Nell'ambito della sofferenza la
sventura è una cosa a parte, specifica, irriducibile. E' ben diversa
dalla semplice sofferenza. Si impadronisce dell'anima e le imprime
fino in fondo il suo proprio marchio, quello della schiavitù.La
sventura è uno sradicamento dalla vita, un equivalente più o meno
attenuato della morte...
Il pensiero fugge la sventura con la
stessa prontezza e irruenza con cui un animale fugge la morte...
Quando il pensiero è costretto
dall'impatto con il dolore fisico, anche se lieve, ad ammettere la
presenza della sventura, insorge uno stato di violenza simile a
quello di un condannato a morte costretto a guardare per ore e ore la
ghigliottina che lo decapiterà.
Alcuni essere umani possono vivere
venti o cinquant'anni in questo stato...
C'è vera sventura solo quando
l'avvenimento che ha afferrato una vita l'ha sradicata, l'ha colpita
direttamente o indirettamente in tutti i suoi aspetti: sociale,
psicologico, fisico. Il fattore sociale è essenziale. Non c'è vera
sventura là dove non si verifichi, in qualsiasi forma, una decadenza
sociale o l'apprensione di una simile decadenza...
Nel migliore dei casi, chi è
segnato dal suo marchio non serberà che metà della propria anima.
Coloro che hanno ricevuto uno di
quei colpi che lasciano l'essere umano a terra, a contorcersi come un
verme mezzo schiacciato, non hanno parole per esprimere quel che
capita loro. Fra le persone che incontrano, quelli che, pur avendo
sofferto molto, non hanno mai avuto contatto con la sventura
propriamente detta non hanno idea di che cosa sia...E coloro che sono
stati a loro volta mutilati dalla sventura non possono prestare
soccorso a nessuno, e sono quasi incapaci di desiderarlo...
Una sorta di orrore sommerge tutta
l'anima. Durante questa assenza non c'è nulla da amare...
D'altra parte, in un'epoca come la
nostra, in cui la sventura pende sopra la testa di tutti, il soccorso
prestato alle anime è efficace soltanto se si spinge fino a
prepararle realmente alla sventura. E non è cosa da poco...
In uno sventurato il disprezzo, la
repulsione, l'odio si ritorcono contro lui stesso, penetrano al
centro della sua anima, e da lì colorano con la propria tinta
avvelenata l'intero universo...
Ogni innocente sventurato si sente
maledetto...
Un altro effetto della sventura è
quello di rendere l'anima sua complice a poco a poco, iniettandole il
veleno dell'inerzia. In chiunque sia stato a lungo sventurato si
insedia una complicità con la sventura. E questa complicità
intralcia ogni sforzo che egli potrebbe compiere per migliorare la
propria sorte, giunge persino ad impedirgli la ricerca dei possibili
mezzi per essere liberato, e qualche volta il desiderio stesso della
liberazione. Avviene pertanto che lo sventurato si adagi nella
propria sventura, sicchè gli altri avranno l'impressione che sia
soddisfatto...
La sventura è un dispositivo
semplice e ingegnoso che riesce a infliggere nell'anima di una
creatura finita quell'immensa forza cieca, bruta e fredda...
L'uomo a cui accada una cosa simile
non ha parte alcuna nell'operazione.
Si dibatte come una farfalla
appuntata viva in un album...
(Simon Weil, L'amore di Dio e la
sventura, in 'Attesa di Dio' (1942))..
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