mercoledì 29 aprile 2020

se potessi avere...mille corone(virus) svedesi...



L'uomo non fa quasi mai uso delle libertà che ha, come la libertà di pensiero; pretende invece, come compenso, la libertà di parola.
Soren Kierkegaard


Ad Istanbul si intima il coprifuoco e ci si muove ad accentuare la discrezionalità da sceriffi.
A Stoccolma si continua a girare senza obblighi, a sedersi nei bar, a correre nei parchi.
Noi, tra loro: magari il modello turco sarà introdotto in futuro anche qui, per altre emergenze, magari con gradualità impercettibili, per non generare troppe (peraltro, almeno al momento, improbabili) reazioni.
Ma siamo sicuramente più distanti (come tutte le sedicenti democrazie europee) da quello svedese.

La Svezia: quanto poco se ne parla qui da noi.
Ha un sesto dei nostri abitanti, una densità molto più bassa, è vero.
Ma con i suoi metodi non ha ancora raggiunto i 20.000 contagi e non ha superato i 2000 morti, di cui l'87% sopra i 70 anni. Un terzo di contagiati e morti sta poi tutto nella capitale.
Noi, invece, abbiamo praticato l'obbligo del distanziamento (che in Svezia è solo consigliato) ed abbiamo quasi raggiunto i 200.000 contagiati e i 25.000 morti. Di questi l'80% ha contratto il virus all'interno di luoghi chiusi e protetti (case di cura e di riposo, ospedali, famiglie, luoghi di lavoro) ed anche da noi ha più di 70 anni.
Bisogna constatare che, a parità di isolamento individuale praticato con diligenza e disciplina, alcune regioni continuano ad andare molto peggio di altre: non mi pare che sia risultato quindi così importante e per nulla decisivo il distanziamento sociale tra persone, quanto invece l'isolamento o meno dei territori ed altri probabili fattori di riduzione del rischio (tempestività, limitazione di errori tecnici, scarsa densità di popolazione, stato di salute pregresso, grado di inquinamento e presenza di industrie, intensità e frequenza degli scambi di traffico, differenze di età e genere...).
Il confronto tra noi e la Svezia, sinceramente, lascia perplessi: abbiamo sei volte i loro abitanti, ma abbiamo delle cifre almeno dieci volte superiori alle loro, pur avendo compiuto un sacrificio personale, sociale ed economico davvero terribile e ormai insopportabile.

Perchè allora abbiamo insistito tanto sull'obbligo di detenzione, su questo prolungato e invariato sequestro di persona sotto ricatto a cui siamo stati sottoposti ?
Perchè non ci siamo fidati del senso di responsabilità della cittadinanza, a differenza degli svedesi ?
Alcune possibili letture ci rimandano lontano: alla differenza tra luteranesimo e cattolicesimo, ad esempio. O, per stare leggermente più prossimi, alla cultura pubblica ma non statalista dei paesi scandinavi messa a confronto con la nostra, molto statal-familista e sempre poco attenta a ciò che è pubblico.
Una cultura sociale, la nostra, fondata su modelli sfiduciari e che alterna de-responsabilizzazione (premi e punizioni comminati in relazione all'ottemperanza ad obblighi di controllo eteronomo, in assenza presunta di una responsabilità sociale diffusa) e iper-responsabilizzazione (morale del sacrificio quale unica fonte di virtù personale e salvezza collettiva).
In entrambi gli estremi siamo al di fuori di una dimensione educativa ed etica: in essi non vi può essere alcuno sviluppo della responsabilità sociale, ma soltanto la riproposizione di istanze totalitarie e sempre 'calate dall'alto', per imposizione e non per consapevole adesione morale.
Lo stato, d'altronde, ha avuto tutto il suo guadagno a chiuderci in casa tutti in blocco e a non doversi impegnare in un ruolo di sottile discriminazione dei comportamenti punibili da parte di persone comunque libere di uscire (ad es. il reato di assembramento o di spostamento in gruppo immotivato).
Le persone sono state sovraccaricate di responsabilità (con effetti sanitari tutti da dimostrare) per alleggerire le istituzioni e per coprire le mancanze di quest'ultime (che si tratti di ospedali, aziende o questure).

Oltre alla mancata occasione di crescita per l'etica pubblica, quel che sta accadendo lascerà strascichi pericolosissimi che comporteranno -all'opposto, purtroppo- una sua ulteriore degradazione:
  • da un punto di vista relazionale, il dilemma tra 'proteggere gli altri' e 'proteggerci dagli altri' non potrà che risolversi in un aumento del securitarismo; i muri tra gli stati ed i popoli troveranno il loro equivalente interpersonale in muretti e fossati vari (immunizzazione della vita sociale, tra mascherine e guanti; divaricazioni ulteriori tra chi ha/è e chi non ha/non è; il lavoro socio-culturale-assistenziale, che già era alla canna del gas nella fase di ri-animazione precedente, ora si troverà a tappare ancora più falle e a fornire solo delle terapie palliative ad un corpo sociale relazionalmente moribondo e mortificato;
  • da un punto di vista socio-politico, la riduzione ulteriore della vita pubblica, della possibilità di manifestare o anche solo di incontrarsi in gruppo, oltre che il già evidente crescendo del conformismo anti-conflittuale, rappresentano la pietra tombale di qualunque democrazia sostanziale. Forse sorgerà -prima o poi- una nuova resistenza, ma credo che -come già accaduto- dovremo passare necessariamente attraverso le prove dolorose di nuove tirannie (più o meno soft);
  • la privatizzazione e mercatizzazione della dimensione pubblica verrà giustificata a partire da necessità sanitarie: le spiagge libere spariranno di fatto, non si sa per quanto; i marciapiedi e le strade saranno occupate più ampiamente ed ulteriormente gentrificate da ristoranti e spazi turistici lottizzati; lo sport e gli spettacoli saranno sempre più sotto controllo, sempre più in mano alle tv a pagamento, sempre meno godibili in presenza ed in luoghi pubblici;
  • si entrerà ancor più nella dimensione 'onlife': la vita materiale quotidiana (dalla spesa allo studio, dal lavoro allo svago) è destinata a trasferirsi in forme sempre più totalizzanti sulla rete, riducendo ancor più i pochi barlumi ancora esistenti di conversazione ed esperienza sociale diretta; significativa, a questo proposito, la recente reazione dei vescovi (finalmente!);
  • l'esperienza di limitazione creerà un ulteriore corto circuito con la nostra cultura sociale generale che prosegue ad inneggiare al godere e crescere senza limiti; il modello dell'illimite -in presenza di limiti a vivere così evidenti- provocherà ancor più depressione, rabbia, risentimento, frustrazione, senso di impotenza da un lato, e desideri di fuga, evasione, anestesia e/o di vendetta, invidia e desiderio di rivalsa dall'altro.
    Un bel mix di fattori che andrà a tutto vantaggio di una politica d'invocazione ed insediamento del Capo.

Come già scritto, ora iniziano le insubordinazioni: conflitti aperti, ognuno ad esaltare i propri interessi di parte. Altro che comunità, altro che unità, altro che condivisione.
Il tanto sbandierato senso di appartenenza si rivela per quel che era: una mera apparentenza, un'appartenenza solo apparente, gonfiata dalla paura comune e dai media.
Ora si apre la fase più critica per il governo, la luna di miele da coronavirus è finita.
E purtroppo non è il momento di rilassarsi neppure per noi, anzi si apre il momento più critico e delicato.
Dinanzi alla fanatica smania di voler riaprire tutto, non potendo confidare nella conversione degli esseri umani, possiamo solo sperare nella clemenza del virus e che solo per questo i contagi non crescano di nuovo.
E, se questo invece accadesse -come è probabile-, sperare che non si attuino più scelte totalizzanti e generalizzate, ma che ogni area possa da ora regolarsi secondo la propria situazione specifica, i propri contagi e le proprie risorse.
N.B. Nel delirio che riprende permangono come sempre totalmente nascoste (in quanto non portatrici di interessi materiali a breve termine) le due questioni di fondo della catastrofe: la cultura relazionale e sociale (in primis, scuola, università, servizi), rimandata a settembre senza dibattito e senza dubbi; e la questione climatica, che continua a star lì, in mano solo a quattro ragazzetti, gretini e -evidentemente- anche orfani.

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