mercoledì 29 aprile 2020

alla stupidità dei colti e degli intelligenti, quella di ora e di prima e di domani


La facilità con la quale crediamo a tutto è la miglior prova che non crediamo in niente!
(Orson Welles)

La thoughtlessness, l'assenza di giudizio, è l'incapacità di discernere tra bene e male. Agli occhi della Arendt l'intasamento della coscienza è la strategia della politica del terrore...Il totalitarismo produce l'oscuramento dello spazio pubblico e luminoso, del tra-noi. L'esito è l'estraneazione come espropriazione integrale dell'umano e la 'messa in riga', l'uniformazione che si compie nei tempi bui, quando la tavola dei valori si rovescia: 'L'esperienza dimostra che furono proprio i membri della società rispettabile a cedere per primi. Essi non fecero altro che cambiare un sistema di valori in un altro.'. Peggio, quando questo cedimento accade non ai malvagi, ma agli amici che non intendono perdere il treno della storia...
Ma il sofisma che confonde obbedienza e consenso non è una difesa accettabile. Il bambino obbedisce, ma se lo fa un adulto, in quanto libero, in realtà appoggia, dà il suo consenso sia all'autorità che alla legge che pretendono ubbidienza...
La responsabilità personale quindi non può mai essere elusa.

Nell'Antropologia pragmatica, Kant distingue tra deficienze e malattie della mente. La stupidità è una deficienza, non un disturbo, cioè lo stupido è 'compos sui', è responsabile: 'Si chiama testa ottusa colui che manca di spirito (Witz). Egli può, tuttavia, quando si tratta di intelletto e ragione, essere una testa molto buona. La deficienza di giudizio senza spirito dicesi stupiditas.'
Ecco, Eichmann è perfettamente in grado di pensare, di esercitare il suo intelletto analitico, è un ottimo organizzatore, ma non è in grado di distinguere il bene dal male, il giusto dall'ingiusto. Allora, intelletto e giudizio non necessariamente si trovano nello stesso uomo.
L'intelletto procede analiticamente e deduttivamente dall'universale al particolare, secondo una logica stringente, funziona per così dire 'in automatico'. Uomini che ragionano perfettamente e per lo più proprio per questo hanno grande successo -Eichmann è quasi il prototipo dello yes-man di oggi- eppure così stupidi.

Nell'oscuramento dello spazio pubblico, quanto emerge con forza è esattamente un appello alla responsabilità personale e insieme all'anticonformismo, perchè il pericolo oggi non viene tanto dal crollo dei valori condivisi, ma dal conformismo rispetto ad un tessuto di valori assunto senza riflettere. L'urgenza dunque consiste in definitiva nell'opporsi alla pressione che intende soffocare sul nascere la decisione per il sì o per il no, cioè la propria libertà.

Lo sappiamo per esperienza, la coscienza morale non dorme sonni tranquilli, la sua condizione è l'inquietudine, lo scrupolo il suo pungolo. La situazione morale è costitutivamente paradossale e un'autentica questione etica è sempre dilemmatica. Per definizione il di-lemma si configura come una premessa doppia; un'ingiunzione plurale, che si compone di almeno due leggi contraddittorie che avvertiamo come altrettanto cogenti. Non è mai semplicemente un problema, la cui risposta è valida a priori e consegue dalla considerazione adeguata di tutti gli elementi che lo compongono, dal calcolo corretto. In questo caso, la soluzione è già data ed attende di essere scoperta. In tal senso, gettato innanzi, il problema è anzi una proiezione e una protezione che non contempla né rischio né responsabilità, nessuna esposizione all'alterità. In effetti, una volta ridotto un dilemma etico a problema, quando l'altro non è nient'altro che un problema, esso è perduto; e la risposta sarà certamente sbagliata.
Quanto alla questione morale -quando ne va del bene e del male- essa invece non si presenta mai come un problema ma piuttosto come una sfida. In questo caso, nell'ora grave delle scelte e delle decisioni, quando l'etica si fa seria, una soluzione buona per tutti non esiste!
Ogni volta l'unica sfida, di fronte all'altro nell'istante della scelta morale, veniamo messi alla prova, separati da tutti. Così, senza protezione, siamo faccia a faccia, ormai esposti all'alterità nella separazione. Allora forse, forse sì, attraverso questa separazione, si produrrà lo straordinario incontro tra quegli assoluti plurali che sono gli uomini.

(da Mario Vergani, Separazione e relazione. Prospettive etiche nell'epoca dell'indifferenza, ETS, 2012, pp. 181-206)

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