Il dolore è tale perchè distrugge (dol/del) l'affermatività della persona, il suo potere.
E' sempre qualcosa che ha a che fare col rapporto con gli altri, con un senso di diminuita potenza.
In questo senso c'è qualcosa di radicalmente malvagio nel dolore, ovvero il disconoscimento della ragione universale, della necessità di ciò che avviene.
Il dolore c'è perchè c'è l'interesse personale -qualcosa che è avvertito, sia pure inconsciamente, come 'male' - come violenza fatta alle cose, al loro ordine.
C'è un dolus implicito in ogni dolor, qualcosa di fraudolento, connesso sempre con il desiderio di essere, di avere, di potere.
Il dolore è sempre dispiacere per le cose che non sono e non vanno come si vorrebbe che fossero, ma si avverte che in questo dolore vi è un male, perchè le cose sono sempre come è necessario che siano, e che non vadano nel senso da noi voluto, non è una loro, ma una nostra colpa.
Nel dolore si avverte con chiarezza che il male dipende dal nostro ex-istere, ovvero da quella opposizione io-tutto che è implicita nella presenza stessa di un io determinato...
Perciò, dialetticamente, la riflessione spirituale vede nel dolore il mezzo pedagogico per eccellenza: è esso a distruggere l'io determinato e la sua pretesa affermativa... Gli dei mandano all'uomo la sofferenza -scriveva la tragedia greca- perchè impari a comprendere...
Ogni tradizione spirituale riporta tutto a Dio, non come capriccioso tiranno, ma come impersonale giustizia e necessità - e perciò rifiuto ogni giudizio di merito o di colpa.
Non vi sono, non vi possono essere opere buone, sostiene Eckhart, e neppure ha un senso condannare:
'Quando Ahmad ibn Hanbal fu avanzato negli anni e molto fragile, un gruppo di eretici si impadronì del potere a Baghdad e cercò di ottenere da lui una dichiarazione che stabilisse la giustezza delle loro opinioni. L'Imam si rifiutò e gli furono inflitte mille frustate, poi fu messo alla tortura.
Prima di morire, gli fu chiesto cosa pensasse dei suoi assassini.
Egli disse: 'Posso dire soltanto che mi hanno colpito perchè credevano di essere nel giusto ed che io fossi nel torto. Come posso invocare giustizia contro chi è convinto di essere nel giusto ?''.
(da Marco Vannini, Mistica e Filosofia, 1996).
Mai come in questi tempi senza conforto sento il mio dolore e i rantoli del mondo, umano e non.
L'umanità assomiglia per me oggi a quel condannato a morte che ieri, pur avvelenato, non riusciva a morire.
Nel dibattersi, si sarà illuso per un attimo di poter evitare la fine ?
E avrà sofferto ancora di più per questa stessa illusione ?
E chi guardava cosa pensava, o sentiva, o provava a fare, nell'intanto ?
E accettazione e distacco sono davvero l'unica via ?
nessuno
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