lunedì 15 gennaio 2018

ultimi fichi d'india

Dopo 36 ore di sonno e veglie fatte solo di vaghezza, cibo e acqua, senza parole e senza suoni, quasi senza luce, pian piano ritorno alla realtà quotidiana di lavatrici, panni stesi, nonna isa e vicinato.
Già durante il viaggio è stato chiaro: l'India non è soltanto un viaggio.
E' un rito di iniziazione ad una vita che altrove è scomparsa e che lì resiste.
E' un percorso che si apre dentro noi stessi, che ci fa chiedere come viviamo e se questa che viviamo è ancora la vita.
E' un contatto estremo e continuo, senza tregua, con la profondità del senso più inconscio, e della più alta consapevolezza.
E' la pressante presenza degli esseri viventi, in tutte le sue specie ed oltre le stesse specie, al di là delle categorizzazioni e di ogni analisi.
E' un'esperienza del vivere e del consumarsi, del sentirsi pieni e dell'annullarsi.
E' sensualità e ascetismo, carnalità e ascesi.
E' totale parzialità e allo stesso tempo un rapportarsi con le parti di una totalità che non può mai manifestarsi, se non nel suo apparente opporsi a se stessa.
E' modernità senza modernizzazione, è persistenza di religiosità vissuta e mito familiare all'interno di società tradizionali in piena globalizzazione.

Viviana ha scoperto che io -in fondo- sono un indiano.
Certe caratteristiche del loro vivere sono anche le mie, è vero.
Questo misto di ordine e caos, di stabilità ed oscillazione, di cose appese e mal messe, ma funzionali e alla fine efficienti. Un'anarchia ben organizzata, insomma.
Un senso del tempo, tranquillo ma intenso, vorace e lento.
Un lavorìo continuo della visione e dello sguardo, e questo incessante riflettere e riflettersi del tutto in te.
Un'attenzione ai toni, a segnali non verbali, agli indumenti e ai colori, alle sfumature.
Un vivere selvatico, a piedi nudi, da bestioline tra bestie e alberi e fiori.

Io ho scoperto che lei -in fondo- è un'indiana.
Gli indiani – e soprattutto le indiane- la riconoscevano continuamente come una di loro.
Era incredibile vedere come in ogni situazione le sorridessero, le accarezzassero i capelli, le baciassero le gance per poi baciarsi la mano e portarla al cuore.
Vivi all'inizio era imbarazzata, cercava di evitare tutti questi corteggiamenti, era riottosa a rispondere a tanto interesse.
Man mano è entrata nel gioco e ha vissuto il tutto come una cura, una terapia d'amore, un ritrovarsi tra sorelle, madri, nonne, bambine.
Il suo cuore cirillo è indiano, molto più che occidentale o romano.
Vive di fiori, odori e sapori, sguardi e contatti di corpi, esperienze dirette dei sensi e del senso.
Questo le è stato chiaro, e -dopo tutte queste carezze, per una volta non solo mie- non sarà facile per lei tornare ad accettare la tiepida convivenza di qui.

Da indianini, siamo entrati gradualmente nel loro modo di mangiare: cibi sempre freschi e cucinati da poco, senza congelamento o confenzionamento industriale, senza zuccheri aggiunti, con poco grano e nessun lievito, presenza assidua (e disinfettante) di zenzero, curcuma e cardamomo, acqua pubblica e potabile gratuita e per tutti.
Non abbiamo mai avuto crisi gastriche o dissenterie, e- per quanto ci mancassero i nostri sapori- alla fine ci sentivamo meglio.
Qualche pizza e qualche hamburger (entrambi molto cari per i loro standard) ce li siamo concessi, ma devo dire che ce la siamo cavata bene, anche se la lotta per non avere cibi troppo speziati è stata dura e diuturna, non sempre riuscita.

Molto gravi i problemi ambientali e sociali: nonostante la pressione ecologista dei governi (che ci è parsa più d'immagine che altro), fogne a cielo aperto, aria molto molto inquinata, discariche incontrollate, molta plastica abbandonata e bruciata, cacche di mucca ovunque, agricoltura industriale, centrali nucleari.
Persistenza di conflitti irrisolti col Pakistan, in Kashmir, con i sikh, tra integralisti indu e islamici.
Esaltazione della potenza militare e dell'esercito, nella patria che fu (è proprio il caso di usare il passato remoto) di Gandhi.
Una forte persistenza del sistema castale, ulteriormente polarizzata dalle differenze economiche e di classe, molto evidenti ed estreme.
Continuano ad esistere i pària, e un numero sterminato di poveri (soprattutto in Tamil Nadu, mentre in Kerala i comunisti sono riusciti a far qualcosa di più).

Nonostante tutto questo, una grande capacità di convivere e di stare insieme nella più totale differenza e senza indifferenza.
Gli indiani vivono tra loro, come le auto, le moto, i carri, le bici, i tuk tuk, gli animali si muovono per le strade, nel traffico.
Continuamente strisciandosi, minacciandosi, suonandosi, aggirandosi sinuosamente, avvisando della presenza, occupando i vuoti, accelerando e rallentando, guardandosi.
Con molta assertività e molta empatia insieme, con una forte mitezza e dolcezza dei modi, una mai evidente aggressività (almeno agli occhi di noi stranieri).
Senza fermarsi mai, e come se si potesse stare sempre fermi.
Lavorando sempre, ma come se non si stesse lavorando mai.
Muovendosi sempre a più livelli di vita, e come se la vita fosse proprio lì, in quel momento presente, in una dimensione sola.
Una filosofia del vivere quotidiana, più che un semplice vivere.

Per chi ci ha seguito in questo lungo, intenso mese, sul blog, molte di queste cose saranno già emerse, soprattutto dalle immagini che abbiamo scelto.
Molte altre cose resterebbero da raccontare e da dire.
Resta la voglia di ripartire e di tornarci, magari a nord questa volta, magari con un po' più di tempo, magari unendo anche una sbirciata al Nepal e al Bhutan, tra un po'...
Il mal d'India esiste, e si sente, più che in altre circostanze, ora, in noi.














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