venerdì 24 ottobre 2014

non andar di corpo

    'Avere un mondo'   è qualcosa di più del semplice  'essere al mondo'.
    Tutte le cose  'sono' al mondo , ma il corpo  'è'  al mondo come colui che  'ha un mondo', come colui per il quale il mondo non è solo il luogo che lo ospita, ma anche e soprattutto il termine in cui si proietta.
    Al limite possiamo dire che siamo al mondo solo perchè siamo impegnati in un mondo.
    Il giorno in cui questo impegno cessa, in cui cessa la nostra presa sul mondo, il corpo non si riconosce più, non si sente più vivo, e perciò si congeda dalla terra.
    Questo congedo è preparato da un progressivo disinteresse per il mondo, da una caduta di significati, da una progressiva cecità,che non consente più di vedere un senso nelle cose che pur si vedono.
    Ci sono dei ciechi che non perdono il loro contatto col mondo, altri che lo perdono prima di diventare ciechi; questo perchè il contatto vitale del nostro corpo col mondo non coincide con quello sensoriale.
    Il nostro corpo, infatti, è qualcosa di più delle possibilità che gli concedono i suoi sensi, la sua vita può essere al di sopra o al di sotto di queste possibilità, perchè a decidere il suo grado di vitalità non sono i sensi, ma il suo interesse per il mondo.

Nella domanda c'è un'attesa, e nell'attesa c'è la possibilità che le cose non
siano come si attendono. Dalla possibilità negativa nasce per il corpo il suo
impegno nel mondo, il suo intervento per modificare la disposizione delle
cose che, così come sono, non rispondono immediatamente alle sue
aspettative.
Le cose, infatti, come dice Sartre, sono solo 'promesse', diventano realtà
quando il corpo le raggiunge e raggiungendole verifica quello che Bachelard
chiama 'il coefficiente di avversità' degli oggetti, la loro resistenza, la loro
minaccia, la loro avversità...
Essere nel mondo significa allora per il corpo sfuggire all'assedio del mondo
per abitare il mondo, fuggire dal proprio essere in mezzo al mondo per averlo
come luogo di abitazione...
In questo gettarsi fuori di sé, in questo pro-getto, il corpo è sempre superato
dalle cose verso cui si protende, per cui io sono il mio corpo sono non
essendolo, solo superandomi per essere al mondo.
Per chi non si supera, per chi si trattiene presso di sé, il corpo diventa un
impedimento, quell'impedimento che io divengo a me stesso quando mi nego
come apertura originaria.

In un corpo dove sono menomate le normali relazioni col mondo, l' 'anima'
che è tutta in queste relazioni, non regge l'assalto del mondo.
Un'umanità sempre meno umana e sempre più vicina a comportamenti
animali non l'avremo con la riduzione del suo 'spirito',,,, ma attraverso una
contrazione dell'ambiente, con l'insorgenza di comportamenti sempre più
abitudinari e sempre più volti all'adattamento che al suo superamento...


(U. Galimberti, Il corpo, 1983)

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