Certe volte le giornate scivolano in
una notte anticipata, così, per assenza di trama.
(Oddio, Iris, come la metti giù
dura...)
Volevo dire che la solitudine è una
condizione estrema, non c'è vincolo di relazione che ti obblighi, e,
obbligandoti, ti sollevi dal peso della spietata libertà. Lo so
benissimo che l'ho cercata per tutta la vita, la libertà nella
solitudine, negandomi, ritirandomi, chiudendo rapporti, perdendo
numeri di telefono, indirizzi, occasioni.
Ho sempre avuto un 'no' fra le
labbra.
E adesso che succede ? Mi sono
pentita ? Voglio diventare una vecchia ciarliera che esce con le
amiche per parlare di niente ?
Ho pensato: se avessi il suo numero
di telefono, potrei chiamarlo.
Ho pensato: non ho il suo numero di
telefono.
Ho pensato: è questo che odio,
della vecchiaia.
Nessuno ti dà il suo numero di
telefono.
Neanche se gli sei simpatica.
L'ho guardata e finalmente l'ho
vista. E' vero. E' vecchia anche lei. Ma di quella vecchiaia da
principianti che io mi sono lasciata dietro le spalle. Cerca ancora
soluzioni...
E' strano, guardo 'gli altri' e non
riesco ad attingere soddisfazione dal senso di una mia ipotetica
diversità. Eppure di tratta della feconda convinzione che ha
accompagnato due terzi della mia vita.
Non è più così.
Senza averlo deciso mi sono
mimetizzata nella folla, sono diventata parte del disordine più
generale. Imperfetta, inadeguata, vulnerabile. Come tutti.
Cara Melina, tu non hai bisogno di
me. E, in fondo, neanche io ho bisogno di te.
A un certo punto della vita ci si
trova al centro di un sistema di relazioni quasi perfettamente
superflue. Forse è per questo che si finisce per fare cose da
poveracci.
Con tutto il mio affetto, Iris.
Ehi, Moglie, non trattarlo da
neonato.
Una cosa è incominciare, una cosa è
finire.
Quando si incomincia si ha bisogno
dello sguardo amoroso della madre.
Quando si finisce, si ha bisogno di
un po' di solitudine.
La buona volontà dei sani genera
frustrazione e noia nel declinante.
Possibile che non lo capisci, Moglie
?
Non avevo idea di quanto può essere
lunga la vita.
Credevo di averne già percorso una
parte rilevante. La migliore.
Mi sono perciò reclusa nel
territorio della rinuncia con scellerata precocità.
Così adesso mi trovo essere
vecchia da quarantaquattro anni. Mese più mese meno...
Perchè bisogna ridere del tempo. Ed
è maledettamente difficile farlo da soli.
Ci vuole qualcuno disposto a
decifrare con te la trama che corre sotto l'apparente casualità del
tuo transito su questa terra e a giurare che tutto ha avuto un senso.
Che tu sei innocente, che non hai
dissipato i tuoi giorni.
Ci vuole un testimone. E io non ho
testimoni.
Mio padre è morto, mia madre è
morta, mio fratello è morto.
Volevo desiderare una tazza di brodo
e un letto su cui stendere un corpo infreddolito.
Del resto. E' stata così tutta la
mia vita da Michele in poi.
Dalla caduta dell'impero dei sensi.
Ho sempre cercato nell'alternanza fatica/riposo, dolore/sollievo la
sola felicità perseguibile.
Lavorare e poi riposare.
Addormentarmi e poi svegliarmi. Accendermi, spegnermi.
Fino al completo arresto dei motori.
Mi chiedo se capita a tutti, che la
vita si rastremi fino al punto di non contenere altro che il proprio
io ormai sguarnito, eppure così arroccato in difesa, da espandersi
fino a eliminare il resto del mondo. Mi chiedo se anch'io sarò così.
Mi chiedo se lo sono già e non me ne accorgo...
Sono diminuita, più che lievitare
come le altre donne.
E' questa del resto la mia dieta.
Togliere. Ambizioni, emozioni, desideri.
Ridurre la superficie vulnerabile,
dalla delusione, dalla frustrazione.
Volere poco, chiedere niente.
Hai avuto un tale orrore della
vecchiaia che ti ci sei buttata a capofitto. Molto prima del tempo.
L'hai anticipata. Ti sei fatta da
parte. ..
(Lidia Ravera, Piangi pure, 2013)
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