Il giovedì il giardinetto della darsena in cui passo ore ed ore a leggere e pensare si riempie di molte donne ucraine e slave in libera uscita. Si uniscono a quelle che si ritrovano qui anche in altri giorni, perchè appena arrivate o temporaneamente disoccupate.
Anche loro leggono, oppure chiacchierano, prendono il sole, sonnecchiano.
Età media: 60 anni.
Sotto uno dei grandi e splendidi ficus risiedono invece quasi permanentemente barboni, ragazzi con cani, coppie amorevoli di sbandati che dormono qui anche di notte, con molta birra e vino in corpo, nel tentativo di star bene o almeno di attutire il dolore...
L'unico rubinetto pubblico ha retto sino a poco prima dell'estate: all'ennesima rottura il Comune non l'ha più aggiustato.
Certe mattine allora si approfitta degli zampilli che arrivano, improvvisi ed imprevisti, dalle aiuole.
I locali, oltre al sottoscritto (alieno da qualsiasi contatto), sono gente semplice, che cerca di stare in compagnia: offrono fichi dal loro orto o aiuto nella giungla burocratica della città, in cambio di qualche parola affettuosa, un sorriso, uno sguardo. Alcuni fanno anche i traduttori simultanei, i mediatori improvvisati, i faccendieri da giardino...
Ogni tanto qualche indigeno di mezza età e di bocca buona va verso il bar o verso casa con una piacente sessantenne ucraina che ha lasciato il marito in patria...
Alcuni personaggi si stagliano per caratteristiche e frequenza fissa:
uno, dai tratti leggermente asiatici, sta qui dalla mattina presto, sempre solissimo e silenzioso, tutti i giorni, seduto sulle scalette che portano al Viale: ha con sè solo uno zainetto piccolo e forse dorme (poco) in qualche ospizio per poveri nelle vicinanze.
Un altro, molto anziano, ben vestito ed ingobbito, cerca di camminare lentamente e poi si siede, sconfitto ma tenace, in attesa del pranzo; sempre a fianco, ma in silenzio, ad un altro che ogni mattina legge il giornale nella stessa panchina, tra ombra e sole, e ogni tanto emette uno strano rantolo, che assomiglia ad un urlo, un tic nevrotico.
Io, tra loro.
Dopo i primi due giorni di lezione (120 persone in aula, così, inattese, che mi hanno atteso per due anni, senza affidarsi ad altri...la cosa mi ha emozionato, ed anche un pò confortato, non lo nego...La loro scelta rivela una capacità critica o anche soltanto un passaparola non da poco...), ritorno da solo (con un indistinguibile senso di piacere e malinconia).
Nel giardinetto, continuo a leggere , tra una cosa e l'altra, Somerset Maugham (Schiavo d'amore):
'Tu vuoi fare delle cose, vuoi diventar qualcuno', gli disse Hayward stringendosi nelle spalle.'E' tutto così volgare!'.
Philip lo conosceva molto bene, adesso. Era debole e vanesio; così vanesio che bisognava stare sempre attenti a non ferire i suoi sentimenti;mescolava pigrizia e idealismo a tal punto da non riuscire più a distinguerli.
Un giorno Hayward incontrò un giornalista che restò affascinato dalla sua conversazione. Una settimana più tardi, il direttore del giornale gli scrisse proponendogli di scrivere un pezzo di critica per lui. Per quarantott'ore patì l'agonia dell'indecisione. Aveva parlato tanto a lungo di trovare un'occupazione del genere che non aveva il coraggio di rifiutare, ma il pensiero di fare qualcosa lo riempiva di terrore. Alla fine declinò l'offerta e respirò liberamente.
'Avrebbe interferito col mio lavoro', disse a Philip.
'Quale lavoro ?' gli chiese brutalmente Philip.
'La mia vita interiore'.
Macalister gli ricordò l'Imperativo Catgorico: Agisci come se ogni tua azione dovesse porsi come regola generale per tutti gli uomini.
'Mi sembra una totale scempiaggine', disse Philip.
'E' piuttosto presuntuoso da parte sua dire una tale cosa di Immanuel Kant', replicò Macalister.
'Perchè? La venerazione per ciò che ha detto qualcuno è una stoltezza: c'è fin troppa dannata venerazione nel mondo! Kant pensava delle cose non perchè fossero vere, ma perchè lui era Kant.'
'Bene, allora quali sono le sue obiezioni all'Imperativo Categorico ?'
(Parlavano come se fossero in gioco i destini dell'Impero).
'Esso dice che si può scegliere il proprio destino mediante la volontà. E dice anche che la ragione è la guida più sicura. Perchè mai la ragione dovrebbe essere migliore guida della passione? Sono due cose diverse, ecco tutto.'
'Allora lei è uno schiavo contento delle sue passioni'.
'Ne sono schiavo, perchè non posso farne a meno, ma non certo contento', rise Philip.
Mentre parlava ripensava alla calda follia che lo aveva spinto dietro a Mildred. Ripensava a quanto aveva lottato e a quanto si era sentito degradato.
'Grazie a Dio, ora sono libero da tutto questo', pensò.
Tuttavia, mentre si diceva così, non si sentiva del tutto sicuro di parlare sinceramente.
Quando era sotto l'influsso della passione si era sentito particolarmente forte e la sua mente aveva funzionato con vivacità straordinaria. Era più vivo, più reattivo e la sua anima aveva provato un'ansia che gli faceva sentire la vita attuale piuttosto spenta...
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