Nelle sue considerazioni sul
destino, Niccolò Machiavelli attribuiva alla 'fortuna' più di metà
del potere di controllo sulla vita umana, e alle capacità dell'uomo,
alla sua 'virtù', la restante metà scarsa. Immaginava la sorte come
una dea volubile e incostante, o anche come un fiume che potrebbe
straripare in qualsiasi momento...
Machiavelli spiega che solo le
'virtù di necessità' -cioè le capacità espresse nei casi di
emergenza- sono in grado di contrastare il destino...
Tra le varie metafore relative al
destino rintracciabili nelle sue opere, quella del fiume dalle
imprevedibili esondazioni, contenuta nel venticinquesimo capitolo del
Principe, sembra particolarmente ricca di significato. Forse perchè
l'amarezza di quella metafora deriva dal grande fallimento che lui
stesso aveva sperimentato.
'Ed assomiglio quella ad un fiume
rovinoso, che quando ei si adira, allaga i piani, rovina gli arbori e
gli edifici, lieva da questa parte terreno, ponendolo a quell'altra:
ciascuno gli fugge davanti, ognuno cede al suo furore, senza potervi
ostare'.
Machiavelli che, con Leonardo da
Vinci, aveva accettato la sfida di progettare il rinnovamento dei canali di scorrimento per prevenire gli straripamenti dell'Arno, e
aveva fallito, così aveva descritto in versi la dea della fortuna:
Come un torrente rapido, che al
tutto
superbo è fatto, ogni cosa fracassa
dovunque aggiugne il suo corso per
tutto;
e questa parte accresce, e quella
abbassa,
varia le ripe, varia il letto, il
fondo,
e fa tremar la terra, donde passa;
così Fortuna col suo furibondo
impeto molte volte or qui, or quivi
va tramutando le cose del Mondo.
Devo aver esitato un attimo ma poi, pensando che avrei dovuto, in un modo o nell'altro, portarlo in camera, avevo posato le mani sul corpo nudo del vecchio. La sua pelle, ancora umida del bagno, era più morbida di quanto mi aspettassi, elastica, nonostante la magrezza del corpo, e per niente grassa. Ricordava quasi quella di un ragazzo. Aveva gli occhi aperti e un lieve sorriso sulle labbra, ma aveva perso la parola e non aveva più né la forza né la volontà di muoversi. Ed ecco che il suo corpo sembrava pesare il doppio del suo peso reale e, che tentassi di mettermelo in spalla o di prenderlo in braccio, i suoi arti rimanevano del tutto inerti, abbandonati verso il basso. Avevo tentato di sollevarlo mettendogli le braccia sotto le ascelle, come nel morozashi del sumo, ma ero rimasto in quella posizione e non sapevo più cosa fare.
E' quello che si definisce 'essere
all'angolo' ?
(da Hiraide Takashi, Il gatto venuto
dal cielo, 2001)
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