Dopo 36 ore di
sonno e veglie fatte solo di vaghezza, cibo e acqua, senza parole e
senza suoni, quasi senza luce, pian piano ritorno alla realtà
quotidiana di lavatrici, panni stesi, nonna isa e vicinato.
Già durante il
viaggio è stato chiaro: l'India non è soltanto un viaggio.
E' un rito di
iniziazione ad una vita che altrove è scomparsa e che lì resiste.
E' un percorso che
si apre dentro noi stessi, che ci fa chiedere come viviamo e se
questa che viviamo è ancora la vita.
E' un contatto
estremo e continuo, senza tregua, con la profondità del senso più
inconscio, e della più alta consapevolezza.
E' la pressante
presenza degli esseri viventi, in tutte le sue specie ed oltre le
stesse specie, al di là delle categorizzazioni e di ogni analisi.
E' un'esperienza
del vivere e del consumarsi, del sentirsi pieni e dell'annullarsi.
E' sensualità e
ascetismo, carnalità e ascesi.
E' totale
parzialità e allo stesso tempo un rapportarsi con le parti di una
totalità che non può mai manifestarsi, se non nel suo apparente
opporsi a se stessa.
E' modernità senza
modernizzazione, è persistenza di religiosità vissuta e mito
familiare all'interno di società tradizionali in piena
globalizzazione.
Viviana ha scoperto
che io -in fondo- sono un indiano.
Certe
caratteristiche del loro vivere sono anche le mie, è vero.
Questo misto di
ordine e caos, di stabilità ed oscillazione, di cose appese e mal
messe, ma funzionali e alla fine efficienti. Un'anarchia ben
organizzata, insomma.
Un senso del tempo,
tranquillo ma intenso, vorace e lento.
Un lavorìo
continuo della visione e dello sguardo, e questo incessante
riflettere e riflettersi del tutto in te.
Un'attenzione ai
toni, a segnali non verbali, agli indumenti e ai colori, alle
sfumature.
Un vivere
selvatico, a piedi nudi, da bestioline tra bestie e alberi e fiori.
Io ho scoperto che
lei -in fondo- è un'indiana.
Gli indiani – e
soprattutto le indiane- la riconoscevano continuamente come una di
loro.
Era incredibile
vedere come in ogni situazione le sorridessero, le accarezzassero i
capelli, le baciassero le gance per poi baciarsi la mano e portarla
al cuore.
Vivi all'inizio era
imbarazzata, cercava di evitare tutti questi corteggiamenti, era
riottosa a rispondere a tanto interesse.
Man mano è entrata
nel gioco e ha vissuto il tutto come una cura, una terapia d'amore,
un ritrovarsi tra sorelle, madri, nonne, bambine.
Il suo cuore
cirillo è indiano, molto più che occidentale o romano.
Vive di fiori,
odori e sapori, sguardi e contatti di corpi, esperienze dirette dei
sensi e del senso.
Questo le è stato
chiaro, e -dopo tutte queste carezze, per una volta non solo mie- non
sarà facile per lei tornare ad accettare la tiepida convivenza di
qui.
Da indianini, siamo
entrati gradualmente nel loro modo di mangiare: cibi sempre freschi e
cucinati da poco, senza congelamento o confenzionamento industriale,
senza zuccheri aggiunti, con poco grano e nessun lievito, presenza
assidua (e disinfettante) di zenzero, curcuma e cardamomo, acqua
pubblica e potabile gratuita e per tutti.
Non abbiamo mai
avuto crisi gastriche o dissenterie, e- per quanto ci mancassero i
nostri sapori- alla fine ci sentivamo meglio.
Qualche pizza e
qualche hamburger (entrambi molto cari per i loro standard) ce li
siamo concessi, ma devo dire che ce la siamo cavata bene, anche se la
lotta per non avere cibi troppo speziati è stata dura e diuturna,
non sempre riuscita.
Molto gravi i
problemi ambientali e sociali: nonostante la pressione ecologista dei
governi (che ci è parsa più d'immagine che altro), fogne a cielo
aperto, aria molto molto inquinata, discariche incontrollate, molta
plastica abbandonata e bruciata, cacche di mucca ovunque, agricoltura
industriale, centrali nucleari.
Persistenza di
conflitti irrisolti col Pakistan, in Kashmir, con i sikh, tra
integralisti indu e islamici.
Esaltazione della
potenza militare e dell'esercito, nella patria che fu (è proprio il
caso di usare il passato remoto) di Gandhi.
Una forte
persistenza del sistema castale, ulteriormente polarizzata dalle
differenze economiche e di classe, molto evidenti ed estreme.
Continuano ad
esistere i pària, e un numero sterminato di poveri (soprattutto in
Tamil Nadu, mentre in Kerala i comunisti sono riusciti a far qualcosa
di più).
Nonostante tutto
questo, una grande capacità di convivere e di stare insieme nella
più totale differenza e senza indifferenza.
Gli indiani vivono
tra loro, come le auto, le moto, i carri, le bici, i tuk tuk, gli
animali si muovono per le strade, nel traffico.
Continuamente
strisciandosi, minacciandosi, suonandosi, aggirandosi sinuosamente,
avvisando della presenza, occupando i vuoti, accelerando e
rallentando, guardandosi.
Con molta
assertività e molta empatia insieme, con una forte mitezza e
dolcezza dei modi, una mai evidente aggressività (almeno agli occhi
di noi stranieri).
Senza fermarsi mai,
e come se si potesse stare sempre fermi.
Lavorando sempre,
ma come se non si stesse lavorando mai.
Muovendosi sempre a
più livelli di vita, e come se la vita fosse proprio lì, in quel
momento presente, in una dimensione sola.
Una filosofia del
vivere quotidiana, più che un semplice vivere.
Per chi ci ha
seguito in questo lungo, intenso mese, sul blog, molte di queste cose
saranno già emerse, soprattutto dalle immagini che abbiamo scelto.
Molte altre cose
resterebbero da raccontare e da dire.
Resta la voglia di
ripartire e di tornarci, magari a nord questa volta, magari con un
po' più di tempo, magari unendo anche una sbirciata al Nepal e al
Bhutan, tra un po'...
Il mal d'India
esiste, e si sente, più che in altre circostanze, ora, in noi.
Bellissimo articolo :)
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