martedì 5 marzo 2013

irrilevanze

Sappiamo che tutto quel che facciamo, discutiamo, proponiamo -qui sul blog o altrove- rischia di essere irrilevante.
Questo vale per tutti e per tutto, che si stia a casa sua o al governo, che si sia Papa o Ministro, deputato o muratore.
Ma quel che sta accadendo sta dando comunque di nuovo a molti la voglia di riprendersi la parola, fosse anche solo per abbaiare alla luna, come da qualche tempo io faccio da qui.
Grande la confusione sotto il cielo, che mille fiori sboccino, insomma...
Da catastrofista, in una fase come questa, quel che mi spaventa non è la paura del nuovo o della crisi. E' quella che Travaglio chiama 'l'industria della paura': quella che ci invita a non rischiare, a star fermi, ad accontentarci, a voler conservare le apparenti sicurezze di ieri, a trovare soluzioni e vie d'uscita subito per il bene di non si sa chi...
Scrive: Ho trascorso qualche ora in rete a leggere i commenti ai nostri ultimi articoli. E, pur non avendo mai mitizzato il “popolo del web”, mi sono un po’ spaventato. Non per il caos creativo uscito dalle urne, che contiene pericoli ma anche grandi opportunità per chi vuole raccogliere la sfida di incanalare questa rabbia positiva verso un vero cambiamento. Ma per la paura di cambiare che vedo in molti lettori, compresi paradossalmente quelli che han votato per cambiare...
Il vuoto politico uscito dalle urne deve spaventare gli eterni gattopardi dei partiti, dei giornalisti e delle clientele aggreppiate e assistite. Ma non può spaventare le menti libere. È una sfida appassionante, l’ultima occasione per costringere la politica e quindi la società a rigenerarsi dalle fondamenta.
Su questi temi (conservazione/cambiamento, paura/fiducia...) potete vedere anche i post di un medico e di uno psichiatra sistemico, oggi sul Fatto: 
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/04/piu-diventa-tutto-inutile-piu-credi-che-sia-vero-crisi-del-sistema-e-vie-duscita/519318/  del medico Pier Paolo Dal Monte  e
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/04/la-mente-umana-e-il-risultato-delle-elezioni/519507/  dello psichiatra Ruggero Piperno.

Quel che sono in gioco oggi infatti non sono verità razionali o calcoli d'utilità, ma il modo in cui gestiremo le nostre emozioni nel cambiamento.
Quanto riusciremo a sentirci rilevanti in esso, quanto e come accetteremo la nostra irrilevanza.
E quanto riusciremo a superare le nostre cogenti mitologie.
In primo luogo una: quella secondo cui con un governo si vive meglio che senza.
Ma è davvero così ? E lo sarà ?
(Conoscete il fantastico 'L'arte di non essere governati' di E.Krippendorf ?).
La 'non governabilità' viene sentita di per sè come un disvalore, un mostro da evitare a tutti i costi.
Anche a costo di inventarsi leggi elettorali con premi di maggioranza assurdi, pur di governare un paese che è composto da molte minoranze e da nessuna vera maggioranza elettorale.
Non è così che se ne uscirà, attraverso escamotages tecnico-amministrativo-procedurali.
Sarebbe necessario ascoltare le persone, i gruppi di associazione e di interesse, aggiungere democrazia alla democrazia, potenziare il consenso deliberativo e non quel che resta di una finta democrazia rappresentativa.
Ma è molto improbabile che questo accadrà.
E, a questo punto, nell'impraticabilità dichiarata di una più ricca democrazia, meglio per me un 'dittatore ecologico' (Grillo) che un 'dittatore tecnocratico-finanziario' (Monti).

Quindi, vedremo quel che succederà, ma certamente possiamo scordarci i soliti nostri governi 'democratici'.
I partiti vanno irrimediabilmente verso la loro irrilevanza politica.
E più insisteranno a formare governi, più falliranno e sbatteranno contro la nuova realtà delle cose.
Il PdL pur non avendo perso la faccia alle elezioni, è e sarà politicamente irrilevante, escluso da qualunque possibile manovra per il governo.
Il PD si trova davvero a mal partito: se rinuncia a tentare di governare è finito, se ci prova è finito lo stesso.
Credo che ci proverà e Bersani si farà umiliare per la seconda volta in un mese (roba da Guinness!).  
Grillo, intanto, se la gode.
Anche se quel che l'aspetta fa tremare i polsi.
Non è per nulla un incosciente, o un ingenuo.
La sua tela di ragno si sta svolgendo e i soliti poteri (soprattutto i media) si sentono irrilevanti e sono in estrema confusione.
Da tempo lo spettro delle Repubblica di Weimar si è ripresentato davanti a noi.
Ci avvolgerà totalmente nei prossimi mesi.
Ma non è detto che se ne uscirà come allora.
Sempre che non vinca -ancora una volta- la paura di cambiare.





1 commento:

  1. Caro Enrico, ho letto il tuo post su consiglio di Cristina Marras, nostra comune amica.

    Concordo profondamente con te, su questa nuova, e quasi attonita, consapevolezza che i nostri connazionali provano di essere governati. Ciò che sentiamo tutti i giorni, sugli autobus, nei supermercati, nei luoghi di lavoro ecc, non è tanto la sterile discussione sulla possibilità di una maggioranza parlamentare o meno, vana discussione simile ai pronostici calcistici del pre partita, ma è lo svelamento di un meccanismo: il governo. Ci si scopre finalmente governati. E soprattutto si scopre che si può continuare a vivere senza essere governati.

    Sembra quasi che questa coscienza faccia paura, e allo stesso tempo attragga. Un pò come gli schiavi romani affrancati che improvvisamente si trovavano liberi, ma assolutamente incapaci di provvedere a loro stessi.

    Come se improvvisamente venisse meno la necessità della Polizia, di un forza pubblica, perchè si scopre che quella forza non è nella natura delle cose, ma genealogicamente determinata, come direbbe Foucault. E per dirla ancora con lui, scopriamo il problema nuovo della governamentalità: c'è proprio bisogno di essere governati?

    Condivido con te la speranza e il timore. Speranza si vivere una nuova fase relazioni di potere, e timore che tutto si traduca in un nuovo ordine. Timore di Weimar tu dici, che oggi sull pagine di Nazione Indiana condivide anche Janeczek.

    Un abbraccio, e che lo spettacolo al quale ci accingiamo ad assistere ci regali una partecipata messa in gioco di noi stessi.

    alessandro baccarin

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