giovedì 10 ottobre 2013

impolitica e ingiustizia

Al centro dei nostri discorsi pubblici è tornato a collocarsi, come in ogni età di crisi e di rivolgimento, il problema della giustizia politica...
Questo travaso, dal Palazzo alla Piazza (e sia pure una Piazza artificialmente ricreata nell'intimità dei salotti domestici), ha rivitalizzato un vecchio 'ismo': con l'espressione 'giustizialismo' si è passati a designare la diffusa esigenza di risarcimento indirizzata alla magistratura e insieme la domanda di tradurre l'epurazione giudiziaria in epurazione politica.
A contrastare l'orrore di alcuni davanti all'eventualità che i santuari della politica potessero essere violati dai giudici, si è aggregato nel corso degli anni Novanta un consenso sulle iniziative giudiziarie che rivelava insieme a una sacrosanta domanda di legalità anche il disperato bisogno di identificazione di una cittadinanza ormai priva di riferimento nelle ideologie e nelle culture politiche.

A una prima approssimazione, per giustizia politica si possono intendere fondamentalmente due cose: innanzitutto i procedimenti giudiziari che hanno per oggetto violazioni del diritto compiute da detentori di pubblici poteri nell'esercizio delle loro funzioni; in secondo luogo l'uso del potere giudiziario per il conseguimento di fini politici -la liquidazione di una classe politica o di un partito avverso, la legittimazione o la delegittimazione di un regime.
Le due fattispecie sono naturalmente connesse, anche se non necessariamente coincidono.
Nel corso della 'rivoluzione dei giudici' esse si sono esemplarmente saldate.

Dove la crisi del modello consociativo si consuma nella palude della criptopolitica, la procedura giudiziaria sembra l'unico farmaco efficace contro la patologia del sistema. In mancanza di un'efficace opposizione politica, capace di esercitare funzioni di controllo, il processo politico diventa lo strumento per effettuare il ricambio della classe politica. Nelle condizioni normali di un sistema parlamentare, quel ricambio è in funzione della dialettica tra potere legislativo e potere esecutivo. Nella realtà italiana bloccata dalla conventio ad excludendum e dalle pratiche consociative ha fatto invece irruzione un terzo incomodo.
Si direbbe che nel ricambio abbia funzionato una sorta di legge del contrappasso. Alla mancanza di trasparenza del circuito governativo-legislativo si è posto rimedio con l'illuminazione giudiziaria delle transazioni fra il pubblico e il privato. Nell'immaginario degli spettatori alla politica come luogo dell'opacità si è contrapposta la giustizia come luogo della trasparenza. Ombra e luce. Il risultato è stato ottenuto dilatando a dismisura la dimensione della pubblicità extraprocessuale...
Si è affermato un 'processo diffuso' che ha h avuto come conseguenza per un verso il rafforzamento dell'istituzione giudiziaria ma per l'altro il rischio di uno stravolgimento della giustizia ad uso e consumo di una democrazia plebiscitaria. 
Non deve però sfuggire la connessione forte tra la causa e l'effetto. L'eccesso di pubblicità extraprocessuale funge in qualche modo da compensazione all'eccesso di segretezza della criptopolitica...Dove la politica si ritrae dalla pubblicità e si sottrae al giudizio degli elettori, non può poi sorprendere che il ricambio della classe politica avvenga nella forma di una rivoluzione giudiziaria proiettata dai media fuori dalle aule dei tribunali.

In questo contesto il giustizialismo diventa l'ideologia-salvagente per gli orfani delle ideologie.
Ma è un'ideologia che vive soprattutto nell'identificazione con qualche suo portatore 'forte' e in queto modo diventa un veicolo per quella personalizzazione della politica che è comunque un tratto emergente nella trasformazione delle attuali democrazie.
Già in difficoltà nel governo della complessità, esse sono alla ricerca di carisma in ogni angolo della vita sociale...

(P.P.Portinaro, Introduzione, in A.Demandt, Processare il nemico, Einaudi, 1996)  

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