UTOPIA/DISTOPIA, Teatrinversus,Villasor, 4.12.11
- UTOPIA / DISTOPIA come dimensioni totalmente separate ed antagoniste, non collegate se non per contrasto.
Modello: l'isola Utopia di Th. More, un luogo in cui non vigono le violenze e le ingiustizie della Realtà, intesa come distopia.
Possiamo dire che tutte le Utopie si sono sempre presentate in questi termini, come Bene
promesso e da conquistare contrapposto al Male, quotidianamente vissuto e, insieme, invivibile.
- UTOPIA IN-VERSUS DISTOPIA: coerentemente al modello 1, ogniqualvolta l'Utopia si trasforma in Realtà, cioè si realizza, subisce una metamorfosi e inverte di segno, manifestandosi come Distopia.
Innumerevoli esempi storici: il Cristianesimo che si fa Chiesa Cattolica Romana (religione di Stato, Vaticano, Crociate, Inquisizioni...), l'Illuminismo e la Rivoluzione Francese che si fanno Terrore, il Pionierismo puritano che si fa colonialismo e imperialismo che non riconosce limiti e frontiere, il Comunismo che si fa Stalinismo e gulag.
Emerge qui, ma in forma rovesciata e mostruosa, la stessa dimensione totalitaria-totalizzante presente nell'Utopia originaria: il sogno si è trasformato però in incubo.
Modello: 'Il mondo nuovo' di A.Huxley, luogo in cui la rivoluzione sessuale ha prodotto una società che obbliga alle relazioni sessuali coatte e secondo regole e ordini di accoppiamento rigidamente stabiliti.
Una storia paradossale è anche 'Le intermittenze della morte' di Saramago, in cui la morte scompare e non si muore più, con tutte le sue conseguenze.
- UTOPIA IN-VERSUS DISTOPIA / DISTOPIA IN-VERSUS UTOPIA ?
Nel nostro secolo XX la situazione si complica alquanto, si fa ambigua e ambivalente: la metamorfosi si fa doppia e a doppio senso, complessa e da interpretare non linearmente.
Modello: 'Alice nel paese delle meraviglie' e 'Attraverso lo specchio' di Carroll, i 'Viaggi di Gulliver' di Swift. Ma anche 'Il signore degli anelli' ed 'Harry Potter'.
Nella Modernità il Bene ed il Male appaiono mescolati e non facilmente discernibili, se non a posteriori.
a) il nazifascismo.
Horkheimer e Adorno in 'Dialettica dell'Illuminismo', Bauman in 'Modernità e olocausto',
la Arendt in 'Le origini del totalitarismo' hanno già ampiamente descritto le connessioni tra 'sviluppo della razionalità occidentale', 'funzionalismo senz'anima' dei regimi politici e degli Stati e 'sterminio organizzato in forma scientifica'.
Al di là del giudizio storico ed etico che ha caratterizzato il secondo dopoguerra e le nostre Costituzioni democratiche, il nazifascismo si è configurato evidentemente anche come la realizzazione distopica (ma non 'irrazionale') dell'estrema utopia razionalistica (ordine, purificazione, omologazione identitaria, rifiuto e abolizione della differenza...).
Permangono oggi nelle sedicenti 'democrazie reali' evidenti e crescenti risonanze dell'attraente utopia nazifascista: il mito della securitas e dell'immunizzazione (intesa come strategia di protezione della vita dalla vita stessa), la ricerca di una violenza pulita e asettica (i macelli industriali, la pena di morte senza sangue, la guerra presentata come un videogame...), l'affidamento di essa a tecnici neutri (come nel caso del nostro attuale governo).
Un romanzo recente di riferimento, per cogliere tutta l'ambivalenza dell'utopia nazifascista, è 'Le benevole' di J.Littell
b) il capitalismo.
Unica utopia davvero realizzata nella storia relativamente recente del mondo ( e forse unica forza rivoluzionaria su scala globale, almeno degli ultimi trent'anni...) la società Disney, immaginata in Topolinia o Paperopoli, ha raggiunto ormai quasi tutte le sue mete: il culto del denaro, il feticismo delle merci e dei consumi sono divenuti le nuove religioni planetarie, l'utilitarismo ed il pragmatismo sono riconosciuti quali unici valori relazionali e criteri di scelta, la tecnica ha sostituito l'etica, la 'governance' amministrativa ha preso il posto della politica. I suoi 'paradossimori' ci avvolgono collusivamente e apparentemente senza scampo:
guerra umanitaria, missioni di pace, terrorismo religioso, conservatorismo compassionevole, esportazione democratica. Tutto questo assomiglia alla 'neolingua' della distopia per eccellenza, '1984' di G.Orwell.
Ma solo in parte: in primo luogo, almeno per l'Occidente, non ci si è trovati sinora nella miseria e nella disperazione in cui vive quasi tutta la gente nel romanzo.
In secondo luogo, oggi assistiamo alla 12.a serie del 'Grande Fratello': il capitalismo è capace di trasformare la distopia orwelliana in utopia televisiva, immaginario da rincorrere e da invidiare.
Ma la grande utopia inizia a mostrare i suoi rischi ed i suoi mostri, anche per noi benestanti, noi che sinora abbiamo avuto 'God on our side' (o, se preferite, 'Gott mit uns'...).
E si va trasformando in distopia: le mitologie della crescita e dello sviluppo illimitato mostrano la corda e vanno verso la loro implosione, sia sul versante sociale che su quello ecologico. Una società fondata sulla glorificazione del lavoro inizia a dover fare i conti con gli sviluppi della tecnologia e dell'automazione ed è costretta a chiedersi se vita e lavoro dovranno ancora coincidere così strettamente in futuro. Ed il futuro stesso, da orizzonte di progresso sicuro e ineluttabile si trasforma sempre più in abisso foriero di minacce.
Un romanzo recente di riferimento: 'Regno a venire' di J.Ballard.
- DISTOPIA / UTOPIA
INTRODUZIONE AL FUTURO.
Mi si chiede di scrivere l’introduzione ad un libro che, dopo vari decenni di silenzio, viene ripubblicato oggi, più di mezzo secolo dopo la sua prima uscita editoriale.
Tutto è cambiato da allora: neppure riusciremmo ad immaginarci che vita si viveva, a quali pregiudizi e storture si fosse aggrappati, in quale decadenza si navigasse.
Il testo che segue giunse al culmine di una catastrofe già in corso da tempo, chiamata -a seconda dei casi e degli autori- ‘progresso (o ‘sviluppo’) della ‘violastoria’.
Fu scritto, pare, da un inclassificabile personaggio, di cui son rimaste però inopinate tracce in vari luoghi: in ambiti accademici e movimenti politici di piazza, nei dibattiti tra filosofi, psicologi e pedagogisti dell’epoca, tra le mille e mille persone che ha incontrato nel suo girovagare fisico e mentale.
Lo scrisse, a quanto ci è stato tramandato, in una fase particolarmente critica della sua vita e del suo rapporto col mondo, convinto com’era (e non a torto, per quel che è accaduto dopo) che ci si trovasse al centro di un cataclisma di enormi proporzioni, dal quale potevano scaturire disastri, ma anche novità positive ed opportunità.
Tanto che il sottotitolo di allora riportava, troppo ottimisticamente, la frase: ultimo libro della violastoria.
In effetti, la situazione iniziò a migliorare proprio agli inizi del secolo XXI a.C (ante Catastrophem).
Mentre le istituzioni del tempo si attardavano ancora in riti tipici del secolo XIX (le encicliche papali sull’eros, tema già più volte affrontato dalla Santa Madre Chiesa con progressivo insuccesso) e del secolo XX (le elezioni, specialità sportiva democratica in via di estinzione, che fu già esclusa alle Olimpiadi invernali sin dal 2014), la storia degli umani accelerava i suoi passi nella Grande Mutazione, così come oggi la definiamo (ma che i viola-storici chiamarono ‘declino’, ‘crisi epocale’, ‘catastrofe’…)
In questa breve introduzione vogliamo ricordare a voi, giovanissimi scolari, i passaggi fondamentali di questa Evoluzione, in modo tale che la lettura del libro possa essere inquadrata nella sua corretta prospettiva storica:
1. A partire dalla fine degli anni ’90 gli umani iniziarono ad aggredirsi direttamente, senza più filtri e requie, a compiere atti di violenza senza provare neppure più a darne giustificazione, senza più delegarli agli organismi abilitati, praticando la violenza del più forte, del più ricco, del più armato. In particolare gli Stati nazionali, sino a quel momento detentori del monopolio della violenza, scelsero progressivamente di rinunciare alle regole che essi stessi si erano dati dopo la Seconda Grande Guerra: la violenza, sino a quel momento ‘gestita’ e ‘incorporata’ nelle istituzioni stesse, attraverso eserciti, forze di sicurezza e rituali politici, giuridici e religiosi, venne allo scoperto, soprattutto in seguito all’Attacco Supremo dell’11 settembre 2001.
Oggi noi sappiamo (secondo la sacra teoria della Nonviolenza) che, a parità di violenza in un sistema, la violenza strutturale è molto più grave della violenza diretta: quando si manifesta apertamente quel che è sempre stato vero, ma coperto, ciò rappresenta ai nostri occhi, scientificamente, un progresso. Ed è per questo che il primo dell’anno è dedicato ora ad una festa della LELLA, la Libera Erotica Ludica Lenta Aggressione.
Ma, in questo passaggio, il dolore e la sofferenza non si potevano più nascondere e divennero sempre meno tollerabili: le persone del tempo, insicure per la vita e minacciate nei loro averi, allevate, come polli malati di peste aviaria, nella violenza ordinata e invisibile delle fasi storiche precedenti, manifestavano ora ansia e preoccupazione, quasi un’ossessione securitaria, se dobbiamo far riferimento ai pochi documenti giunti a noi dalle Terre d’Occidente.
Sembrerebbe che tutti si armassero sempre di più, costruissero muri e fortini, accumulassero beni per ostentarli o nasconderli; il Terr e la Guerr al Terr, incominciarono a confondersi tra loro e divennero permanenti.
La pace, intesa come ordine e progresso, quiete apparente in forma di violenza praticata con metodi civili e democratici, finì per sempre.
Questo rappresentò il primo grande passo verso la Noviolastoria.
2. Al sorgere del nuovo millennio l’Occidente smise di crescere economicamente, non vendeva quel che produceva, non produceva quel che vendeva. I consumi, anche quelli primari, iniziarono a contrarsi, anno dopo anno. Scoprì tardi che il suo modello di vita non era esportabile proprio perché e quando alcuni paesi prima definiti ‘in via di sviluppo’ iniziarono a svilupparsi davvero, mentre altri scomparivano dal Mercato a causa dei debiti, delle malattie e delle guerre. Il Gioco del Mercato, il più praticato sino a quei tempi, si fermò e anzi regredì per estinzione dei concorrenti, per la fine delle risorse disponibili, per la violenza della competizione altamente distruttiva tra i pochi contendenti rimasti in campo. Quel che oggi chiamiamo ‘Felice Decrescita’ e festeggiamo ogni anno agli inizi della primavera, allora appariva ancora come un’immagine della decadenza, della morte e della fine di tutto, della vita stessa.
Oggi sappiamo che fu solo la fine della Religio Monetaria, un culto sanguinario e feroce, fondato su sacrifici umani per miliardi di persone sulla terra, soggiogati come schiavi al Dio Lavoro: i fedeli si dividevano tra quelli che potevano accedere al suo Tempio (detti ‘occupati’) e quelli che non ne avevano accesso (detti ‘disoccupati’). Per alcuni secoli, un tempo talmente lungo che i nostri storici ancora non riescono a giustificare razionalmente, il culto fu praticato con entusiasmo e profitto.
Ma, ad un certo punto, questo sistema economico-religioso iniziò a vacillare, a dare segni di cedimento, sia nella psiche che nel lifting (la ormai nota ‘Crisi dello Yuppie).
Allo stato attuale delle ricerche, condotte da un punto di vista nonviolento, amiamo parlare oggi di un vero e proprio ‘Santo Boicottaggio’ da parte del sistema stesso.
Gli umani pagarono un costo molto alto, innumerevoli e tragiche furono le perdite, ma questa lezione è oggi stampata a chiare lettere nei nostri libri e nei nostri cuori.
Da allora, chi perché costretto e chi per scelta meditata, si procedette a vivere più semplicemente perché fosse possibile a tutti i superstiti, semplicemente, di vivere.
3. Ma questo non sarebbe stato sufficiente per giungere sino a noi, alla Noviolastoria, se non fossero apparsi sul pianeta i Furibondi Cataclismi.
La Natura, irreggimentata e violentata da secoli, procedette al ‘Sacro Sabotaggio’ del sistema di rapporti instaurati unilateralmente dalla specie umana, rivendicando la sua potenza e la sua aspirazione ad evolvere, con gli umani o, se necessario, senza di loro.
La Grande Madre Ecologica, più e più volte invocata e che oggi veneriamo, non attese ancora a lungo ed iniziò a manifestarsi per il bene delle generazioni future, che apparivano ormai condannate a vivere in un mondo senza aria, senza terra e senz’ acqua: questi beni, infatti, furono destinati ad essere consumati, depredati e venduti legalmente dagli umani già a partire dai primi anni del secolo XXI.
Maremoti, cicloni e uragani, desertificazioni e glaciazioni, alluvioni e disastri di ogni sorta colpirono il pianeta, senza far distinzione tra ricchi e poveri, tra Nord e Sud, tra Occidente e Oriente. In moltissimi, uomini e donne, piante e animali, morirono.
Ne serbiamo, commossi e con dolore, ricordo e memoria.
Ma oggi sappiamo che gli umani della Violastoria, se escludiamo alcune minoranze già allora illuminate, di cui il testo che segue non è che una delle testimonianze, non sarebbero stati capaci di cambiare vita altrimenti.
Ci fu, per noi, per i superstiti, un lungo periodo di crisi e di attesa, il cosiddetto ‘Ventennio’.
Poi, lentamente e con molta prudenza, memori del passato, riprendemmo a parlare, ad incontrarci, a leggere, a scrivere, a fare storia, a vivere e a morire…
Niente fu più come prima.
Alla luce di questo mio brano, appena uscito nella ‘Breve storia della Violastoria. Manuale per le scuole elementari’ (pag.1-2, ed. Altromondo), credo che ora possiate essere pronti ad affrontare questo testo, certamente confuso e composito, non si sa se per ignoranza o per metodo, ma anche vicino allo stile e ai gusti tra voi, giovani studiosi, attualmente dominanti.
Immagino che possa disturbarvi e piacervi, così come è accaduto, a quanto si dice, anche a chi l’ha scritto.
Lo affido volentieri alle vostre menti, al vostro corpo, alle vostre mani, ai vostri occhi, ai vostri sensi…
Gregoryson VIII
Kalaris, isola di Ichnùsia, estate del XL (2061 a. C.)
Questo testo, introduzione del mio 'Casca il mondo! Giocare con la catastrofe' (la meridiana, 2007),
introduce alla possibilità di un'alternativa, ad una distopia che si apre ad un'utopia, attraverso una cesura/separazione stressante, choccante: la catastrofe stessa come opportunità pedagogica e sociale di cambiamento. Quella prospettiva che si inizia a chiamare, appunto, 'pedagogia delle catastrofi'.
Le domande potrebbero essere oggi: 'Siamo vivi e rischiamo di morire ? Siamo morti e rischiamo di vivere ?' (J.M.Coetzee).
Essa appare vicina all'apocalitticismo biblico (con il suo corredo di Diluvi, Torri di Babele, Agnelli celesti e Spiriti di fuoco...), ma -a differenza di essi- non crede al messianismo, a 'nuovi cieli e nuove terre' e sa, con Morin, che 'in questo mondo non c'è salvezza' …
Come ci ricorda Saramago, in suoi due memorabili romanzi ('Cecità' e 'Saggio sulla lucidità'), solo ammettendo finalmente la nostra cecità giungeremo a vivere lucidamente la nostra esistenza. Forse.
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