Quando
vedo il simbolo pacifista trasformato in Tour Eiffel mi monta la
rabbia e il disgusto.
Il
simbolo antimilitarista radicale del fucile spezzato sta all'origine
di quel logo stilizzato.
Ma le
anime candide, le colombine che oggi lo esibiscono se lo sono
dimenticato.
Sono
le stesse che dieci anni fa attaccavano sul balcone la bandiera
arcobaleno per dire: vogliamo la pace! Che significa soltanto:
lasciateci in pace!
Lasciateci
continuare a sfruttare, violentare, distruggere il mondo, ma -per
favore- non veniteci a sparare per le strade o nei nostri bar.
Questi
valzer delle candele per i nostri morti, contro la violenza del
terrorismo (ma, attenzione, non contro quella delle nostre guerre),
ci fa capire cosa ne è stato ormai del pacifismo.
Soltanto
Papa Francesco continua a maledire i mercanti e i trafficanti d'armi.
Il
resto sono solo litanie, silenziosi raduni di cavallette infoiate da
Facebook, ipocriti inviti a non provare 'né rabbia né paura', come
se fosse vero e possibile.
Perchè
comunque le proviamo: proviamo rabbia, ma non dobbiamo dirlo, verso
il diverso che sta tra noi e ci odia.
Perchè
proviamo paura, ma non riusciamo a riconoscerlo; se lo facessimo
tutto crollerebbe.
E
perchè, invece, sarebbe il momento di provare rabbia e paura, ma
verso noi stessi, le nostre politiche, i nostri governi, i nostri
commerci infami.
Non
accadrà.
Perchè
noi non abbiamo torto, noi siamo le vittime, noi sapremo reagire,
secondo ragione e diritto, come sempre.
Ma più
che un valzer delle candele, sembra un valzer del moscerino.
Perchè,
come moscerini, i paciosisti e i panciafichisti saranno spazzati via
dal vento di guerra.
Le
nostre democrazie, già incrinate dall'interno e in stato di
abbandono comatoso, non reggeranno all'urto del terrore.
La
libertà residua sarà ulteriormente barattata per un'illusoria
sicurezza, gestita (per ora) da cretini sesquipedali che hanno le
facce e le voci di Alfano e Gentiloni (la fisiognomica è una
scienza).
I
nostri stati si stanno trasformando rapidamente in stati d'emergenza.
Dava
da pensare, l'altra sera, che le persone per sentirsi protette
dovessero stare dentro uno stadio.
La
partita era finita da tempo, e loro -compresi i giocatori- erano
ancora lì, ad attendere di poter essere liberati. Prima le dittature
ci mettevano nello stadio per farci fuori, ora ci mettono lì per
proteggerci. Ma la musica non cambia.
Finisce
il tempo di amichevoli, concertini, festicciole e processioni.
La
guerra permanente: unico, ultimo spettacolo della nostra civiltà.
I
giornalisti (e gli armieri) già gongolano.
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