Trascrivo qui un intervento fatto a Napoli a dicembre scorso...
rispetto ad allora lo spazio per un'attivazione autonoma della passività appare ulteriormente ristretto, dal momento in cui il potere biopolitico ha iniziato ad impossessarsi e a gestire anche quello spazio residuale di resistenza/renitenza/riluttanza a cui la proposta di 'fare il morto' alludeva...
Nel momento in cui sono gli stessi governi tecno-sanitari ad imporci di farlo (state a casa, fate i morti per non morire e non far morire...!), qualcosa inevitabilmente cambia...in peggio!
Disobbedienza civile: i
giochi della renitenza nonviolenta
Enrico
Euli, Facoltà di Studi Umanistici, Università di Cagliari
Di solito si parla dell'Italia in quanto paese
dell'illegalità. Dove le norme vengono di continuo
trasgredite...Eppure non posso fare a meno di stupirmi di quanto
raramente, in effetti, ciò accada...Forse perchè avviene in modo
automatico e quasi inconscio, fatichiamo a renderci conto dell'enorme
numero di disposizioni che rispettiamo, non dico ogni giorno, ma ogni
ora, al limite ogni minuto della vita che scorre. Per una singola
norma che stiamo violando, ecco, abbiamo obbedito ad almeno altre
dieci, o cento, quasi senza accorgercene...Questa obbedienza
pressochè permanente è molto ma molto meno vistosa dell'episodica
infrazione: ne abbiamo introiettato l'abito al punto da scordarci
quanto essa sia straordinaria e innaturale. Il nostro default,
insomma, è piuttosto quello di rigare dritto, rispetto al quale la
trasgressione si segnala come un evento...
E.
Albinati, La scuola cattolica
A. I tre aquiloni
1. La teoria
politica della nonviolenza considera la violenza come un intreccio
indissolubile di aggressività (perlopiù agita da minoranze e con
bassa frequenza nel tempo) e passività (perlopiù agita da
amplissime maggioranze e con alta continuità temporale).
Perchè vi
sia violenza non è quindi né necessario né sufficiente
che compaia aggressione diretta ed esplicita (come credono e vogliono
farci credere invece -ingenuamente e collusivamente- il senso comune
ed il pensiero politico liberale). Laddove vi è prepotenza ed
eccesso di potere (aggressività) da una parte la nonviolenza
ipotizza sempre una cessione di potere (passività) da un'altra.
Al fine di
compensare gli squilibri che la violenza immancabilmente genera nella
struttura sociale, la politica è nata per compiere quel 'giro
da sinistra' che dalla passività giunge all'empatia,
attraversando i conflitti ed i dilemmi del potere, correndo il
rischio di apparire aggressivi nell'agire assertivamente.
Attualmente
la politica appare come arresa, impaurita dai conflitti, e si fa
volentieri surrogare da approcci pacificanti e solidaristici, da
sempre tipici del volontariato empatico, che sa compiere il passaggio
dalla passività all'empatia, ma con un 'giro da destra',
senza agire per il superamento della violenza strutturale e sulle
cause profonde dell'ingiustizia, che il 'giro da sinistra'
comporterebbe.
2. Il
secondo aquilone evidenzia un cambiamento nella auto-rappresentazione
sociale che la violenza fa e vuole dare di sé negli ultimi decenni e
soprattutto oggi: essa si muove in diagonale, tra
aggressività ed empatia, presentandosi camuffata da 'buona',
'compassionevole' ed 'umanitaria', assumendo quindi parvenze di cura
e protezione (securitarismo), attenzione ai 'bisogni e
alle domande della gente' (populismo), ma realizzando
attraverso queste forme apparenti le stesse istanze aggressive del
passato, ed anzi accentuandone la violenza, in termini strutturali e
culturali.
Nel soft
power, l'oppressione ed il dominio vengono -foucaltianamente-
determinati proprio attraverso i dispositivi della cura e della
protezione, che si pongono quali medium del controllo sociale e
gestori di quelle stesse paure innescate proprio dalle scelte di
coloro che si ergono simultaneamente – paternalisticamente e/o
maternalisticamente- a nostri protettori.
Dinanzi a
tali potentissime dinamiche di mistificazione della
violenza, la nonviolenza proporrebbe di agire sulla diagonale
opposta, aumentando le nostre capacità di essere assertivi, sia in
termini positivi (su quel che vogliamo realizzare) che negativi (su
quel che non vogliamo e a cui non possiamo e vogliamo collaborare:
resistenza passiva).
Di fatto,
però, questo tipo di prospettiva non si è fatta spazio nella
politica, soprattutto in Occidente, se non in contesti e gruppi molto
limitati e parziali, e mai coordinati tra loro all'interno di
campagne di forte impatto sociale, tali almeno da provare a resistere
a processi tanto accelerati e prepotenti.
3. Il terzo
aquilone parla di quel che sta avvenendo oggi e, purtroppo, si sta
preparando soprattutto per il prossimo domani; la violenza ha ormai
invaso quasi totalmente il campo socio-politico-culturale: la
dimensione assertiva ed empatica è stata assorbita e mercantilizzata
dai social network, che procedono inavvertitamente alla
digitalizzazione e virtualizzazione di relazioni sempre
più post-umane; il richiamo retorico all'unità e all'amor di
patria, al sovranismo quale nuovo e subdolo nome del
solito vecchio nazionalismo, unito alla militarizzazione
(statale e terroristica) dell'aggressione diretta, rivolta
anche verso movimenti nonviolenti o almeno inizialmente pacifici,
sempre inascoltati e non sostenuti quando non apertamente traditi (a
partire da quel che è accaduto a Genova nel luglio 2001, sino alle
primavere arabe, ai gilet gialli, alle proteste del latte in
Sardegna, alle lotte Tav e Tap, a quel che ancora sta accadendo in
varie parti del mondo, ad es. ad Hong Kong o in America Latina).
Quel che ne
risulta, inevitabilmente, è un'ulteriore passivizzazione delle
moltitudini ed una crescente impotenza della politica; dobbiamo
riconoscere la totale inutilità e inefficacia delle forme
tradizionali di protesta 'democratico-liberali' (petizioni,
cortei, scioperi autorizzati, manifestazioni).
Il liberismo
non se ne fa più nulla, né della democrazia né del liberalismo.
Come già accaduto agli inizi del XX secolo, anche se in forme
diverse, al momento opportuno virerà con ancor più decisione verso
soluzioni autoritarie e totalitarie (e le 'democrature'
odierne ne rappresentano già una significativa ed emblematica
espressione prodromica).
Quella che
viviamo non è una semplice crisi o un'emergenza (come, nel consueto
ritualismo negazionista proseguiamo a dichiarare, in una sorta di
mantra illusoriamente esorcistico): è una vera e propria catastrofe
sistemica.
B. Tra
obbedienza e disobbedienza
In uno
scenario siffatto, la nonviolenza cerca di salvaguardare e sviluppare
quegli anfratti di azione e resistenza che restano disponibili. Da
qui anche la mia teorizzazione più recente, espressa in 'Fare
il morto. Vecchi e nuovi giochi di renitenza', 2016.
La Non
Collaborazione Attiva (NCA) viene
lì proposta come unica possibilità non (auto)distruttiva per
tentare di stare vivo, 'facendo il morto' per
'non essere morti, non uccidere, non uccidersi e non essere uccisi'.
La NCA
potrebbe essere esercitata legalmente, o almeno in un ambito
controverso ai limiti della legalità, in una possibile funzione
costituente di nuova legalità (in questo, coerente ed affine alla
Disobbedienza Civile, che però si muove in una dimensione di
dichiarata e palese illegalità).
Molte sono
state e potrebbero essere le forme che essa potrebbe assumere:
-Boicottaggi
e forme di astensione dal lavoro o nel lavoro: nel
2008, insieme a varie migliaia di altri ricercatori ci si è opposti
alla 'riforma Gelmini', rinunciando a fare lezione per un semestre;
sono convinto che se avessimo proseguito ancora a lungo l' Università
sarebbe stata di fatto paralizzata nel suo funzionamento e la
proposta di legge sarebbe stata ritirata);
-Boicottaggi
dei modelli di crescita e consumo, agendo il nostro potere di
clienti di supermercati, banche, industrie energetiche ed
automobilistiche, a discapito del Pil (per una decrescita
consapevole, e non semplicemente subita);
-A questo si
ricollegano negli ultimi tempi Greta Thunberg ed il suo 'sciopero
scolastico per il clima' (che però vedo ora molto
depotenziato, ridotto a manifestazione di protesta tradizionale che
chiede -inutilmente- di agire in un senso ecologico ai potenti di
turno)
-Campagna
per un astensionismo pubblico: alle ultime elezioni
nazionali, insieme a qualche migliaio di persone, abbiamo promosso
una campagna che invitava ad andare alle urne e rifiutare la scheda
elettorale (per uno 'sciopero del voto' che renda politica,
collettiva e pubblica un rifiuto che non può più restare
individuale e clandestino, ma generare una lotta sociale contro una
finzione 'democratico-elettorale' quale è quella attuale)
-Campagna
per la richiesta di diventare apolidi, dei 'senza
patria' volontari, dinanzi al risorgere evidente di nuovi
patriottismi e nazionalismi, in cui non vogliamo più riconoscerci.
Già azioni
come queste, pur legali o comunque borderline, appaiono oggi
poco praticate e sinceramente improbabili.
Troppi i
ricatti personali e sociali, le paure instillate in noi e negli
altri, troppi gli interessi e le posizioni che rischiamo di perdere e
di compromettere.
Il livello
di collusione e di collaborazionismo è troppo alto, anche per noi
qui oggi.
Quindi non
vedo come si possa oltrepassare la linea della legalità ed andare
verso forme di disobbedienza civile, individuali o socialmente
organizzate.
Meglio e
relativamente più facile sarebbe esplorare le possibilità di
NCA, come quelle sopra accennate o altre che volessero
emergere da qui, da altri consessi o, forse più probabilmente, da
pratiche sociali collettivamente agite.
Il mondo e
la storia sono già, a mio parere e non solo, ben oltre l'orlo del
baratro.
Stiamo
precipitando.
Dobbiamo
trarne le conseguenze, e non proseguire a baloccarci dentro le nostre
abitudini di pensiero e di azione, ad obbedire obtorto collo a regole
ed imposizioni sempre più oppressive ed insensate, a collaborare con
ingiunzioni e prospettive sempre più violente e disumanizzanti.
La
nonviolenza ha aperto una strada nel secolo scorso, ma
non è stata ancora presa abbastanza sul serio, né è stata
sperimentata a sufficienza dentro la politica degli stessi movimenti,
né tanto meno dei partiti politici.
Il XXI
secolo si propone come il tempo in cui essa potrà manifestarsi in
tutta la sua portata; se così non fosse, l'umanità si troverà a
rivivere esperienze tragiche, compreso il rischio, nuovo ma sempre
più concreto, della sua stessa autodistruzione.
Perchè,
parafrasando Fromm, se la storia dell'uomo è sorta da un'atto di
disobbedienza, potrebbe finire miseramente per un atto di obbedienza.