'Arrivederci alla prossima strage'.
Così titola un articolo di Roberto Saviano su Repubblica, un pezzo che va letto.
Ma quel che sta accadendo, che è accaduto in questi giorni e ieri a Parigi merita ulteriori commenti.
Ora si chiede alle comunità islamiche di dissociarsi, di far la voce grossa contro la violenza.
Chiedere agli schiavi (integrati) di dissociarsi dai ribelli (eroi).
Assurdo e impossibile.
Ed anche se avvenisse non cancellerebbe il risentimento ed il rancore per anni di umiliazioni che gli immigrati subiscono qui da noi, da parte nostra.
Anche se lavorano, anche se parlano l'italiano, anche se avessero raggiunto ruoli dignitosi o di prestigio, questo restano: degli inferiori, degli ambigui, degli inaffidabili, degli estranei, delle serpi in seno.
E loro lo sanno, e sanno perchè l'Isis esiste, sanno delle guerre che gli facciamo, delle morti e distruzioni che perpetriamo nei confronti dei loro simili, dei loro parenti, dei loro amici e fratelli.
La differenza tra loro e i guerriglieri non sta in quel che provano verso e contro di noi, ma nei modi in cui lo manifestano e lo esprimono.
Ma il sentimento è lo stesso, ed è il sentimento che proveremmo noi al loro posto, se fossimo quotidianamente umiliati e offesi.
E, sotto sotto, vivono le gesta dei guerriglieri con orgoglio, con malcelata soddisfazione.
Temono di perdere tranquillità, quel poco di accettazione che si sono faticosamente guadagnati.
Come gli ebrei in Europa negli anni 30, cercano anzi di collaborare per tentare di non perdere quei pochi vantaggi e privilegi che ancora hanno, che gli sono permessi.
Ma sanno molto bene che tutto questo sta per finire, e che gli occidentali li tradiranno ancora una volta, come hanno fatto con gli ebrei nel 900.
E per questo stanno lì, sospesi, tra due paure e due totalitarismi: quella delle rappresaglie da parte dei fanatici islamici nei loro stessi quartieri (il loro nemico interno) e quella dei regimi 'democratici' dentro cui si trovano a vivere, o meglio a sopravvivere.
Sulle passeggiate domenicali come quella di ieri ho già detto.
A vederla, era ancora più ridicola e perversa, manipolativa e mistificante, di quel che ho scritto prima che accadesse.
Sono esperienze che riempiono di tristezza e di rabbia me e, credo, tutte le persone non ipocrite tra noi.
Figuriamoci l'effetto che cose del genere possono avere su altri, su persone di altre terre o di altre culture.
Effetti disastrosi, o almeno ridicoli.
Quel che la gente vuole è lo stesso che volevano le bandiere arcobaleno sui balconi di qualche anno fa: fate la guerra, fatevi fare le guerre, ma lasciateci in pace, lasciateci vivere tranquillamente qui, a Parigi o a Roma.
Non rompeteci le palle con le nostre guerre: le facciamo noi, ma devono continuare ad essere solo vostre...!
Noi vogliamo continuare a mangiare, a bere, ad andare al cinema o allo stadio.
E a darvi come sempre le briciole, se ne resteranno.
C'è solo un piccolo problema: che ora i soldi, molti soldi, ce li hanno dei loro amici, e che sono loro ora a tenerci per le palle.
E che, anche qui da noi, hanno tanti alleati, gente che non vede l'ora di far definitivamente fuori anche solo le parole che ancora usiamo per sport: democrazia, libertà, diritti, pace.
Quindi, cari amici, siamo messi male.
Io, intanto, parto per l'Estremo Oriente (Thailandia, Vietnam, Malaysia (Sarawak)).
Ho in valigia una lama con cui sgozzerò il primo islamico che incontrerò.
E ho già preparato un proclama che voglio lanciare al mondo intero.
Aveva ragione la Fallaci e aveva torto Terzani.
Ha ragione Ferrara.
Sì, basta, anche io ho voglia di rivalsa...!
(Lo dico per la polizia postale: sto scherzando...)
Il racconto di Big Jeff si chiamava 'Il giorno in cui le mucche tornarono a casa'...
Succedeva questo. Un disco volante atterra in un campo fuori Boston. La polizia e svariate forze armate cercano invano di distruggerlo. Poi, dall'astronave parte un raggio che disintegra un camion, misericordiosamente vuoto, e tutti arretrano mentre un robot sbarca e chiede che una delegazione di leader mondiali si presenti al comandante dell'ufo. Domani, o altrimenti...
Roba trita e ritrita fin lì, ma non per molto. Il giorno dopo il presidente, il premier sovietico e la regina d'Inghilterra si riuniscono nel campo e vengono portati dal robot al centro di comando.
E chi trovano lì, seduto ai comandi, e circondato da un equipaggio di individui della stessa specie, se non un toro! Non è un toro normale, ma un argonauta dalle grandi corna e il portamento di un imperatore, con gli occhi che brillano di un'intelligenza sovrannaturale e che per il resto somiglia ai bovini terrestri quanto il lupo libero, audace sovrano del suo reame artico, assomiglia a un barboncino impomatato e col suo cappottino di strass.
Dopo di che i leader mondiali vengono a sapere la storia. Molto tempo prima, una delle astronavi aliene aveva avuto un guasto al motore e si era diretta verso il nostro pianeta per nutrirsi della sua flora. La loro galassia è lontana anni luce, e ormai l'equipaggio è morto da secoli, ma questa spedizione è venuta a raccogliere i discendenti di quei valorosi per riportarli a casa. Perchè ci sono dei discendenti, vero ?
Agli esseri umani non sfuggono i pericoli insiti in questa domanda, e negano di conoscere creature simili; poi, però, il comandante della nave mostra la foto di alcune mucche in un prato e, a questo punto, la regina d'Inghilterra crolla e balbettando rivela la verità.
I viaggiatori che le si sono raccolti intorno non sono contenti di scoprire lo stato attuale della loro stirpe o l'uso a cui è destinata. A dire il vero, stentano a credere alle proprie orecchie, e il comandante insiste perchè si indaghi sui fatti.
Lui stesso visita un caseificio dell'Wisconsin, dove vede che delle macchine prosciugano le mucche e le riempiono di sperma di tori che non hanno mai neanche incontrato. In Texas guarda castrare e marchiare i vitelli, e in Giappone visita una fattoria in cui gli animali sono alimentati forzatamente con galloni e galloni di birra perchè la loro carne diventi più dolce.
In Messico viene portato a una caotica corrida, in Wyoming a un rodeo, a Chicago ad un mattatoio in un allevamento di bestiame.
Il comandante vede questo e altro. Si chiude in un silenzio sinistro. Dopo essere tornato alla nave per conferire con i suoi compagni, ne esce per fare un lungo viaggio fra tutti i ranch e le fattorie: intende raccogliere le mandrie intorno a sè e dire loro esattamente che cosa le aspetta se non accettano il suo invito a tornare sul loro pianeta.
Della loro vecchia lingua, gli animali hanno conservato quel tanto che basta per comprendere l'avvertimento, ma la maggior parte di loro non vi dà peso. Al contrario invitano lui a restare con loro. Loro ce l'hanno fatta: cibo a volontà, protezione dai predatori, assistenza sanitaria, un programma perfetto. Il comandante viene insultato come fosse un sobillatore, e in Montana dei manzi lo fanno scappare dal ranch. Alla fine, solo una manciata dei più coraggiosi e intelligenti scelgono di partire, e perfino questa piccola processione si riduce quando alcuni si perdono d'animo alla vista della lunga rampa che conduce alla nave e disertano.
Al tramonto, il disco volante si solleva col suo equipaggio e i nuovi cugini. Ma non fa rotta verso casa, non ancora. Per un pò resta sospeso nel cielo, ed entra in azione il raggio disintegratore.
Il massacro è efficiente, implaacabile, assolutamente misantropico.
Alla fine non resta in vita un solo essere umano.
Il racconto si conclude con questa frase, detta da uno dell'equipaggio a una mucca che piange per il bambino che la mungeva : Gli è andata bene che non l'abbiamo mangiato...
Nell'intervista in prima pagina, Ayn Rand elogiava Big Jeff, definendolo un grande scrittore in erba.
E' molto gratificante, diceva, vedere un giovane come il signor Purcell col coraggio di sfidare l'ortodossia collettivista che tiranneggia la vita intellettuale di questo paese, soprattutto nei suoi college e nelle sue scuole. Il signor Purcell eccelle nel tratteggiare la vittima che bacia la frusta. Naturalmente, il gregge nega la verità della propria condizione di schiavitù, e attacca l'eroe che dice la verità. Basta leggere le critiche su 'La rivolta di Atlante' per vedere quel principio al lavoro nella cosiddetta stampa libera, che può apparire libera solo a chi abbia subito un lavaggio del cervello completo da parte delle mistificazioni egualitarie...
Lodava Big Jeff per aver usato la fattoria e il recinto del bestiame come metafora dello stato sociale, il cui canto della sirena ci attira sempre più verso la terra desolata della mediocrità obbligata, dove è più importante farsi servire che fare da sè, dove la libertà è un'illusione che si ottiene fingendo di non vedere il recinto in cui si vive, e dove il gregge si ritiene fortunato a ingrassare sui profitti della propria macellazione finale.
Il signor Purcell in questo racconto ha rivelato una grande e assolutamente impopolare verità.
Il sogno dell'uguaglianza universale non porta al paradiso, ma ad Auschwitz!
(Tobias Wolff, Quell'anno a scuola, 2003)
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