venerdì 26 aprile 2013

liberarsi della libertà

Da qualche anno sento con forza il bisogno di liberarmi della libertà.
E mai come in questi giorni, in cui si festeggia, anzi si fa la festa alla Liberazione, la questione si riaffaccia in me. Ho notato che non sono il solo.
Ho trovato, ad esempio, molto vero e calzante il post di Grillo in occasione del 25 aprile.
Ed ho trovato sempre più lontane ed ipocrite le retoriche resistenzialiste, unitarie, sinistre e destre, intorno ad esso e contro la visione che Grillo propugnava.
'Becchino planetario', è arrivato a definirlo Vendola, il lungimirante.
Ma basterebbe guardare vicino per vedere quel che accade oggi alla libertà.
Basta guardare le facce dei potenziali ministri, i loro nomi e cognomi, l'inespessività triste del mio omonimo Letta, la terribile condanna a vita che -a loro dire e fare- ci attende.
Ma la retorica ha sempre la meglio, e c'è chi -in giornate come queste- riesce ad applaudire Napo, a perdonare Bersa, ad adorare Berlu.
Tutto questo mi fa orrore e mi fa venir voglia di restare qui, a Cracovia, a godermi salsicce e crauti.
E a non sapere più nulla.
A rimuovere tutto, per sopravvivere.

Ugo Bardi ha scritto un bel post sul Fatto, che lo assolda di fatto alle truppe catastrofiste:

Crisi e politica: stiamo negando la realtà?

Non so se gli ultimi eventi della politica italiana hanno fatto venire in mente anche a voi un’epoca altrettanto convulsa e incerta dell’attuale: il tempo dell’ultima guerra. Cosa potevano avere in mente gli italiani quando si sono accorti che la sconfitta era inevitabile? Non sembra strano anche a voi che chi aveva un certo potere decisionale non abbia agito in conseguenza? Se la guerra era ormai perduta, perché non prenderne atto e evitare la distruzione perlomeno di quello che rimaneva? Ma, dal Duce in persona ai vari gerarchi e generali, la grande maggioranza dei leader ha continuato a parlare solo di vittoria fino all’ultimo momento. Lo stesso è successo in Germania. Come è stato possibile?
La risposta l’ho trovata recentemente in un testo di Peter Sandman, specialista di “gestione dei rischi.” A proposito della mancanza di reazione di fronte a un rischio molto grave, cita l’esempio delle donne che non fanno controlli per il tumore al seno. Non è perché non siano preoccupate: al contrario, sono terrorizzate. Ma è proprio il terrore il loro problema. Dice Sandman (traduzione mia): “per evitare un terrore intollerabile, devono evitare di pensare al cancro del seno; per evitare di pensare al cancro del seno, devono evitare di controllare se hanno dei noduli nel seno.” La stesso problema c’è anche con il cambiamento climatico: è una cosa talmente terribile che molti reagiscono evitando accuratamente di pensarci.
Dice ancora Sandman: “Molti immaginano che il grosso problema psicologico in una situazione di emergenza sia il panico. Ma i professionisti nella comunicazione delle crisi sanno che il panico è in effetti molto raro nelle emergenze. La negazione è una delle ragioni per le quali il panico è raro … Quelli che si trovano sul punto di cedere al panico azioneranno in generale un interruttore emozionale e si porteranno in uno stato di negazione. Questo non è certamente ottimale: quelli che negano l’esistenza del rischio non agiscono in modo appropriato.
Se trasferiamo queste considerazioni ai gerarchi del tempo della guerra, ne possiamo concludere che capivano benissimo la situazione e ne erano terrorizzati. Ma, per evitare un terrore intollerabile dovevano evitare di pensarci e per evitare di pensarci dovevano continuare a parlare soltanto di vittoria. Premevano il loro “interruttore emozionale” portandosi in una condizione di negazione. Così facendo, riuscivano a sconfiggere la realtà – ma solo per un certo tempo e il risultato finale non poteva essere che disastroso.
Ora, portiamoci ai nostri tempi. Proviamo a sostituire il concetto di “guerra” con quello di “finanza”. Non vedete anche voi le somiglianze? Non stiamo venendo invasi da un nemico esterno, ma siamo di fronte a un problema altrettanto grave: il nostro sistema finanziario funziona soltanto se può crescere; altrimenti collassa. Ed è proprio quello che sta succedendo in Italia oggi. Non riusciamo più a crescere e il sistema finanziario sta collassando.
Prendere atto della realtà delle cose vorrebbe dire cercare di salvare il salvabile: fermare le grandi opere giustificate con la necessità di “far ripartire la crescita,” e concentrare le risorse che restano nelle infrastrutture essenziali: dall’istruzione all’energia. Ma la realtà sembra per ora la sola vittima degli eventi: parlare di un default del paese, è cosa da “catastrofisti”, proprio come in tempo di guerra parlare di sconfitta era cosa da “disfattisti”. Si può solo parlare di “crescita”, proprio come all’epoca si poteva parlare soltanto di “vittoria”.
C’è solo un piccolo problema: oggi, riuscire a far “ripartire la crescita” sembra proprio altrettanto improbabile per noi di quanto, al tempo della seconda guerra mondiale, lo era riuscire a sconfiggere gli Stati Uniti. 



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