Noi non sappiamo perchè l'aeroplano si sostenga in cielo e voli...Conosciamo gli effetti della velocità, sappiamo che questa crea una depressione sul dorso dell'ala e una sovrapressione sul suo ventre...La somma vettoriale della depressione e della pressione determina la portanza dell'ala, cioè la sua capacità di sostentamento...La portanza è prodotta quindi per due terzi dalla depressione sul dorso dell'ala e per un terzo dalla sovrapressione sul ventre. Questo vuol dire che l'aereo è per due terzi risucchiato in cielo e per un terzo sostenuto dal basso (ecco un caso in cui la depressione si rivela più potente di ogni altra forza, e ha la capacità di sollevarci in alto. Ciò non può che rincuorare noi adepti di Saturno e della melancholìa).
D'altronde bisogna credere agli strumenti, perchè nel volo senza visibilità, c'è come un conflitto nella nostra mente, una battaglia tra rappresentazioni immaginarie, ciascuna delle quali vorrebbe affermarsi come 'vera'. Da un lato la nostra mente elabora una rappresentazione...deduttiva, poichè dedotta dagli strumenti; dall'altro elabora allo stesso tempo una rappresentazione naturale, istintiva, alla quale avremmo ottimi motivi per attribuire verità, insopprimibile, perchè proviene dall'interno di noi, dalle nostre stesse radici. Questa seconda rappresentazione prende il nome di sensazioni illusorie. Dipendono dai liquidi che scorrono nei canali del labirinto auricolare, e che a ogni movimento del nostro corpo fluttuano stuzzicando le cellule cigliate delle pareti dei canali, le quali mandano segnali di posizione di noi a noi stessi. Dunque gli strumenti del cruscotto li ho già nelle orecchie, ma sono più lenti, perchè i liquidi sono densi e troppo lenti...Tutto è corretto, ma tutto è in ritardo, un presente illusorio, mentre l'aereo e il mio corpo vivono già il futuro di una diversa posizione nello spazio...
Le sensazioni illusorie sono soltanto un caso di quel confine mobile e conflittuale tra comportamento istintivo e anti-istintivo che è al cuore delle manovre di volo più impegnative...
Esistono condizioni aerodinamiche di volo nelle quali si passa a 'comandi invertiti': vale a dire che per salire è necessario spingere in giù il volantino, e per scendere tirarlo a sè...
Quando ci ci accorge -e non è detto che ce se ne accorga subito- che l'aereo è passato dal volo in 1° regime (in cui i comandi funzionano in modo normale e istintivo) al volo di 2° regime (quello per comandi invertiti), e magari ci si trova in condizioni di non visibilità, e magari ci si trova anche bassi di quota, ebbene non è facile governare l'aereo con gesti e azioni perfettamente opposti a quello che non solo l'istinto, ma in tal caso il senso comune, spingerebbe a compiere.
Anche dallo stallo e dalla vite, le due situazioni critiche che il pilota teme più di tutte, si esce soltanto attraverso manovre anti-istinitive...
STALL!STALL!STALL!
A quel punto anche i comandi -volantino e pedaliera- diventano laschi. La reazione istintiva, quella che ti detta il cuore, è di tirare e tirare il volantino, per tenere alto il muso dell'aereo che già comincia a sprofondare...Al contrario, l'unica via d'uscita è contro ogni istinto: buttare giù il muso dell'aereo e farlo precipitare, anticipare così lo stallo controllando la caduta, o almeno accompagnandola, in modo da riprendere velocità e poco alla volta 'riacchiappare' l'aria... Si può entrare in stallo per molti motivi...Ma se ne esce soltanto -in un certo senso- lasciandosi cadere.
Se si segue l'istinto e si cerca disperatamente di governare col volantino si perde anche poca prestanza residua delle ali, e non c'è più modo di uscire dalla vite. Al contrario, contro ogni istinto, il volantino non bisogna girarlo mai, e bloccare invece la rotazione dell'aereo su se stesso coi pedali...
A quel punto, mentre l'aereo precipita ma non più in spirale, lo si riprende con una richiamata dolce e progressiva al volo orizzontale.E perfino la dolcezza nel richiamare l'aereo al termine di una picchiata è un fatto del tutto anti-istintivo: la terra si avvicina, non c'è più margine di manovra, tiriamo, tiriamo il volantino, l'aereo in principio sembra rimettersi in linea di volo orizzontale, poi di colpo sprofonda definitivamente, come se avesse varcato un estremo limite...
E' una misura questa che si può avere soltanto nella sensibilità della mano al volantino, nella delicatezza con cui tirare piano fino al limite, restare su quel limite resistendo al terrore e sperando nell'equilibrio delle forse (del forse), e anche nelle forze divine.
Così nella vita.
Anche nella vita si può entrare in stallo o in vite per tanti motivi, per disattenzione, per errore, per perdita di portanza di se stessi, o a causa di un'inesatta rappresentazione della propria posizione, in rapporto alla posizione degli altri, oppure per essersi concentrati su un solo aspetto delle cose, ricavando da quello ogni idea, ogni significato, ogni nostro sentiero.
Anche nella vita ci sono momenti critici, momenti in cui l'istinto e la passione premono verso gesti e azioni immediati e naturali, mentre quelli per uscire dalla situazione sarebbero perfettamente opposti, anti-istintivi, (non è detto, naturalmente, che si voglia veramente uscirne);; ci sono momenti di stallo, in cui cerchiamo ancora di salire e di tenerci dritti, alti, mentre l'unica soluzione sarebbe lasciarsi cadere, momenti in cui cerchiamo continuamente di abitare il centro mentre l'unica ragionevole possibilità sarebbe quella di seguire con misura la traiettoria eccentrica che ci porta verso il fuori, seguirla con delicatezza verso il suo bordo massimo senza fuoriuscirne; momenti in cui precipitiamo in vite e disperatamente muoviamo tutti i comandi, senza renderci che in tal modo ci avvitiamo sempre di più.
Nel volo tutto è più facile perchè l'emergenza è la consuetudine, una disciplina, disciplina dell'emergenza, che è parte fondamentale del sapere del pilota. L'emergenza è una scienza del margine estremo: come rendere 'normale', operativo, ciò che è assolutamente drammatico e ultimativo...Il sapere del pilota è una scienza dei margini, una scienza del limite. Ben presto ci si accorge che laddove si penserebbe che non ci sia più nulla c'è ancora qualche cosa: un tempo brevissimo che può essere dilatato, a forza di concentrazione su ciascuno dei secondi che lo compongono, secondo per secondo, istante per istante, uno spazio ristretto che anch'esso può essere moltiplicato...
Abbiamo visto che il sapere del pilota è un sapere che percorre il diritto e il rovescio delle cose. E ne percorre anche i bordi. Tra l'essere e il non essere -essere ancora in volo, essere ancora al mondo- c'è una zona franca, questione di pochi secondi, questione di pochi metri, ed è lì, in quella zona, che lavora il sapere dei margini.
(Daniele Del Giudice, Manovre di volo, manovre nella vita, in 'In questa luce', Einaudi, 2013)
è così vero: un tempo brevissimo che può essere dilatato, a forza di concentrazione su ciascuno dei secondi che lo compongono, secondo per secondo, istante per istante, uno spazio ristretto che anch'esso può essere moltiplicato...
RispondiEliminaGrazie, Enrico, questo scritto è bellissimo.
RispondiEliminaLeggo anche gli altri, cercando di imparare.
Dietro al silenzio, in qualche modo ci sono.