lunedì 28 dicembre 2015

età della pietra

'Lo sai bene, rispose Hermann, sì, lo ammetto, mi angoscia un po' l'ultimo libro che ho dato alle stampe. Devo reimparare ad attingere a piene mani, tornare alle fonti. Non ho tanto bisogno di comporre nuove poesie, quanto di vivere per un bel pezzo in modo fresco e ininterrotto. Vorrei starmene sdraiato lungo un torrente, come quando ero bimbo, scalare montagne o suonare il violino, correre dietro alle ragazze, vivere proiettato nell'azzurro e attendere che i versi vengano a me, invece di dar loro la caccia angosciato e col fiato sospeso'....
'Niente male!, ribattè lentamente il vecchio filosofo Giravolta. 'I poeti sono ancora oggi inclini a credere che, nel grembo della vita ci siano, semiassopite, determinate potenze e bellezze eterne, il cui presagio balugina talvolta nel nostro enigmatico presente come un lampo di calore nella notte. Infatti per loro tutta la vita normale ed essi stessi sono soltanto immagini su una bella tenda dipinta, e soltanto dietro quella tenda si dipanerebbe una vita vera e reale. Le parole più alte ed eterne dei grandi poeti mi sembrano la cantilena di una persona che sogna e che, senza saperlo, mormora con le labbra grevi a proposito delle altezze viste di sfuggita di un mondo al di là'... '

Allora anche Hermann Lauscher recitò una delle sue poesie:

La stanca estate reclina il capo
osservando nel lago il suo giallo riflesso;
io cammino stanco e impolverato
all'ombra del viale.
Cammino stanco e impolverato
e dietro a me si ferma, titubante,
la giovinezza, reclina il suo bel capo
né con me più vuole andare avanti.

Tutto quello che un giorno mi rallegrava e mi sollevava al di sopra del tempo ha perduto fascino e calore. I miei dei sono pietrificati, e la mia vita era un pallido sogno, le cui forme sfiorano all'interno il mio occhio come ombre lontane. Forse che, in un'altra città, uno dei miei amici è sveglio nel suo letto, pensando a me. No, dorme! E dovunque rivolga i miei pensieri bisgonosi di conforto, non trovo niente. O trovo soltanto persone che soffrono e sopportano, una comunità pallida e stanca di insonni ciascuno dei quali giace inquieto e tormentato come me, con gli occhi spalancati, pallido e sofferente. Vi saluto, tristi fratelli, che vi trovate lontani da me e lontani l'uno dall'altro, in molte camere da letto buie e solitarie. Voi soffrite come me, voi cercate ad occhi spalancati le invisibili figure dell'oscurità e soffrite atrocemente non appena chiudete le vostre rigide palpebre. Pensate ai vostri fratelli ? Pensate a me ?... Non posso chiamarvi, fratelli miei. Ma ogni notte vi ricorderò, e vi saluterò col saluto di chi soffre con voi.

I miei rispetti al mio libraio antiquario! Mi ha procurato l'incomparabile Boehme del 1730...Voglio annotarmi la massima sulla bile che vi ho letto oggi:
'Vedi, ogni uomo ha dentro di sé una bile, che è veleno, e non può vivere senza la bile, perchè la bile rende gli spiriti siderali mobili, gioiosi, trionfanti o ridenti, ed è quindi una sorgente di gioie. Se però essa si infiamma in un suo elemento, essa guasta la persona intera, perchè dalla bile proviene la collera degli spiriti siderali...La stessa fonte ha anche la gioia, che è fatta della stessa sostanza della collera. Vale a dire che, quando la bile si infiamma in quantità amabili o dolci, in ciò che è caro all'uomo, allora tutto il corpo trema di gioia, dalla quale talvolta sono contagiati anche gli spiriti siderali, se la bile si è tanto sollevata e infiammata in queste qualità dolci...'

(da H. Hesse, Hermann Lauscher, 1901)

Feste di Natale finite, i giorni che mi aspettano qui in città si aprono da oggi come un'infinita voragine. Mancano ancora due settimane al prossimo viaggio.
La pancia è ancora dura, come l'anima.
Tutto mi appare come pietrificato, anche i respiri.
Le polvere sottili si fanno pesanti, il sole ci conforta ed illumina ma nasconde i misfatti che esso stesso compie, lui che ha temporaneamente ucciso sia la pioggia che il vento.
Mi aggiro tra casa e giardinetto, in attesa della notte.
'L'unica scusa del lavoro è la paura della noia', mi dice Renard.

E Schopenhauer mi ricorda che 'ciò che rende gli uomini socievoli è la loro incapacità di sopportare la solitudine e se stessi. Sono il vuoto interiore, la noia a spingerli a frequentare la società'...

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