Non lasciano entrare i moribondi. Moribondi ?...Allora lo sentii, sebbene non si muovesse. Sentii proprio la sua immobilità e la compresi di colpo...e io seppi che egli era irrigidito dall'orrore. Seppi che l'orrore l'aveva paralizzato, l'orrore di qualcosa che accadeva in lui...Sì, sapeva che ora si allontanava da tutto, non solo dagli uomini. Un istante ancora, e tutto avrà perduto il suo senso, e quel tavolino e la tazza e la sedia cui si aggrappava, tutte le cose quotidiane e più vicine, saranno divenute incomprensibili, estranee ed ardue. Così, sedeva e aspettava che fosse accaduto. E non si difendeva più.
Alcune lunghe abitudini si rivelavano invecchiate, ma era come se in cambio di quelle non se ne formasse più alcuna. Se si facevano dei piani, si prospettavano in grande, senza realmente credervi; e invece certi ricordi divenivano inaspettatamente definitivi. La sera, accanto al fuoco, si credeva di abbandonarsi a loro...
Tutti tentavano la parte e la controparte. Tutti si pareggiavano, non c'era alcuna azione...
Guardandoli, poteva credere che avrebbe imparato ad andare e venire, ad asserire e a declinarsi...
Non siamo noi senza azione ?...Una traccia di esagerazione rimane nelle nostre sopracciglia, non notiamo che gli angoli della nostra bocca sono piegati. E andiamo in giro così, zimbelli e creature dimezzate: né uomini veri né attori...
Fa bene dire forte: 'Non è successo nulla'. E di nuovo: 'Non è successo nulla'. Ma aiuta ?
Ma già scoppiavano in applausi nella loro paura dell'estremo: come per allontanare da sé all'ultimo momento qualcosa che li avrebbe costretti a mutare la loro vita.
Il pericolo è diventato più sicuro della sicurezza.
Ma se tutto ciò è possibile, se anche ha solo un'ombra di possibilità, allora bisogna pure che qualcosa si faccia nel mondo. Il primo che capita, chiunque abbia avuto questi pensieri inquietanti, deve cominciare a far qualcosa di ciò che fu tralasciato; anche se è uno qualsiasi, se non è per nulla il più adatto: altri non ce ne sono. Brigge, dovrà mettersi a sedere, cinque piani in alto, ed a scrivere, giorno e notte, sì, dovrà scrivere, questa sarà la fine.
E si giungeva in luoghi ove ancora nessuno era stato; i rami si piegavano all'ingiù in modo così strano, sotto ci poteva ben essere una tomba, ma noi ce lo nascondevamo a vicenda.
So che mi immaginai di non poter ripartire subito. Prima dev'essere tutto in ordine, mi ripetevo. Che cosa dovesse essere in ordine non mi era chiaro. Non c'era proprio nulla da fare...
Sorgeva in me il sospetto che non mi fossi ancora realmente liberato da quelle influenze e connessioni. Le si aveva abbandonate un giorno di nascosto, incompiute com'erano. Anche l'infanzia sarebbe stata, per così dire, ancora da fare se non la si voleva considerare per sempre perduta. E mentre capivo che la perdevo, sentii al tempo stesso che non avrei mai avuto altro cui ritornare.
Poi, d'improvviso, sedette sulla sponda del letto, all'estremità, e disse qualcosa. Non fu comprensibile...Così sedevano, e il re diceva di tanto in tanto, a fatica e confusamente, l'incomprensibile...Ma appena udì che capivano le sue parole, spalancò l'occhio destro, il solo che gli era rimasto, e disse con tutto il viso quell'unica parola che la sua lingua formava da ore, l'unica che ancora ci fosse: 'Morte', disse, 'Morte'.
Qualcuno forse aveva smesso di leggere in quel punto e non aveva mai ricominciato; forse in quel momento il destino battè alla sua porta per dargli lavoro e portarlo via da tutti i libri, che in fin dei conti non sono la vita...
Egli capiva che la vera consolazione cominciava soltanto quando la felicità era sufficientemente trascorsa e finita per sempre.
Il palco cavo, sotto il quale c'era l'inferno e sopra il quale, fissata a un pilastro, l'armatura senza parapetto di un terrazzino rappresentava il livello del paradiso, contribuiva soltanto a diminuire l'inganno. Poiché quel secolo aveva realmente fatto terrestri cielo e inferno: viveva delle forze di entrambi per riuscire a reggersi.
Alla sua propria vita non giunse mai; fino alla fine sentì l'invidia e la collera di suo fratello in stravolta costellazione sopra il suo cuore.
(R.M.Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge, 1910)
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