mercoledì 30 marzo 2016

tra sevillanas e cordobès

Siamo arrivati a Siviglia in piena notte di Venerdì santo, città impazzita di gente, riti e processioni di nazareni. Madonne affrante, Cristi doloranti e piegati, su argentatissimi e doratissimi carri, sorretti dalle teste incappellate dai costal, seguiti da centinaia di lugubri incappucciati di ogni età. E accompagnati da piccole bande di fiati che suonano requiem.
Moltissimi turisti iperfotografanti, ma anche molte persone prese davvero, credenti...

Siviglia è una città grande, elegante, che crede in sé, anche con una certa sicumera.
Che fa le cose in grande, che si mostra, che si vende.
La cristianità qui ha ripreso possesso completo del minareto, della grande moschea, della medina.
L'ha sostituita con la tronfia Cattedrale gotica e barocca, lasciando solo tracce dei caratteri islamici, negli azulejos, nella porta del Perdono, in alcuni archi.
L'ha sedotta ed acquisita nello splendido Alcàzar, ed i suoi aranceti profumatissimi di zagare.

Diversa la scelta di Cordoba, dove ora siamo.
La Mezquita è rimasta quasi intatta, visibile, umile e maestosa nelle sue tenui luminosità, pur circondata e avvolta dalla violenta luce della enorme chiesa successiva.
E' stato bello entrare poco dopo l'alba tra i suoi portali, attraversare gli infiniti archi bianchi e rosso mattone, ammirare gli artesanados in legno intarsiato sui tetti.
Terra di filosofi e teologi e medici (Averroè, Seneca, Maimonide), a lungo capitale più popolosa d'Europa, mescolamento di tre religioni e di tante culture nel tempo.
Ma anche luogo di processi, persecuzioni, diaspore, inquisizioni.

Tutto sembra attenuato, ma le storie sono ancora ben vive, nelle pietre, nelle vie, nei volti.
Il viaggio procede, tra loro, e anche tra noi.
Nei prossimi giorni ci muoveremo verso Granada, alla ricerca di nuove Alhambre e di nuovi fiumi.



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