La facilità con la quale crediamo a
tutto è la miglior prova che non crediamo in niente!
(Orson Welles)
La thoughtlessness, l'assenza di
giudizio, è l'incapacità di discernere tra bene e male. Agli occhi
della Arendt l'intasamento della coscienza è la strategia della
politica del terrore...Il totalitarismo produce l'oscuramento dello
spazio pubblico e luminoso, del tra-noi. L'esito è l'estraneazione
come espropriazione integrale dell'umano e la 'messa in riga',
l'uniformazione che si compie nei tempi bui, quando la tavola dei
valori si rovescia: 'L'esperienza dimostra che furono proprio i
membri della società rispettabile a cedere per primi. Essi non
fecero altro che cambiare un sistema di valori in un altro.'. Peggio,
quando questo cedimento accade non ai malvagi, ma agli amici che non
intendono perdere il treno della storia...
Ma il sofisma che confonde
obbedienza e consenso non è una difesa accettabile. Il bambino
obbedisce, ma se lo fa un adulto, in quanto libero, in realtà
appoggia, dà il suo consenso sia all'autorità che alla legge che
pretendono ubbidienza...
La responsabilità personale quindi
non può mai essere elusa.
Nell'Antropologia pragmatica, Kant
distingue tra deficienze e malattie della mente. La stupidità è una
deficienza, non un disturbo, cioè lo stupido è 'compos sui', è
responsabile: 'Si chiama testa ottusa colui che manca di spirito
(Witz). Egli può, tuttavia, quando si tratta di intelletto e
ragione, essere una testa molto buona. La deficienza di giudizio
senza spirito dicesi stupiditas.'
Ecco, Eichmann è perfettamente in
grado di pensare, di esercitare il suo intelletto analitico, è un
ottimo organizzatore, ma non è in grado di distinguere il bene dal
male, il giusto dall'ingiusto. Allora, intelletto e giudizio non
necessariamente si trovano nello stesso uomo.
L'intelletto procede analiticamente
e deduttivamente dall'universale al particolare, secondo una logica
stringente, funziona per così dire 'in automatico'. Uomini che
ragionano perfettamente e per lo più proprio per questo hanno grande
successo -Eichmann è quasi il prototipo dello yes-man di oggi-
eppure così stupidi.
Nell'oscuramento dello spazio
pubblico, quanto emerge con forza è esattamente un appello alla
responsabilità personale e insieme all'anticonformismo, perchè il
pericolo oggi non viene tanto dal crollo dei valori condivisi, ma dal
conformismo rispetto ad un tessuto di valori assunto senza
riflettere. L'urgenza dunque consiste in definitiva nell'opporsi alla
pressione che intende soffocare sul nascere la decisione per il sì o
per il no, cioè la propria libertà.
Lo sappiamo per esperienza, la
coscienza morale non dorme sonni tranquilli, la sua condizione è
l'inquietudine, lo scrupolo il suo pungolo. La situazione morale è
costitutivamente paradossale e un'autentica questione etica è sempre
dilemmatica. Per definizione il di-lemma si configura come una
premessa doppia; un'ingiunzione plurale, che si compone di almeno due
leggi contraddittorie che avvertiamo come altrettanto cogenti. Non è
mai semplicemente un problema, la cui risposta è valida a priori e
consegue dalla considerazione adeguata di tutti gli elementi che lo
compongono, dal calcolo corretto. In questo caso, la soluzione è già
data ed attende di essere scoperta. In tal senso, gettato innanzi, il
problema è anzi una proiezione e una protezione che non contempla né
rischio né responsabilità, nessuna esposizione all'alterità. In
effetti, una volta ridotto un dilemma etico a problema, quando
l'altro non è nient'altro che un problema, esso è perduto; e la
risposta sarà certamente sbagliata.
Quanto alla questione morale -quando
ne va del bene e del male- essa invece non si presenta mai come un
problema ma piuttosto come una sfida. In questo caso, nell'ora grave
delle scelte e delle decisioni, quando l'etica si fa seria, una
soluzione buona per tutti non esiste!
Ogni volta l'unica sfida, di fronte
all'altro nell'istante della scelta morale, veniamo messi alla prova,
separati da tutti. Così, senza protezione, siamo faccia a faccia,
ormai esposti all'alterità nella separazione. Allora forse, forse
sì, attraverso questa separazione, si produrrà lo straordinario
incontro tra quegli assoluti plurali che sono gli uomini.
(da Mario Vergani, Separazione e
relazione. Prospettive etiche nell'epoca dell'indifferenza, ETS,
2012, pp. 181-206)
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