Sia il metodo genealogico di Darwin sia il metodo decostruttivo di Derrida possono configurarsi come tecniche di investigazione su forme eccedenti l'ordine delle cose, su presenze invisibili alle strutture epistemiche ordinarie, su forme e presenze che per la loro imprendibile straordinarietà risultano irrimediabilmente mostruose.
L'evento, esattamente come il mostruoso, è l'impossibile, o meglio è condizione affinchè l'impossibile accada.
'Se un evento è possibile, se si inscrive in condizioni di possibilità, se non fa che esplicitare, svelare, rivelare, compiere ciò che era già possibile, allora non è più un evento'.
Un evento, per essere tale, non può essere già iscritto nell'ordine del discorso, ma deve andare al di là del suo regime di inveramento.
L'evento, esattamente come il mostruoso, è allora l'incarnazione di un'aporia, è un 'possibile-impossibile' o, per riprendere un esempio dello stesso Derrida, è 'una quercia senza ghianda'.
L'evento derridiano agisce infatti come un atto di speciazione, atto, secondo Darwin, strettamente connesso proprio alla semantica del mostruoso. Nella speciazione, così come nell'evento, si tratta del venire alla luce di una novità nient'affatto iscritta nell'ordine naturale delle cose, una novità mostruosa...
La nuova episteme post-strutturalista dovrà avere delle sembianze mostruose: 'Si annuncia qui un nuovo tipo di problema...di cui oggi possiamo a stento intravvedere la concezione, la formazione, la gestazione, il travaglio. E dico queste parole, certo, con lo sguardo rivolto verso le operazioni del parto; ma anche verso coloro che, in una società da cui non mi escludo, distolgono lo sguardo da ciò che è ancora innominabile, si preannuncia e non può che preannunciarsi come necessariamente accade quando una nascita è in opera, se non sotto la specie della non-specie, sotto la forma informe, muta, infante e terrificante della mostruosità...'.
(da C.Fuschetto, Darwin teorico del postumano, Mimesis, 2010, pp.105-9)
Ho ricevuto alcune risposte dai cari amici di Roma, in relazione alle mie domande inquiete e marziane di qualche post fa...
Quel che dico e propongo appare invivibile, poco attraente, non invitante, mostruoso, anche per me.
E sempre più spesso, anche per questo mi sento io stesso un mostro, un alieno tra gli uomini.
Perchè provo a non distogliere lo sguardo davanti al mostro che avanza, e di cui io stesso sono parte.
E perchè provo a dirlo (ma, nel dirlo, io stesso divento ancor più 'mostruoso' per gli altri, quelli che hanno figli e famiglia, che devono lavorare ogni mattina, che non possono pensare troppo a certe cose, quelli che non hanno tempo per, quelli che proseguono a fare bene il loro lavoro, quelli che...)...
Un gruppo di babbuini si era avvicinato ad uno stagno, senza notare i leoni che sonnecchiavano nei pressi.
I leoni si svegliarono e due leonesse, dopo essersi alzate, andarono a nascondersi a lato della pista. Quando balzarono allo scoperto, i babbuini, colti dal panico, si diedero alla fuga, dirigendosi però esattamente in mezzo agli altri leoni. I babbuini erano così terrorizzati che neppure tentarono di arrampicarsi sugli alberi intorno, e si nascondevano il muso tra le mani mentre i leoni si limitavano ad abbatterli menando zampate a destra e a manca...I babbuini sembrano soccombere come contadini davanti a un assalto di guerrieri invasati. Il dettaglio più straziante è la loro rassegnazione: senza speranza di fuga, i babbuini cercano un rifugio nel buio delle loro mani. Se l'immagine è così toccante, è anche perchè quelle mani potrebbero tranquillamente essere le nostre...
(da J. Vaillant, La tigre, Einaudi, 2012, p, 220).
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