giovedì 28 marzo 2013

tristi tropici

L'orrore micidiale della vita non si contiene nelle calamità, nei disastri, perchè queste cose ti svegliano e tu ne diventi familiare, intimo, ed alla fine anch'esse si domano...
Non nel micidiale errore del disastro e della calamità, ma nella regressione automatica, nel nudo panorama della lotta atavica dell'anima...
A un tratto, un radura ed eccomi in un gran burrone scavalcato da un ponte di legno sgangherato. 
Questa è la catastrofe finale! Come diavolo ci sia giunto e perchè son qui non so.
Come farò a mangiare ? E se anche mangiassi il più gran pasto del mondo, sarei tuttavia triste, paurosamente triste. Non so dove andare da qui. Questo ponte è la fine,la fine di me, la fine del mio mondo noto. Questo ponte è pazzia: non c'è motivo per cui io debba star lì, non c'è motivo per cui la gente lo debba traversare. Mi rifiuto di fare un altro passo, mi impunto a traversare quel ponte folle...
Capisco pian piano che persona tremendamente civile son io  -il bisogno che ho di gente, di conversazione, di libri, di teatro, di musica, di caffè, di bere, e così via... Terribile esser civile, perchè quando arrivi alla fine del mondo, non hai nulla per sopportare il terrore della solitudine.
Essere civile significa aver bisogni complessi.
E un uomo, quando è davvero cresciuto, non dovrebbe aver bisogno di nulla.
Tutto il giorno ho passato nei campi di tabacco, e il mio disagio cresceva di continuo.
Cosa c'entro io con tutto questo tabacco ? Dove sto andando ? Dappertutto gli uomini producono raccolti e merci per altri uomini - e io son come un fantasma che scivola entro tutta questa incomprensibile attività...Passo per la città e guardo i giornali che dicono cosa succede in quella città e nei dintorni. Pare a me che nulla succeda, che l'orologio si sia fermato senza che questi poveri diavoli lo sappiano. Ho una forte intuizione, inoltre, che ci sia assassinio nell'aria. Ne sento l'odore...

Avanti...E' altrettanto difficile andare indietro o andare avanti.
Sento come se qualcuno mi tenesse il fucile puntato alle spalle.
Muoviti, questo mi sembra di udire.
Se qualcuno mi parla io cerco di non parere troppo intelligente.
Cerco di far credere che mi interessano moltissimo i raccolti, il tempo, le elezioni...
Devo camminare per altre mille miglia, come se avessi uno scopo importante, come se dovessi andare da qualche parte.
E debbo anche mostrarmi grato, che nessuno sinora mi abbia sparato. Deprime e inebria a un tempo.
Sei un uomo segnato, e nessuno preme il grilletto. Ti lasciano camminare indisturbato fino al Golfo del Messico, e lì puoi affogartici.
Sissignore, raggiunsi il Golfo del Messico e ci entrai dentro e mi ci affogai. Lo feci gratis.

Tutta questa vita attiva che precedeva l'atto finale della disperazione mi portò di dubbio in dubbio, accecando sempre di più l'io reale che, come un continente soffocato dalle prove di una grande e prospera civiltà, è già sprofondato sotto la superficie del mare. Quest'io colossale era sommerso e quel che la gente vedeva muoversi freneticamente sopra la superficie era il periscopio dell'anima in cerca del suo bersaglio. Tutto quel che veniva a tiro doveva essere distrutto, perchè potessi risalire a galla e nuotare nelle onde. Questo mostro che di tanto in tanto sorgeva per puntare dritto al suo bersaglio, che si rituffava e cercava e frugava incessantemente, a tempo debito sarebbe riaffiorato per l'ultima volta sotto forma di arca, avrebbe accolto in sè una coppia di ogni specie e alla fine, placato il diluvio, si sarebbe posato sulla cima di un'alta montagna, per poi spalancare le porte e restituire al mondo ciò che aveva salvato dalla catastrofe.

(Henry Miller, Tropico del Capricorno, 1939)

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