martedì 15 settembre 2015

sottratti e (in)felici

Quando si è invitati in società, si entra semplicemente in casa, si sale la scala e quasi non lo si nota, tanto si è immersi nei pensieri. Soltanto così si agisce giustamente verso di sé e verso la società. (19.2.1911)

Donde l'improvvisa fiducia ? Oh, mi rimanesse! Potessi entrare e uscire da tutte le porte come un uomo relativamente impavido! Salvo che non so se lo voglio. (6.11.1913)

Allievo di Elieser era il rabbi Meir, la cui devozione era così grande che l'insegnamento del libero pensatore non gli recò nessun danno. Mangiava (così diceva) il gheriglio, buttava via il guscio.
(28.11.1911)

Se, per esempio M. arrivasse qua all'improvviso, sarebbe una cosa spaventevole. All'esterno la mia posizione sarebbe subito relativamente brillante, io sarei onorato come uomo tra gli uomini, otterrei più che parole formali, siederei al desco della compagnia di attori, esteriormente sarei dal punto di vista sociale quasi pari al dott.H. - ma sarei precipitato in un mondo nel quale non posso vivere. (29.1.1922)

Questi brani dal Diario di Franz Kafka li ho trovati nell' Arte di scomparire. Vivere con discrezione di Pierre Zaoui.
Da questo libro scelgo anche un brano finale, quello sulla 'felicità per sottrazione':
Sottrarsi ai vani giochi delle immagini di sé e delle ambizioni personali; sottrarsi alle cose che si posseggono come a quelle che non si posseggono; sottrarsi alla paura di perdere come alla paura di non aver più nulla da perdere -di essere senza mancanza, senza vuoto, senza movimento, morti.
Perchè, certo, una simile felicità istintivamente fa un po' paura, sembra del tutto prossima al fantasma dell'abbandono o alla grande rinuncia nichilista. Ma è perfettamente possibile e persino facile superare questa paura non appena ci rendiamo conto che questa sottrazione non è che un momento, felice da vivere, ma anche felice da veder passare, per reimbarcarsi nella vita con la sua ruota perpetua di impegni e delusioni, di speranze e disillusioni. Vale a dire, dal momento in cui ci ricordiamo ancora una volta del carattere intrinsecamente discontinuo della discrezione. Non è la libertà a rendere felici, ma la continua liberazione, il distacco, l'affrancamento, l'uscita dall'alienazione. Ma per distaccarsi e liberarsi, bisogna pur essersi inizialmente attaccati o fatti prendere, e per distaccarsi ancora bisogna ben accettare di attaccarsi ancora, senza fine...





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