venerdì 6 aprile 2018

sidone ci dona

Sidone, Saida, non ci poteva essere fine migliore...
Dormiamo dentro il souk, in un ex convento della Terra santa, costruito dai franchi nel medioevo crociato, circondati da moschee e minareti, negozietti e profumi, ed una bella vista sul mare e sul tramonto.
Siamo stanchi, abbiamo davvero trottato in queste due settimane, ma anche stamattina abbiamo trovato le forze per arrivare fuori città, sino al tempio fenicio dedicato ad Echmoun, il dio della salute, amante di Astarte.
Poi abbiamo costeggiato il fiume Asklepios, accompagnati da aranceti e nespoli, e da cestini pieni dei loro frutti, e ci siamo riposati all'ombra con succhi di mango e shisha alla mela.
La sera mangiamo al porto degli ottimi pesci fritti o arrosto, conditi da hummus, patatine e insalata fatoush.
Saida ha anche, a differenza dei luoghi visti sinora qui, una grande piazza abitata da famiglie, bambini e ragazzini, che oggi non vanno a scuola -è venerdì- e sfrecciano sui motorini elettrici, di corsa o sui pattini.
Sono giornate di sole pieno, e c'è sempre una bella brezza dal mare.
Con Vivi abbiamo riascoltato Sidun di Fabrizio de Andrè, ed ora l'abbiamo capita...

SIDONE
Il mio bambino il mio
il mio
labbra grasse al sole
di miele di miele
tumore dolce benigno
di tua madre
spremuto nell'afa umida
dell'estate dell'estate
e ora grumo di sangue orecchie
e denti di latte
e gli occhi dei soldati cani arrabbiati
con la schiuma alla bocca
cacciatori di agnelli
a inseguire la gente come selvaggina
finché il sangue selvatico
non gli ha spento la voglia
e dopo il ferro in gola i ferri della prigione
e nelle ferite il seme velenoso della deportazione
perché di nostro dalla pianura al modo
non possa più crescere albero né spiga né figlio
ciao bambino mio l'eredità
è nascosta
in questa città
che brucia che brucia
nella sera che scende
e in questa grande luce di fuoco
per la tua piccola morte.
























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