giovedì 7 novembre 2013

un Francesco Piccolo piccolo

Ho letto d'un fiato 'Il desiderio di essere come TUTTI' di Francesco Piccolo.
Lo sapevo già dai suoi libri precedenti (in particolare 'La separazione del maschio'): sa scrivere, mi prende.
Sa descrivere con chiarezza le ambivalenze della ragione e i continui, piccoli spostamenti del cuore.
Insomma, è uno bravo, tra i pochi in Italia.
Ed è bello anche il suo ennesimo tentativo di coniugare pubblico e privato, politica e sentimenti, individuo e mondo. Soprattutto oggi.
Detto questo, così come già avvenuto qualche tempo fa col libro di Cassano, non concordo con quel che scrive nè tantomeno con le conclusioni a cui arriva.
Mi pare che il Piccolo si aggiri ciclicamente e ripetitivamente dentro i confini di una cultura ristretta ed univoca, all'interno della quale giustamente non vede alternative alle false alternative in cui si dibatte.
Purezza contro impurità, Berlinguer o Berlusconi, morale o politica, etica dell'intenzione o della responsabilità.
Non mi stupisce che, dopo tanto vagare, arriverà -come tantissimi nel PD- a votare Renzi.
Pur di non apparire rigido ed ideologico, e pur di vincere.

Eppure, anche nella storia, bella e lunga, che racconta, ci sarebbero stati dei passaggi di cambiamento e di uscita dai suoi recinti abituali; ma sono passaggi che non cita, che non vede.
Ad esempio, per tutti gli anni 80 è completamente rimosso il movimento per la pace e l'autore dedica solo un brano mistificante alla visione ecologista.
Per non parlare della nonviolenza, totalmente assente dal suo orizzonte mentale, morale e politico.
In questo, è solo uno dei tanti intellettuali di sinistra incapaci di vedere qualcos'altro, qualcosa che è già andato oltre le solite storie italiane (fatte di Moro, terrorismi, sindacati e riformismi, democrazie cristiane e compromessi storici, alternative democratiche e regimi di sempre...).
Non è inutile riattraversare quella storia, sopratutto per riscoprire la sua sconfortante coazione a ripetere (pensiamo al governo Andreotti sostenuto dalla 'non sfiducia' del PCI, o al patto di 'desistenza' tra governo Prodi e PRC: quanto assomigliano agli inciuci di oggi, fondati su quelli che una delle maggiori oppositrici (sic) di oggi, la Puppato, chiama 'atti di fiducia critica'...).
Oppure la constatazione della totale inutilità e ipocrisia delle migliaia di cortei, manifestazioni, petizioni che il Nostro ha dovuto assecondare (e a cui oggi rinuncia; anche se continua a frequentare i salottini di Fazio).
Ma, seppure istruttiva, appare una storia senza futuro, che non apre a nuovi scenari, ma insiste ad avvoltolarsi nella solita nenia.

L'elemento più disturbante e terribile del libro è però per me un altro: è quell'atteggiamento che Piccolo attribuisce alla moglie, donna che lui stesso chiama Chesaramai.
Una donna che ama, che gli ha salvato la vita, che gli ha permesso di non cadere in rabbia, sconforto, catastrofismo e depressione.
I due si salvano così, nell'accettare la superficialità del Chesaramai.
Se, come stamattina, nostro figlio prendendo la tazza fa cadere il latte a terra inondando il pavimento...mia moglie dice soltanto, senza muoversi o agitarsi: è caduto il latte a terra...Chesaramai vuole (sempre) dire: non è importante, è rimediabile, non è finito il mondo, ci sono cose più gravi, non ci possiamo rovinare la giornata (la vita) per una cosa del genere, non ne facciamo un dramma, ti arrabbi sempre, ma che ti importa, poi finisce...In definitiva: che sarà mai...
Ecco che cos'è Chesaramai: la sdrammatizzatrice dell'umanità...
Si potrebbe pensare: ma come si fa a vivere con una così ? La verità è che, proprio a voler cercare il senso profondo dell'esistenza, è meraviglioso vivere con una persona così. E' il motivo per cui stiamo insieme da così tanti anni, in modo piuttosto felice. Perchè lei non si vuole rovinare e non vuole che noi ci roviniamo la giornata per un bombardamento sull'Iraq.
Chesaramai è la mia personale etica della capacità di risposta. La sua presenza diffonde sull'esistenza una patina di sopportabilità alla quale non ci si riesce più a sottrarre. Cos'è questa patina? E' la superficialità che si è fatta elemento positivo, che è diventata una chiave interessante per saper stare al mondo...Ed è diventato il sistema grazie al quale poi, tornando a casa, si riesce a rielaborare tutto ciò che accade, che sembra sopraffarci, e lo si trasforma in una sola, decisiva parola: sopportabile.

Qualunque cosa accada, la reazione è 'che sarà mai...?'.
E si va avanti, così, di rimozione in rimozione, di dolore in dolore, di orrore in orrore.
Come se tutto fosse superabile, come se non potesse più esistere tragedia, distruzione, ferita vera, morte e rimpianto, nostalgia.
In una parola, valore.
Non c'è nulla per cui valga la pena di soffrire veramente, e l'unico valore diventa questo: non soffrire, non darsi pena, non esagerare, non tagliare con nulla, non confliggere mai.
Un neo veltronismo, un 'ma-anchismo' che ha già funestato la nostra storia recente, ma che -questa volta- ha di nuovo la possibilità di vincere, di governare, e di fallire.
Mi chiedo: come si fa a preferire il vincere con Renzi rispetto al perdere con Berlinguer ?
E soprattutto: come mai al vincere non si applica mai la formuletta magica del  'che sarà mai ' ?
E mi chiedo: se una loro figlioletta facesse pompini per riavere indietro il cellulare o per rimpinguarsi la paghetta o ricaricare lo smartphone, i coniugi Piccolo risponderebbero davvero  'che sarà mai' ?

So che Francesco Piccolo è una persona sincera, e che anche questo libro è un tentativo di fare i conti, spietatamente, con se stessi e con la propria storia.
E allora, proprio per questo, delude ancor più il finale -davvero melenso e retorico- di questo suo ultimo testo:
In questi vent'anni ho sentito un numero incalcolabile di persone dire che l'unica cosa da fare è andarsene da questo Paese, e ormai ho imparato dallo sguardo, dal movimento del capo, dal sospiro che precede la frase, che stanno per dirlo. Non capisco come possa diffondersi così facilmente una mancanza d'amore verso la politica, Non capisco il distacco...
Insomma, io non mollo mai. Quelli che decidono di andarsene da questo Paese, o semplicemente dicono per tutta la vita di volerlo fare, è perchè si vogliono salvare.
Io invece resto qui. Perchè non mi voglio salvare.

Ma, caro Francesco Piccolo piccolo. cos'è allora il Chesaramai, se non un modo di salvarsi e di salvare tutto quel che siamo (fuorchè, credo, l'anima) ?
E perchè mescolarsi alla melma di questo paese, arrivare ad amarne le superficialità e le rimozioni, le collusioni e le retoriche d'immagine, se non per salvarsi ?
E perchè non potrebbe essere più degno, magari per non salvar più nulla se non l'anima, proseguire a stare in questo paese, smettendo di collaborare e separandosene ?



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