martedì 8 luglio 2014

cara vecchia iris...

Certe volte le giornate scivolano in una notte anticipata, così, per assenza di trama.
(Oddio, Iris, come la metti giù dura...)
Volevo dire che la solitudine è una condizione estrema, non c'è vincolo di relazione che ti obblighi, e, obbligandoti, ti sollevi dal peso della spietata libertà. Lo so benissimo che l'ho cercata per tutta la vita, la libertà nella solitudine, negandomi, ritirandomi, chiudendo rapporti, perdendo numeri di telefono, indirizzi, occasioni.
Ho sempre avuto un 'no' fra le labbra.
E adesso che succede ? Mi sono pentita ? Voglio diventare una vecchia ciarliera che esce con le amiche per parlare di niente ?

Ho pensato: se avessi il suo numero di telefono, potrei chiamarlo.
Ho pensato: non ho il suo numero di telefono.
Ho pensato: è questo che odio, della vecchiaia.
Nessuno ti dà il suo numero di telefono.
Neanche se gli sei simpatica.

L'ho guardata e finalmente l'ho vista. E' vero. E' vecchia anche lei. Ma di quella vecchiaia da principianti che io mi sono lasciata dietro le spalle. Cerca ancora soluzioni...

E' strano, guardo 'gli altri' e non riesco ad attingere soddisfazione dal senso di una mia ipotetica diversità. Eppure di tratta della feconda convinzione che ha accompagnato due terzi della mia vita.
Non è più così.
Senza averlo deciso mi sono mimetizzata nella folla, sono diventata parte del disordine più generale. Imperfetta, inadeguata, vulnerabile. Come tutti.

Cara Melina, tu non hai bisogno di me. E, in fondo, neanche io ho bisogno di te.
A un certo punto della vita ci si trova al centro di un sistema di relazioni quasi perfettamente superflue. Forse è per questo che si finisce per fare cose da poveracci.
Con tutto il mio affetto, Iris.

Ehi, Moglie, non trattarlo da neonato.
Una cosa è incominciare, una cosa è finire.
Quando si incomincia si ha bisogno dello sguardo amoroso della madre.
Quando si finisce, si ha bisogno di un po' di solitudine.
La buona volontà dei sani genera frustrazione e noia nel declinante.
Possibile che non lo capisci, Moglie ?

Non avevo idea di quanto può essere lunga la vita.
Credevo di averne già percorso una parte rilevante. La migliore.
Mi sono perciò reclusa nel territorio della rinuncia con scellerata precocità.
Così adesso mi trovo essere vecchia da quarantaquattro anni. Mese più mese meno...

Perchè bisogna ridere del tempo. Ed è maledettamente difficile farlo da soli.
Ci vuole qualcuno disposto a decifrare con te la trama che corre sotto l'apparente casualità del tuo transito su questa terra e a giurare che tutto ha avuto un senso.
Che tu sei innocente, che non hai dissipato i tuoi giorni.
Ci vuole un testimone. E io non ho testimoni.
Mio padre è morto, mia madre è morta, mio fratello è morto.

Volevo desiderare una tazza di brodo e un letto su cui stendere un corpo infreddolito.
Del resto. E' stata così tutta la mia vita da Michele in poi.
Dalla caduta dell'impero dei sensi. Ho sempre cercato nell'alternanza fatica/riposo, dolore/sollievo la sola felicità perseguibile.
Lavorare e poi riposare. Addormentarmi e poi svegliarmi. Accendermi, spegnermi.
Fino al completo arresto dei motori.

Mi chiedo se capita a tutti, che la vita si rastremi fino al punto di non contenere altro che il proprio io ormai sguarnito, eppure così arroccato in difesa, da espandersi fino a eliminare il resto del mondo. Mi chiedo se anch'io sarò così. Mi chiedo se lo sono già e non me ne accorgo...

Sono diminuita, più che lievitare come le altre donne.
E' questa del resto la mia dieta. Togliere. Ambizioni, emozioni, desideri.
Ridurre la superficie vulnerabile, dalla delusione, dalla frustrazione.
Volere poco, chiedere niente.

Hai avuto un tale orrore della vecchiaia che ti ci sei buttata a capofitto. Molto prima del tempo.
L'hai anticipata. Ti sei fatta da parte. ..


(Lidia Ravera, Piangi pure, 2013)

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