sabato 29 ottobre 2016

recidive


Il nuovo terremoto ci rimette di nuovo dinanzi al vero problema: le recidive.
Da qualche tempo non ci troviamo più di fronte a quegli episodi singoli che, per quanto gravi, non assumevano carattere di continuità e ciclicità.
Oggi siamo dentro una circolarità che assume forma ciclica e ripetuta, che assume nella sua iteratività la sembianza di una continua emergenza da cui non si esce mai e non si esce più.
Può darsi che, per quel che concerne i terremoti nel Centro Italia, questo non accada e che si tratti solo di un caso temporaneo. Ce lo auguriamo tutti.
Ma così non si potrà dire per i crolli e le distruzioni di interi paesi: questo dipende in gran parte dall'azione e dall'inazione, dalle opere e dalle omissioni umane.
E su questo non possiamo che riscontrare la recidività (e la continuità ciclica senza sbocchi e senza uscita e senza progressi) di cui sopra.

Lo stesso vale per la questione climatica.
La situazione si aggrava ogni anno di più e si parla ormai con rassegnazione di nuova era del clima.
E di sesta estinzione animale e vegetale di massa alle porte.
Abbiamo avuto l'anno più caldo della storia recente, ed un ottobre in cui si suda (altro che estate di San Martino, ormai siamo quasi a novembre e, qui da noi, si sono ancora 25 gradi).
I campi sono aridi, non piove, inizia il razionamento dell'acqua.
L'emergenza avanza e si cronicizza, senza soluzione.

Lo stesso vale per la questione migranti.
Si sgombera la giungla di Calais e una buona parte dei migranti fugge, si nasconde, va ad affollare altre periferie, a creare altri ghetti, ad es. intorno a Parigi.
Migliaia di persone arrivano ogni giorno, al di là delle inutili previsioni, e non sappiamo dove metterle, come gestirle, come controllarle, come integrarle.
Si va avanti per diktat prefettizi, con rivolte e rifiuti di sindaci e popolazioni locali.
Caso strano, però: per installare basi militari protestano meno.
Comunque, dobbiamo rassegnarci: il fenomeno ci sommergerà, l'assedio sarà crescente.
Stiamo spendendo 160.000 euro al giorno solo per quella che non vogliamo chiamare 'guerra' in Libia, e dalla Libia proseguiranno a partire, così come dalla Siria e dall'Afghanistan, e da tutti quei luoghi in cui siamo intervenuti per esportare la democrazia e per arricchirci.

Con queste premesse, qualunque soluzione si rivela solo un nuova forma del problema.
Ma le premesse non cambiano, e questo è il vero problema.
Siamo recidivi, perseveranti nell'errore, divinamente diabolici.

'Un sistema va considerato complesso -scrive Tononi- solo se è costituito da un gran numero di parti ciascuna con funzioni diverse, che interagiscono fra loro in modo eterogeneo. Come corollario, un sistema è complesso solo se non è nè completamente regolare nè completamente irregolare. In sostanza sono complessi i sistemi le cui parti interagisno obbedendo a precise regole, così numerose ed eterogenee da non potersi riassumere in pochi principi o equazioni.' (da Enzo Soresi, Il cervello anarchico, UTET, 2005).

Vogliamo comprendere e gestire la complessità con premesse e teorie troppo semplici e lineari, ad es. quelle mutuate dalle aziende o dagli eserciti.
Ma una società vivente non si lascia irregimentare dalla linearità autoritaria.
Obbedisce ad un livello, ma recalcitra più in profondo, e -a un certo punto- sbotta.

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