Supposto che l'uomo non potesse esercitare la sua volontà, ma dovesse patire tutta la miseria di questo mondo, che cosa allora potrebbe renderlo felice ? Come può l'uomo essere felice se non può tener lontana la miseria di questo mondo ? Mediante la via della conoscenza...
La vita di conoscenza è la vita, che è felice nonostante la miseria del mondo.
(Ludwig Wittgenstein)
Ho sempre più dubbi su idee come questa, che hanno circondato convintamente la mia adolescenza e giovinezza e adultità. Oggi, mi sembra proprio una grama consolazione, se anche fosse vera.
Non userei la parola 'felicità', intanto. Mi sembra sinceramente eccessiva.
E, più mi pare di conoscere e più, mi pare, leopardianamente, di soffrire e non di essere più felice.
Non smetto di voler conoscere, e non vorrei mai ignorare, ma dire che 'la via della conoscenza renda felici' mi sembra, ad oggi, esperienzialmente falso.
Una rivelazione è stata fatta al pellerossa, un'altra all'uomo bianco. Io ho tanto da imparare dall'indiano, e niente dal missionario. Non ne sono sicuro, ma l'unica cosa che mi farebbe venire la tentazione di insegnare all'indiano la mia religione, sarebbe che mi promettesse di insegnarmi la sua. E' troppo tempo che ascolto cose irrilevanti, adesso sono felice di aver fatto conoscenza con la luce che dimora nei boschi in decomposizione.
Dove è finita tutta la vostra conoscenza ? Evapora completamente, perchè non ha profondità.
(Henry David Thoreau)
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Vorrei dormire, sono tanto stanca,
stanca, e ferita è la mia felicità.
Sono tanto sola - anche la mia canzone preferita
se ne è andata e non torna più.
Se finalmente dormissi sognerei,
e i sogni son meravigliosi.
Soffiano un sorriso incantato
anche sul destino più duro.
I sogni portano con sè l'oblio
e cangianti gingilli variopinti.
Chissà - forse mi terranno
per sempre nella loro terra.
(Selma Meerbaum-Eisinger, morta in un lager, a 18 anni...)
Ecco che si rassomigliavano davvero, come qualche volta ella pensava: impotenti davanti alla realtà della vita, entrambi avevano bisogno di cose insolite, e sognavano un mondo irreale...
(Grazia Deledda)
Ho provato a stare nel mondo reale e non mi interessa abbastanza: non mi interessa vivere di lavoro, di chiacchiere, di progetti e strategie, di mangiare e dormire.
(Lo dicevo ieri a mia nipote diciottenne: mi sento sempre più razzista, ormai, verso le persone 'normali'. Le disprezzo (e le capisco) sempre di più...)
Ho provato a costruire, per me e per qualche altro, un mondo parallelo, ma che si incrociasse con la realtà, quello del gioco. Ma, al momento, ironia e creatività sono stanche e deluse.
Non mi resta che la fuga, in un sogno irreale.
Che il catastrofismo non sia altro che questo ?
Un sogno, o almeno un incubo, ma che sia liberatorio rispetto a questa Realtà ?
Mio figlio un tempo era convinto di poter guardare un aereo in volo e farlo esplodere a mezz’aria con la semplice forza del pensiero…Un aereo in volo era una provocazione troppo forte per ignorarla. Guardava un aereo prendere quota dopo il decollo di Sky Harbor e intuiva un elemento catastrofico insito nel fatto stesso di un oggetto volante pieno di gente. Era sensibile allo stimolo più casuale e gli sembrava di sentire l’oggetto stesso desiderare ardentemente di esplodere. Non doveva far altro che evocare l’immagine esplosiva nella sua mente, e l’aereo si sarebbe incendiato andando in mille pezzi. Sua sorella gli diceva sempre, Avanti, fallo scoppiare, fammi vedere che sei capace di buttar giù quell’aereo con tutte le duecento persone a bordo, e lo spaventava sentire qualcuno parlare così, e spaventava anche lei, perché non era del tutto sicura che non potesse farlo davvero. E’ tipico dell’adolescente immaginare la fine del mondo come un accessorio del proprio scontento…
(Don Delillo)
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In molti viaggi recenti, avevo guardato quel tal fienile inclinarsi sempre più a sud, finchè, quando Q ed io gli passammo davanti, era crollato a terra: abbattuto, quasi a segnare la fine di un'epoca, pronto infine a darsi in pasto a vermi e millepiedi. Dopo una certa età, una persona può trovar difficile evitare di vedere, in un simile cambiamento, un presagio dei giorni che lo aspettano. Quando dissi a Q qualcosa di questo tenore, lei, giovane com'è al mio confronto, rispose: 'Vedi la tua vita come una latrina ?' -
Bè, finora no.
(William Least Heat-Moon)
« C'è un'arte di ricevere in faccia le sferzate del dolore che bisogna imparare. Lasciare che ogni singolo assalto si esaurisca; un dolore fa sempre singoli assalti - lo fa per mordere più risoluto e concentrato. E tu, mentre ha i denti piantati in un punto e inietta qui il suo acido, ricordati di mostrargli un altro punto e fartici mordere - solleverai il primo. Un vero dolore è fatto di molti pensieri; ora, di pensieri se ne pensa uno solo alla volta; sappiti barcamenare tra i molti, e riposerai successivamente i settori indolenziti. » C. Pavese
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