venerdì 8 maggio 2020

fare il morto, fra emergenza e nonviolenza


Trascrivo qui un intervento fatto a Napoli a dicembre scorso...
rispetto ad allora lo spazio per un'attivazione autonoma della passività appare ulteriormente ristretto, dal momento in cui il potere biopolitico ha iniziato ad impossessarsi e a gestire anche quello spazio residuale di resistenza/renitenza/riluttanza a cui la proposta di 'fare il morto' alludeva...
Nel momento in cui sono gli stessi governi tecno-sanitari ad imporci di farlo (state a casa, fate i morti per non morire e non far morire...!), qualcosa inevitabilmente cambia...in peggio!



Disobbedienza civile: i giochi della renitenza nonviolenta
Enrico Euli, Facoltà di Studi Umanistici, Università di Cagliari


Di solito si parla dell'Italia in quanto paese dell'illegalità. Dove le norme vengono di continuo trasgredite...Eppure non posso fare a meno di stupirmi di quanto raramente, in effetti, ciò accada...Forse perchè avviene in modo automatico e quasi inconscio, fatichiamo a renderci conto dell'enorme numero di disposizioni che rispettiamo, non dico ogni giorno, ma ogni ora, al limite ogni minuto della vita che scorre. Per una singola norma che stiamo violando, ecco, abbiamo obbedito ad almeno altre dieci, o cento, quasi senza accorgercene...Questa obbedienza pressochè permanente è molto ma molto meno vistosa dell'episodica infrazione: ne abbiamo introiettato l'abito al punto da scordarci quanto essa sia straordinaria e innaturale. Il nostro default, insomma, è piuttosto quello di rigare dritto, rispetto al quale la trasgressione si segnala come un evento...

E. Albinati, La scuola cattolica

A. I tre aquiloni


1. La teoria politica della nonviolenza considera la violenza come un intreccio indissolubile di aggressività (perlopiù agita da minoranze e con bassa frequenza nel tempo) e passività (perlopiù agita da amplissime maggioranze e con alta continuità temporale).
Perchè vi sia violenza non è quindi né necessario né sufficiente che compaia aggressione diretta ed esplicita (come credono e vogliono farci credere invece -ingenuamente e collusivamente- il senso comune ed il pensiero politico liberale). Laddove vi è prepotenza ed eccesso di potere (aggressività) da una parte la nonviolenza ipotizza sempre una cessione di potere (passività) da un'altra.
Al fine di compensare gli squilibri che la violenza immancabilmente genera nella struttura sociale, la politica è nata per compiere quel 'giro da sinistra' che dalla passività giunge all'empatia, attraversando i conflitti ed i dilemmi del potere, correndo il rischio di apparire aggressivi nell'agire assertivamente.
Attualmente la politica appare come arresa, impaurita dai conflitti, e si fa volentieri surrogare da approcci pacificanti e solidaristici, da sempre tipici del volontariato empatico, che sa compiere il passaggio dalla passività all'empatia, ma con un 'giro da destra', senza agire per il superamento della violenza strutturale e sulle cause profonde dell'ingiustizia, che il 'giro da sinistra' comporterebbe.
2. Il secondo aquilone evidenzia un cambiamento nella auto-rappresentazione sociale che la violenza fa e vuole dare di sé negli ultimi decenni e soprattutto oggi: essa si muove in diagonale, tra aggressività ed empatia, presentandosi camuffata da 'buona', 'compassionevole' ed 'umanitaria', assumendo quindi parvenze di cura e protezione (securitarismo), attenzione ai 'bisogni e alle domande della gente' (populismo), ma realizzando attraverso queste forme apparenti le stesse istanze aggressive del passato, ed anzi accentuandone la violenza, in termini strutturali e culturali.
Nel soft power, l'oppressione ed il dominio vengono -foucaltianamente- determinati proprio attraverso i dispositivi della cura e della protezione, che si pongono quali medium del controllo sociale e gestori di quelle stesse paure innescate proprio dalle scelte di coloro che si ergono simultaneamente – paternalisticamente e/o maternalisticamente- a nostri protettori.
Dinanzi a tali potentissime dinamiche di mistificazione della violenza, la nonviolenza proporrebbe di agire sulla diagonale opposta, aumentando le nostre capacità di essere assertivi, sia in termini positivi (su quel che vogliamo realizzare) che negativi (su quel che non vogliamo e a cui non possiamo e vogliamo collaborare: resistenza passiva).
Di fatto, però, questo tipo di prospettiva non si è fatta spazio nella politica, soprattutto in Occidente, se non in contesti e gruppi molto limitati e parziali, e mai coordinati tra loro all'interno di campagne di forte impatto sociale, tali almeno da provare a resistere a processi tanto accelerati e prepotenti.

3. Il terzo aquilone parla di quel che sta avvenendo oggi e, purtroppo, si sta preparando soprattutto per il prossimo domani; la violenza ha ormai invaso quasi totalmente il campo socio-politico-culturale: la dimensione assertiva ed empatica è stata assorbita e mercantilizzata dai social network, che procedono inavvertitamente alla digitalizzazione e virtualizzazione di relazioni sempre più post-umane; il richiamo retorico all'unità e all'amor di patria, al sovranismo quale nuovo e subdolo nome del solito vecchio nazionalismo, unito alla militarizzazione (statale e terroristica) dell'aggressione diretta, rivolta anche verso movimenti nonviolenti o almeno inizialmente pacifici, sempre inascoltati e non sostenuti quando non apertamente traditi (a partire da quel che è accaduto a Genova nel luglio 2001, sino alle primavere arabe, ai gilet gialli, alle proteste del latte in Sardegna, alle lotte Tav e Tap, a quel che ancora sta accadendo in varie parti del mondo, ad es. ad Hong Kong o in America Latina).
Quel che ne risulta, inevitabilmente, è un'ulteriore passivizzazione delle moltitudini ed una crescente impotenza della politica; dobbiamo riconoscere la totale inutilità e inefficacia delle forme tradizionali di protesta 'democratico-liberali' (petizioni, cortei, scioperi autorizzati, manifestazioni).
Il liberismo non se ne fa più nulla, né della democrazia né del liberalismo. Come già accaduto agli inizi del XX secolo, anche se in forme diverse, al momento opportuno virerà con ancor più decisione verso soluzioni autoritarie e totalitarie (e le 'democrature' odierne ne rappresentano già una significativa ed emblematica espressione prodromica).
Quella che viviamo non è una semplice crisi o un'emergenza (come, nel consueto ritualismo negazionista proseguiamo a dichiarare, in una sorta di mantra illusoriamente esorcistico): è una vera e propria catastrofe sistemica.




B. Tra obbedienza e disobbedienza


In uno scenario siffatto, la nonviolenza cerca di salvaguardare e sviluppare quegli anfratti di azione e resistenza che restano disponibili. Da qui anche la mia teorizzazione più recente, espressa in 'Fare il morto. Vecchi e nuovi giochi di renitenza', 2016.
La Non Collaborazione Attiva (NCA) viene lì proposta come unica possibilità non (auto)distruttiva per tentare di stare vivo, 'facendo il morto' per 'non essere morti, non uccidere, non uccidersi e non essere uccisi'.
La NCA potrebbe essere esercitata legalmente, o almeno in un ambito controverso ai limiti della legalità, in una possibile funzione costituente di nuova legalità (in questo, coerente ed affine alla Disobbedienza Civile, che però si muove in una dimensione di dichiarata e palese illegalità).
Molte sono state e potrebbero essere le forme che essa potrebbe assumere:
-Boicottaggi e forme di astensione dal lavoro o nel lavoro: nel 2008, insieme a varie migliaia di altri ricercatori ci si è opposti alla 'riforma Gelmini', rinunciando a fare lezione per un semestre; sono convinto che se avessimo proseguito ancora a lungo l' Università sarebbe stata di fatto paralizzata nel suo funzionamento e la proposta di legge sarebbe stata ritirata);
-Boicottaggi dei modelli di crescita e consumo, agendo il nostro potere di clienti di supermercati, banche, industrie energetiche ed automobilistiche, a discapito del Pil (per una decrescita consapevole, e non semplicemente subita);
-A questo si ricollegano negli ultimi tempi Greta Thunberg ed il suo 'sciopero scolastico per il clima' (che però vedo ora molto depotenziato, ridotto a manifestazione di protesta tradizionale che chiede -inutilmente- di agire in un senso ecologico ai potenti di turno)
-Campagna per un astensionismo pubblico: alle ultime elezioni nazionali, insieme a qualche migliaio di persone, abbiamo promosso una campagna che invitava ad andare alle urne e rifiutare la scheda elettorale (per uno 'sciopero del voto' che renda politica, collettiva e pubblica un rifiuto che non può più restare individuale e clandestino, ma generare una lotta sociale contro una finzione 'democratico-elettorale' quale è quella attuale)
-Campagna per la richiesta di diventare apolidi, dei 'senza patria' volontari, dinanzi al risorgere evidente di nuovi patriottismi e nazionalismi, in cui non vogliamo più riconoscerci.
Già azioni come queste, pur legali o comunque borderline, appaiono oggi poco praticate e sinceramente improbabili.
Troppi i ricatti personali e sociali, le paure instillate in noi e negli altri, troppi gli interessi e le posizioni che rischiamo di perdere e di compromettere.
Il livello di collusione e di collaborazionismo è troppo alto, anche per noi qui oggi.
Quindi non vedo come si possa oltrepassare la linea della legalità ed andare verso forme di disobbedienza civile, individuali o socialmente organizzate.
Meglio e relativamente più facile sarebbe esplorare le possibilità di NCA, come quelle sopra accennate o altre che volessero emergere da qui, da altri consessi o, forse più probabilmente, da pratiche sociali collettivamente agite.
Il mondo e la storia sono già, a mio parere e non solo, ben oltre l'orlo del baratro.
Stiamo precipitando.
Dobbiamo trarne le conseguenze, e non proseguire a baloccarci dentro le nostre abitudini di pensiero e di azione, ad obbedire obtorto collo a regole ed imposizioni sempre più oppressive ed insensate, a collaborare con ingiunzioni e prospettive sempre più violente e disumanizzanti.
La nonviolenza ha aperto una strada nel secolo scorso, ma non è stata ancora presa abbastanza sul serio, né è stata sperimentata a sufficienza dentro la politica degli stessi movimenti, né tanto meno dei partiti politici.
Il XXI secolo si propone come il tempo in cui essa potrà manifestarsi in tutta la sua portata; se così non fosse, l'umanità si troverà a rivivere esperienze tragiche, compreso il rischio, nuovo ma sempre più concreto, della sua stessa autodistruzione.
Perchè, parafrasando Fromm, se la storia dell'uomo è sorta da un'atto di disobbedienza, potrebbe finire miseramente per un atto di obbedienza.





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