Agli
inizi dell''800 l'infanzia era stata celebrata come epoca di purezza
e innocenza, ma negli anni novanta prevalsero interpretazioni più
inquietanti. Per coloro che si erano lasciati influenzare dalle
teorie di Lombroso i bambini erano essenzialmente creature inferiori,
più primitive che incontaminate.
'Naturalmente,
considerato il modo in cui è strutturato, il bambino è più vicino
all'animale, al selvaggio, al criminale, di quanto non sia un adulto,
scrisse Havelock Ellis in The Criminal (1890)- I bambini sono per
natura egoisti; commettono ogni sorta di atrocità, talvolta al solo
scopo di amplificare la propria egoistica soddisfazione'.
Nel
1883 il celebre psichiatra J. Crichton-Browne invitava i genitori a
'ricordare che i bambini non sono ometti e donnine del XIX secolo, ma
versioni purissime di antenati remoti, pieni di capricci e impulsi
selvatici, e di selvatici rudimenti di virtù'.
H.
Maudsley, l'altro psichiatra di spicco dell'epoca, nel 1895 scrisse:
' Date a un neonato il potere fisico equivalente alle sue passioni e
potrebbe rivelarsi più pericoloso di una bestia selvaggia'.
Queste
visioni, tratte da un bel libro di Kate Summerscale, Il
ragazzo cattivo, ovvero delitto, castigo e redenzione di Robert
Coombes, che ha ripreso una
storia vera di una coppia di ragazzini che uccidono a coltellate la
madre nel sonno e poi se la tengono in casa, proseguendo a vivere
come se niente fosse, ci riportano al primo stereotipo che ci coglie
ogniqualvolta ci ritroviamo davanti ad episodi come quello del
pestaggio di Nicola nella discoteca-monstre di Lloret del Mar.
L'idea
è quella che chi fa cose del genere (picchiare, seviziare, pestare,
uccidere, soprattutto se in branco) ritorna ad uno stadio infantile,
bestiale, primitivo, fuori dalla civiltà.
Viene
facile pensarlo e dirlo, soprattutto di fronte all'evidente idiozia e
insensatezza dell'aggressione.
Ma
purtroppo le cose non stanno così.
Per
poter far quello che hanno fatto i tre ragazzi ceceni, altre che una
buona dose di infantilismo selvaggio certo, di totale analfabetismo
affettivo ed emotivo, ci vogliono anche altre esperienze ben più
sociali, e tipiche della nostra presunta civilizzazione: in primo
luogo l'esperienza della guerra e della violenza (ed in Cecenia mi
pare che non siano mancate loro le occasioni per farla di continuo);
con la conseguente convinzione, difficile da togliere, che con la
brutalità, le torture, le coercizioni, le bombe, si possano ottenere
-e soltanto così- grandi risultati.
E
con la a sua volta conseguente convinzione che sia meglio armarsi,
attrezzarsi, palestrarsi, muscolarsi e imparare a difendersi, e
quindi, se necessario, a saper attaccare e uccidere.
Non
è questa forse la cultura dominante di moltissimi maschi oggi ?
Più
si sentono deboli e indifesi dentro, più si barricano dietro
tartarughe addominali e flessioni ed MMA (Mixed Martial Arts).
Team
domination.
E'
il nome della palestra.
E'
il classico dojo come ce ne sono centinaia nella California del Sud.
Era
partito come un dojo di karate, poi si era trasformato in una scuola
di kenpo. E quando era scoppiata la moda delle arti marziali miste
(MMA), aveva spostato l'enfasi su di esse.
Boone
ha una discreta conoscenza dell'ambiente delle arti marziali a San
Diego, perchè è un mondo in stretto rapporto con quello del surf...
Il fatto è che i surfisti in genere sono ipercinetici con una bassa
soglia di attenzione, e hanno bisogno di costante movimento. Meglio
ancora se il muoversi include anche un po' di pericolo, come per
esempio il rischio di prendersi un pugno sul naso o un calcio in
faccia...
Cosa
succede se...un pugile combatte contro un karateka?
Gli
istruttori di arti marziali asiatiche erano piuttosto arroganti sui
risultati di un ipotetico match, sicuri che il loro candidato, con
calci veloci e pugni dala potenza devastante, avrebbe facilmente
messo al tappeto il pugile, lento e unidimensionale.
Non
andò così.
La
prima volta che qualcuno riuscì a organizzare questo match di pere e
mele, il karateka fece partire un calcio, il pugile lo prese sulla
spalla, penetrò nella guardia dell'avversario e lo mise al tappeto a
pugni. La comunità delle arti marziali restò sbigottita.
Ora
la saggezza comune proclamava che le 'arti' erano una bella cosa per
insegnare la disciplina ai ragazzi e per rassodare i glutei delle
donne, ma in una rissa da strada o nel classico parcheggio deserto
erano del tutto inutili, il trionfo dello stile a scapito della
sostanza.
La
risposta arrivò sotto la sigla MMA. I dojo cominciarono a insegnare
un po' di tutto. I ragazzi volevano studiare jujitsu, boxe,
wrestling, kickboxing, muay thai, in una combinazione che avesse un
senso. Sempre più palestre che in passato offrivano una disciplina
unica si stavano spostando verso le MMA per sopravvivere.
Per
esempio, il Team Domination.
(Don
Winslow, L'ora dei gentiluomini, 2012)
Le
palestre di lotta sono oggi un luogo di addestramento paramilitare,
spesso intessute a idee e proclami neonazisti, razzisti e misogini.
Tutto
questo non ha nulla a che vedere con un ritorno allo stato selvatico
o all'infanzia.
O
forse soltanto all'inverso: non potendo più vivere quotidianamente
almeno una parte della nostra selvaticità e della nostra infanzia,
ce la finiamo ad addestrarci per dare e prender colpi, a soffrire per
godere e a godere facendo soffrire.
Ritorna,
insomma, il visionario e profetico Fight Club di Chuck Palaniuk.
Ma
quel che mi colpisce in quel che è accaduto in Catalogna qualche
notte o alba fa non è soltanto e soprattutto quel che hanno
combinato i tre ceceni.
E
neppure il non intervenire delle persone intorno: si sa che più sono
le persone che assistono ad un evento violento e minore è la
possibilità che qualcuno intervenga a fermarlo.
Ognuno
pensa che lo farà qualcun altro, e -quasi sempre- nessuno lo fa.
D'altra
parte, le persone intorno non erano meno fatte, sfatte e finite di
quelli che picchiavano.
E
non è facile avere una coscienza morale o civile, quando sei ridotto
a brandelli da droghe e alcool.
Bastava
vedere le scene di Ferragosto sulle spiagge, ad es. di Gallipoli,
quel maniacale agitarsi di corpi e braccia a suon di techno, quello
sbattimento lowcost che ripaga migliaia di giovani da mesi di
frustrazioni da lavoro e da non lavoro, quella disperazione agitata
del nulla che li divorava freneticamente nell'estasi del consumo di
se stessi.
Provavo
orrore e terrore per me, disperazione per loro.
Quel
che colpisce non è il fatto che stessero a guardare, come davanti ad
uno spettacolo.
Che
cosa stiamo facendo noi tutti, d'altronde, dinanzi alle violenze,
alle segregazioni e alle torture in corso, che noi stessi perpetriamo
per interposta mano, contro i migranti, se non stare a guardare
inermi, intontiti e attoniti ?
Che
cosa facciamo quando i bulli sono gli Stati, le polizie, gli
eserciti, i servizi segreti (vedi il caso Regeni) ? Altro che i tre
porcellini ceceni...!
Pochi
di loro avrebbero fatto lo stesso: agire non rientra nei loro
parametri di vita, e neppure picchiare. Sono perlopiù ragazzi
gentili, educati, civili (per quanto drogati di musica e coca).
Ma
amano l'estasi della violenza, se altri te la offrono, si sentono
vivi se la guardano, si mettono a fare i filmini per essere
simultaneamente spettatori, registi e protagonisti virtuali della
vita di altri.
Ed
eccoci qui, tra passività e aggressione, tra indifferenza e
spettacolo.
La
nostra vita etica si svolge tra questi due estremi oggi, con un buco
grande in mezzo.
E
generazioni intere allo sbando.
Per
non parlar dei grandi.