'Lo sai bene, rispose Hermann, sì,
lo ammetto, mi angoscia un po' l'ultimo libro che ho dato alle
stampe. Devo reimparare ad attingere a piene mani, tornare alle
fonti. Non ho tanto bisogno di comporre nuove poesie, quanto di
vivere per un bel pezzo in modo fresco e ininterrotto. Vorrei
starmene sdraiato lungo un torrente, come quando ero bimbo, scalare
montagne o suonare il violino, correre dietro alle ragazze, vivere
proiettato nell'azzurro e attendere che i versi vengano a me, invece
di dar loro la caccia angosciato e col fiato sospeso'....
'Niente male!, ribattè lentamente
il vecchio filosofo Giravolta. 'I poeti sono ancora oggi inclini a
credere che, nel grembo della vita ci siano, semiassopite,
determinate potenze e bellezze eterne, il cui presagio balugina
talvolta nel nostro enigmatico presente come un lampo di calore nella
notte. Infatti per loro tutta la vita normale ed essi stessi sono
soltanto immagini su una bella tenda dipinta, e soltanto dietro
quella tenda si dipanerebbe una vita vera e reale. Le parole più
alte ed eterne dei grandi poeti mi sembrano la cantilena di una
persona che sogna e che, senza saperlo, mormora con le labbra grevi a
proposito delle altezze viste di sfuggita di un mondo al di là'... '
Allora anche Hermann Lauscher recitò
una delle sue poesie:
La stanca estate reclina il capo
osservando nel lago il suo giallo
riflesso;
io cammino stanco e impolverato
all'ombra del viale.
Cammino stanco e impolverato
e dietro a me si ferma, titubante,
la giovinezza, reclina il suo bel
capo
né con me più vuole andare avanti.
Tutto quello che un giorno mi
rallegrava e mi sollevava al di sopra del tempo ha perduto fascino e
calore. I miei dei sono pietrificati, e la mia vita era un pallido
sogno, le cui forme sfiorano all'interno il mio occhio come ombre
lontane. Forse che, in un'altra città, uno dei miei amici è sveglio
nel suo letto, pensando a me. No, dorme! E dovunque rivolga i miei
pensieri bisgonosi di conforto, non trovo niente. O trovo soltanto
persone che soffrono e sopportano, una comunità pallida e stanca di
insonni ciascuno dei quali giace inquieto e tormentato come me, con
gli occhi spalancati, pallido e sofferente. Vi saluto, tristi
fratelli, che vi trovate lontani da me e lontani l'uno dall'altro, in
molte camere da letto buie e solitarie. Voi soffrite come me, voi
cercate ad occhi spalancati le invisibili figure dell'oscurità e
soffrite atrocemente non appena chiudete le vostre rigide palpebre.
Pensate ai vostri fratelli ? Pensate a me ?... Non posso chiamarvi,
fratelli miei. Ma ogni notte vi ricorderò, e vi saluterò col saluto
di chi soffre con voi.
I miei rispetti al mio libraio
antiquario! Mi ha procurato l'incomparabile Boehme del 1730...Voglio
annotarmi la massima sulla bile che vi ho letto oggi:
'Vedi, ogni uomo ha dentro di sé
una bile, che è veleno, e non può vivere senza la bile, perchè la
bile rende gli spiriti siderali mobili, gioiosi, trionfanti o
ridenti, ed è quindi una sorgente di gioie. Se però essa si
infiamma in un suo elemento, essa guasta la persona intera, perchè
dalla bile proviene la collera degli spiriti siderali...La stessa
fonte ha anche la gioia, che è fatta della stessa sostanza della
collera. Vale a dire che, quando la bile si infiamma in quantità
amabili o dolci, in ciò che è caro all'uomo, allora tutto il corpo
trema di gioia, dalla quale talvolta sono contagiati anche gli
spiriti siderali, se la bile si è tanto sollevata e infiammata in
queste qualità dolci...'
(da H. Hesse, Hermann Lauscher,
1901)
Feste di Natale
finite, i giorni che mi aspettano qui in città si aprono da oggi
come un'infinita voragine. Mancano ancora due settimane al prossimo
viaggio.
La pancia è ancora
dura, come l'anima.
Tutto mi appare
come pietrificato, anche i respiri.
Le polvere sottili
si fanno pesanti, il sole ci conforta ed illumina ma nasconde i
misfatti che esso stesso compie, lui che ha temporaneamente ucciso
sia la pioggia che il vento.
Mi aggiro tra casa
e giardinetto, in attesa della notte.
'L'unica scusa del
lavoro è la paura della noia', mi dice Renard.
E Schopenhauer mi
ricorda che 'ciò che rende gli uomini socievoli è la loro
incapacità di sopportare la solitudine e se stessi. Sono il vuoto
interiore, la noia a spingerli a frequentare la società'...
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