lunedì 21 dicembre 2015

influenza coreana

Il viaggio era cominciato in aereo, un giorno di luglio. A bordo, sfogliando il Financial Times, avevo letto che la Corea del Sud detiene il record mondiale di suicidi: una media di trentatrè al giorno. E che, per scoraggiarne la diffusione, si erano inventati perfino i falsi funerali. Grosse società come la Samsung o la Allianz pagavano perchè i loro dipendenti passassero una giornata, anziché al lavoro, a dire addio a se stessi, nella speranza che poi non lo facessero veramente.
C'era un'apposita organizzazione, chiamata Korea Life Consulting, che provvedeva a tutto. Aveva già celebrato cinquantamila riti. Il numero cinquantamila e uno, ho pensato mentre atterravamo, voglio essere io.

Così eccomi su un altro aereo, per Seoul. E da lì su un altro ancora, per Gwangiu. E da lì su un taxi per mezz'ora, fino a Naju...Un uomo gentile chiamato canzone, Song, mi aspetta con l'ombrello aperto e mi conduce in una stanza dove conoscerò il fondatore della società: il signor Ko Min-su...
Andiamo in una seconda stanza, molto più grande... Mi viene scattata una fotografia che verrà prontamente stampata e infilata in una cornice di crisantemi gialli e nastri neri...
Sulla lavagna passa un lucido. Hanno intervistato cento uomini vissuti fino all'età di ottant'anni. In media così hanno speso la loro esistenza: 23 anni a dormire, 20 a lavorare, 6 a mangiare, 5 a bere e a fumare, altri 5 aspettando un appuntamento, 4 a pensare, 228 giorni a lavarsi la faccia e i denti, 26 giocando con i figli, 18 a farsi il nodo della cravatta. E, da ultimo, 46 ore di felicità.
La scritta rimane accesa, nessun commento, silenzio. Una vita: 46 ore di felicità. Abbassano le luci, mettono una candela sul banco, portano la mia fotografia listata a lutto, un foglio e una penna.
'Adesso devi fare testamento. Hai mezz'ora. Ricorda: devi considerare che davvero sta per finire, non hai più tempo per cambiare nulla. Le cose che hai sono le cose che hai, le persone che contano sono quelle che sono.'

Quando poso lo penna l'uomo gentile chiamato canzone si avvicina,mi invita a portare con me il testamento e a seguirlo: 'E' l'ora del tuo funerale'.
L'ultima sala è una ghiacciaia, al fondo c'è un altare. Sul pavimento, appena illuminate da una soffusa luce rossa, sono sparse file di bare, una ventina. Mi indicano la mia, poi mi danno una vestaglia bianca, l'abito funerario coreano.
Mi fanno sdraiare nella bara...Essendo lungo, tocco con i piedi e con la testa, non ho spazio per le braccia, che devo tenere conserte. Sto ancora cercando di abituarmi quando vedo il coperchio scendere...Un martello batte sui chiodi ai quattro lati, una manciata di terra viene fragorosamente gettata sulla bara. Poi tutto tace. Buio.

Mi è stato detto che 'era tempo di riposare'. Di arrendersi, accettare la fine.
Chiese Kurt Cobain agli altri Nirvana la sera prima di spararsi: 'Ragazzi, voi vi state ancora divertendo ?'.
Si va avanti perchè questo è e altro non c'è. Si sposa la vita in ricchezza e povertà, per 46 ore di felicità e 228 a lavarsi la faccia e i denti.
Non aspettatevi che bussi sul coperchio o urli per farmi aprire. Ho imparato a resistere e, se ci riesco qua dentro, la prossima risonanza magnetica sarà uno scherzo. Qualcosa accadrà: finchè c'è vita c'è vita. La speranza, quella non mi sembra fondamentale. 'Non sperare in faccia a nessuno', ammonisce il mio amico poeta Alessandro Bergonzoni. E Franco Berardi, detto Bifo, in Heroes fornisce questi suggerimenti: 'Non prendere parte al gioco, non aspettarti soluzioni dalla politica, non essere attaccato alle cose materiali, non sperare. Non appartenere, E ricorda che disperazione e gioia non sono incompatibili'.

Una voce lontana annuncia:'Ora sei pronto per rinascere'.
Mi 'stappano'. Respiro. Tolgo la vestaglia senza tasche e mi rimetto le scarpe. Risalgo le scale.
Torno nell'ufficio di Ko Min-su, che mi offre un the.

(Gabriele Romagnoli, Solo bagaglio a mano, 2015, pp. 9-13, 84-6)
In questi giorni le emozioni e i desideri, anche di scrivere, sono piatti come non mai.
I dolori del corpo fanno il resto.
Il colon è sempre irritato: non ha digerito molte cose, mi sa.
L'anno si conclude in forme sintomaticamente (e poco simpaticamente) emblematiche di quel che è stato: 1 ora di felicità, forse, e tante a mangiare, dormire e lavarsi i denti.
E, sempre più spesso, a lamentarsi e a curarsi.
Ecco la novità dell'ultimo anno: più tempo dal medico.
I miei malanni si susseguono, dopo una vita passata in salute, e si prolungano tanto, prima di sembrare guariti.
Non morirò sano, come speravo. Anche in questo la mia vita si fa comune, va a somigliare a quella di tutti. La peggiore delle punizioni.
Regali di Natale.







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