Sto
leggendo un romanzo di Romolo Bugaro, Effetto domino, in cui si
racconta di spietati e disperati palazzinari del Nord Est, alle prese
con i loro azzardi di crediti, debiti e calcestruzzi.
Il
post sulle recidive di qualche giorno fa ha preceduto di poche ore le
nuove terribili scosse nel cuore del nostro paese. Incomincio a
pensare di essere davvero un menagramo.
Gli
esperti iniziano a parlare, con preoccupazione, di un effetto domino
tra le faglie.
I
paesi, intanto, si svuotano uno dopo l'altro, tra case lesionate e
macerie.
Appaiono
finiti, feriti a morte, senza possibilità di rinascita alcuna.
E
invece il nostro Renzi -a parole- non si arrende.
Continua
a blaterare di ricostruzione in tempi certi, di soldi che ci sono, di
speranza.
Così
come fa in politica, fa promesse senza futuro; e c'è chi gli crede,
per necessità, per ingenuità, o per dovere.
Affonda
il collo sotto la sabbia, sa del disastro, ma finge che vi siano
soluzioni o vie d'uscita, e le vende a destra e a manca. Fa il suo
mestiere.
Eppure,
a guardare la storia in uno spettro più ampio, dovrebbe soltanto
accettare il declino.
E,
così come i profughi di Amatrice, Arquata o Preci, accettare di non
avere mai più quelle case e di non abitare più quei luoghi.
Arrendersi alla dura legge delle cose, del caso e degli eventi.
Loro
saranno costretti a farlo e, alla fine, anche Renzi, ed anche noi.
Nel
frattempo proseguono a bombardare Mosul.
Quando
la libereranno non resteranno case in piedi, e neppure persone.
Ma
la sconfitta dell'Isis giustifica tutto, copre ai nostri occhi
qualunque scempio.
Gesù
parlava di sepolcri imbiancati, luoghi fetidi cosparsi di calce, a
tentar di purificare quel che resta una sozzura, a render candido e
inudibile quel che permane buio ed urlante.
E
così ci diamo l'autorizzazione a vivere, mentre stiamo morendo.
Come
il tir che passava sul viadotto della Milano-Lecco, prima che il
calcestruzzo cedesse.
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