domenica 20 gennaio 2013

iucunditates

Sprofonda, o mondo, tra le braccia di Cristo, perisci giocondo
(Salmo, citato da F. Durrenmatt in 'Giustizia' , 1985)

L'altra sera, a Roma, ho presentato il nuovo libro.
Un pubblico di amici, poche persone sconosciute, quasi tutte già sensibilizzate e coinvolte su temi ecologici e pacifisti. Eppure...
Eppure, è stato come se avessero difficoltà a seguirmi e ad interloquire sulla catastrofe.
Spesso, ormai, mi sento un marziano e questa sensazione diviene crescente quando lo sento anche con persone affini e vicine, almeno sino a qualche tempo fa.
Quando sparo le mie filippiche contro il lavoro come valore, oppure quando insisto sulla necessità di 'agire la catastrofe per non (solo) subirla' o di 'impedire la speranza', o quando ironizzo sulla nostra 'fine di civiltà' o sulla lotta mortale tra le banche e il vivente, vedo che le persone ascoltano con attenzione, restano colpite, ammutoliscono.
Che cosa accade in loro ? Accade qualcosa ? E qualcosa che riguardi anche me ?
Difficile dirlo.

Ma come vive il suo tempo questa pace, qualora abbia tempo di definirsi tale ? Il tempo resta con lei, e in tal caso, che cosa sa farne ? Oppure se ne allontana ? Imperversa sulla pace come una bufera, come un tornado, scaraventando macchine una contro l'altra, spazzando via i treni dalle rotaie, sbattendo jumbo jet contro le montagne, riducendo la terra in cenere ? Come si svolge obiettivamente il tempo della nostra pace che dura da quarant'anni, quel tempo in cui una guerra reale, per la quale ci si arma, sembra impensabile eppure viene pensata ? La nostra epoca di pace, per mantenere la quale milioni di persone scendono in piazza, portano in giro striscioni, cantano canzoni pop e pregano, non ha assunto già da un pezzo la forma di ciò che un tempo chiamavamo guerra, mentre noi per tranquillizzarci includiamo le catastrofi nella nostra pace ?...Così, mentre minacciamo con bombe atomiche, bombe all'idrogeno e bombe al neutrone, ci teniamo alla larga dal peggio, battendoci pugni sul petto come gorilla per spaventare le altre orde di gorilla, e corriamo il rischio di crepare di quella pace che vogliamo tutelare, e di crepare sotto il peso dei rami delle foreste morte...Chi è colpevole ? Chi dà l'incarico e chi lo accetta ? Chi vieta e chi non osserva il divieto ? Chi emana le leggi e chi le infrange ? Chi concede la libertà o chi se la prende ? Stiamo morendo di quella libertà che concediamo e che ci concediamo. Lascio il mio studio, che ora è vuoto, libero dalle mie creature. Le quattro e mezzo. In cielo vedo per la prima volta Orione, il cacciatore. Chi sta inseguendo ?
(idem, pp. 205-7).

Quel che sta accadendo in Mali ed in Algeria in questi giorni è un nuovo precedente, che fa ancora un passo verso la logica della guerra infinita, inguardabile, rimossa, invisibile per noi.
Quella guerra continua, che insistiamo a chiamare pace, per salvarci la vita e la psiche.
Per proteggere la nostra ingiustizia che chiamiamo giustizia e per la quale continuiamo a giustiziarci gli un gli altri.
Ma tutto questo dolore senza voce penetra nelle nostre corde vocali, ci toglie la voce e il fiato.
Anche se fingiamo di continuare ad essere vivi.

1 commento:

  1. Sono tra quelli che hanno assistito alla presentazione e voglio provare a rispondere alle domande che poni su cosa succede nelle persone (in me almeno) di fronte alle tue argomentazioni.
    Ne riconosco la solidità, la verità, ma è una verità difficile da “maneggiare” perché ha una portata molto generale. È come se si insinuasse la consapevolezza che mi sto affannando su un livello che non è quello corretto, un livello all’interno del quale non è possibile incidere veramente sulle cose o trovare una soluzione (una salvezza?) . È proprio il terreno di gioco ad essere sbagliato, la partita vera si sta svolgendo da un’altra parte. Probabilmente quello stesso affannarsi e cerare è ciò che impedisce di rendersi conto di come stanno le cose.
    Queste considerazioni tolgono slancio e mi portano verso un rallentamento e verso un desiderio di fermarmi, di smettere di collaborare quantomeno (Oblomov?). Da qui forse quella reazione un po’ perplessa e attonita che anche tu hai notato. Non è uno stato in cui si può rimanere a lungo e la mattina dopo bisogna comunque alzarsi e andare a lavorare sentendosi solo un po’ più sbagliati (anche se una consapevolezza diversa c’è).
    Il passo propositivo (agire la catastrofe ecc…) lo vivo al momento come fuori dalla mia portata, c’è il timore che possano essere passi fatti sempre su quel terreno di gioco che poi alla fine si scopre non essere quello giusto.
    Ecco. Queste sono le mie riflessioni a freddo. Spero possano esser utili.
    Ciao
    Max

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