Caro Vaneigem...
La stretta di mano intreccia e
scioglie la trama degli incontri. Gesto ad un tempo curioso e
triviale che si scambia: non è infatti la forma più semplice del
contratto sociale ? Ci dice che l'accordo regna, che l'intesa sociale
esiste, che la vita sociale è perfetta.
Queste compiacenze lo sguardo le
ignora. Esso misconosce lo scambio.
E la grande voga dell'abbraccio,
nell'accordo sociale energicamente reiterato, di cui l'adozione della
formula 'shake hand' dice abbastanza l'uso commerciale, non sarebbe
questa un'astuzia al livello dei sensi, un modo di ottundere la
sensibilità dello sguardo e di adattarlo al vuoto dello spettacolo
senza che esso opponga più resistenza ?
Caro Vaneigem,
pensa che ora ci stanno togliendo anche strette di mano e
abbracci...!
Perchè
'la sicurezza prima di tutto, dice il carceriere al
prigioniero'.
Erano come in una gabbia la cui
porta fosse spalancata, senza che potessero evadere. Niente aveva
importanza al di fuori di questa gabbia, perchè non esisteva più
nient'altro. Se ne restavano dunque lì dentro, estranei a tutto ciò
che non era là, senza neanche l'ombra di un desiderio di tutto ciò
che era al di là delle sbarre.
Caro, lo sai che
invece molti avrebbero invece il desiderio di tornare a lavoro, di
correre stressati di qua e di là, di uscire nell'aria inquinata, di
sbattersi per qualche soldo ?
Ma si può ancora
parlare di desiderio ? Possiamo ancora davvero desiderare qualcosa ?
E se lo
desiderassimo davvero, perchè non siamo capaci di ribellarci a tutto
questo, di farci magari arrestare per essere liberi ?
Che dire del principio monarchico
democraticamente suddiviso ? Democratizzato in funzioni pubbliche e
ruoli, il principio monarchico galleggia con la pancia in aria come
un pesce scoppiato. Il suo aspetto più ripugnante è l'unico
visibile. Non essendo più in grado di fondare la propria vita sulla
sovranità, si tenta oggi di fondare la propria sovranità sulla vita
degli altri. Costumi da schiavi.
Caro Vaneigem, lo
capiamo bene ora, avevi ragione: la democrazia non è altro che una
monarchia coperta e distribuita. Lo stato di eccezione alza il velo e
lo rivela.
Non c'è di comunitario che
l'illusione di essere insieme. Ma la vera comunità resta da creare.
La forza della menzogna cancella dalla coscienza degli uomini la dura
realtà del loro isolamento quotidiano. Esclusi dalla partecipazione
autentica, i gesti dell'uomo deviano nella fragile illusione di
essere insieme o nel suo contrario, il rifiuto brutale e assoluto del
sociale.
La fraternità disperata nella
malattia è il peggio che possa capitare a una civiltà. Forse è
proprio per evitare che un universale desiderio di perire si
impadronisca degli uomini che si organizza un vero spettacolo attorno
alle miserie e ai dolori. Una sorta di filantropia di utilità
pubblica spinge ciascuno a consolarsi delle proprie infermità allo
spettacolo di quelle degli altri.
L'altruismo non è altro che il
rovescio dell''inferno degli altri', la mistificazione che questa
volta si dà all'insegna del positivo. Ma la si faccia finita una
volta per tutte con questo spirito da vecchi combattenti !
Caro mio, chissà
cosa stai pensando ora di quel che accade, davanti alla tv come tutti
noi ?
Che avevi ragione ?
E che non serve a nulla, averla, di fronte alle 'ragioni del mondo' ?
Dal principe al manager, dal prete
allo specialista, dal direttore spirituale allo psicosociologo, è
sempre il principio della sofferenza utile e del sacrificio
consentito che costituisce la base più solida del potere
gerarchizzato.
A prima vista l'ideologia borghese
appariva risoluta a sloggiare la sofferenza...Infatuata di progresso,
di comodità, di profitto, di benessere, di ragione, essa possedeva
abbastanza armi per convincere della propria volontà di farla
scientificamente finita con il male di soffrire e con il sacrificio:
è noto che essa doveva solo inventare nuovi anestetici, nuove
superstizioni.
Mentre poneva all'ordine del giorno
la felicità e la libertà, la civiltà tecnica inventava l'ideologia
della felicità e della libertà. Si condannava dunque a non creare
che una libertà di apatia, una felicità nella passività.
Ma è il sacrificio che permane
sempre come forma arcaica dello scambio.
Solo che al sacrificio del signore
subentra oggi l'ultimo stadio del sacrificio, il sacrificio dello
specialista.
Stare uniti a
sacrificarci, mettere la nostra vita a disposizione dello stato,
rinunciare a vivere oggi per vivere meglio in un domani che arriverà
(e che deve sempre arrivare). Sperare, ma -ora et semper-
sacrificarci. Nel rito eterno delle gerarchie e del potere che ci
chiama a raccolta,ad adunata, sotto i balconi o davanti allo schermo.
E' questa la vita
che rimpiangiamo ? E che cosa vorremmo che accadesse, dopo il
sacrificio ?
Se smettessimo,
cosa accadrebbe ?
Non appena un'autorità si fissa
rigidamente, diviene irrevocabile, si fregia di un'attività magica,
il gioco cessa. Quando appare la logica del sacrificio, il gioco si
sacralizza, le sue regole diventano dei riti. Nel gioco, invece, le
regole sono date insieme al modo di cambiarle e di giocare con esse.
La passione del gioco esclude il ricorso al sacrificio. Si può
perdere, pagare, subire la legge, passare un brutto quarto d'ora, ma
è la logica del gioco, non la logica di una Causa, non la logica del
sacrificio...
Caro caro Vaneigem,
che dire ? Tu sì, che eri già un vero illudetico...!
Ma noi ?
I brani in corsivo sono tratti da
Ràoul Vaneigem, Trattato del saper vivere ad uso delle giovani
generazioni, Malatempora 1999 (ma lo scritto è del 1967).
E' un filosofo situazionista,
collaboratore dell'inarrivabile Debord, teorico della 'società dello
spettacolo', uno che aveva già visto quasi tutto (e, forse non a
caso, si è suicidato nel 1994).
Ha anche scritto, tra gli altri, un
altro testo dal titolo emblematico: Ai viventi, sulla morte che li
governa e sull'opportunità di disfarsene.
Se avete ancora tempo e ne avete voglia, un amico mi ha proposto questa bella lettura, un elogio dell'ozio che non conoscevo, dopo quello di lafargue e di russell...
http://www.stradebianchelibri.com/uploads/3/0/4/4/30440538/stevenson_robert_louis_-_elogio_dellozio.pdf
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