Tristano: ...Poi risi e dissi: gli uomini sono in generale come i mariti. I mariti, se voglion vivere tranquilli, è necessario che credano le mogli fedeli, ciascuno la sua; e così fanno; anche quando la metà del mondo sa che il vero è tutt'altro. Chi vuole e dee vivere in un paese, conviene che lo creda uno dei migliori della terra abitabile; e lo crede tale.
Gli uomini, universalmente, volendo vivere, conviene che credano la vita bella e pregevole; e tale la credono; e si adirano contro chi la pensa altrimenti.
Perchè in sostanza il genere umano crede sempre, non il vero, ma quello che è, o pare che sia, a proposito suo. Il genere umano, che ha creduto e crederà tante scempiaggini, non crederà mai nè di non saper nulla, nè di non essere nulla, nè di non aver nulla a sperare.
Nessun filosofo che insegnasse l'una di queste tre cose, avrebbe fortuna nè farebbe setta, specialmente nel popolo: perchè. oltre che tutte tre sono poco a proposito di chi vuol vivere, le due prime offendono la superbia degli uomini, la terza, anzi ancora le altre due, vogliono coraggio e fortezza d'animo a essere credute.
E gli uomini sono codardi, deboli, d'animo ignobile e angusto; docili sempre a sperar bene perchè sempre dediti a variare le opinioni del bene secondo che la necessità governa la loro vita; prontissimi a render l'arme, come dice il Petrarca,, alla loro fortuna, prontissimi e risolutissimi a consolarsi di qualunque sventura, ad accettare qualunque compenso in cambio di ciò che è loro negato o di ciò che hanno perduto, ad accomodarsi con qualunque condizione a qualunque sorte più iniqua e più barbara, e quando sieno privati d'ogni cosa desiderabile, vivere di credenze false, così gagliarde e ferme, come se fossero le più vere o le più fondate del mondo.
(Dialogo di Tristano e di un amico, 1824)
Ora, noi sappiamo bene che la vita è un palcoscenico sul quale recitare, fino a quando la parte ci diverte. Al novero delle comodità moderne ne mancava ancora una: un modo composto, agevole, di uscire di scena, la scala di sicurezza verso la libertà, l'ingresso privato alla Morte.
Questa, amici miei, compagni di trasgressione, è l'offerta del Club dei Suicidi.
Non crediate che voi o io siamo gli unici, e nemmeno delle eccezioni, nel professare un'aspirazione del tutto ragionevole. Un gran numero di nostri simili, disgustati dalla recita che devono sostenere ogni giorno e per tutta la durata della vita, evita di defilarsi per un paio di considerazioni.
Alcuni hanno famiglia, i cui membri sarebbero colpiti, addirittura biasimati, se la cosa avesse pubblica risonanza; altri, per debolezza d'animo, indietreggiano di fronte agli aspetti pratici della morte.
Questo è, in larga misura, anche quello che provo io.
Non posso portarmi una rivoltella alla tempia e premere il grilletto perchè c'è qualcosa di più forte di me che mi impedisce di farlo, e benchè la vita mi ripugni non trovo nel mio corpo sufficiente forza per impadronirmi della morte e farla finita.
Per quelli come me, per tutti coloro che decidono di togliersi di mezzo senza scandalo postumo, è sorto il Club dei Suicidi...
Se davvero siete stanchi della vita vi presenterò questa sera a una riunione e, se non questa sera, una volta o l'altra entro la settimana, sarete liberati dal peso dell'esistenza.
(R. L.Stevenson, Il Club dei Suicidi, 1882)
N.B: Per approfondinenti di altissimo livello sul tema, consiglio anche la lettura del Dialogo di Plotino e di Porfirio, una delle più belle tra le Operette morali, a mio parere...
“Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci mano e soccorso scambievolmente; per compier nel miglior modo questa fatica della vita.” G. Leopardi, Dialogo di Plotino e di Porfirio. Un saluto.
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