentrata qui fa ancora più impressione.
Gente come me, che
ha fatto una vacanza 'povera' ed altri, che vengono dai resort e dai
grand hotel (quelli che stanno distruggendo gradualmente ma
irreversibilmente la Palmeraie), accompagnati sino all'ultimo da
sherpa locali, in attesa dell'ultimo balzello.
Mi devo preparare
ad una giornata di aeroporti, 3 ore qui e 5 a Ciampino, purtroppo.
Ma ho voglia di
tornare a casa, sono stanco di girovagare.
Mi restano nel
cuore le due visioni più belle di El Fna: un vecchietto arzillissimo
che suona il suo basso per tutta la sera, sino a tardi e gli occhi di
una ragazza bruna e bellissima, che -come una Cenerentola alla
rovescia- mi è apparsa per la seconda volta, esattamente ai
rintocchi del nuovo anno.
La giornata fuori
continua ad essere molto luminosa e calda, io mi sottopongo alle
lunghe e un po' troppo burocratiche operazioni aeroportuali.
Il passaggio,
soprattutto a Ciampino, è brusco.
La vita asettica e
immunizzata dell'aeroporto, in cui tutto sembra un ambulatorio per
ricchi, si scontra con gli afrori e le spezie del recentissimo
passato, i suoi colori e contatti, gli equilibri e le pulsioni dei
corpi, gli slanci di quella città.
Anche i prezzi
sembrano ancora più assurdi del solito.
Il Marocco, alla
fine, mi resta così: semplice, umile, orgoglioso e fiero di sé,
generoso, amorevole.
Mi resta la voglia, prima o poi, di tornarci.
Credo che sarà
così, che accadrà.
Grazie per questo diario, salvifico nel rientro uggioso a Roma.
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