Ma quando se ne andarono, mi accasciai in poltrona e consumai le ultime energie per dire a Silvia in assoluta serietà che per favore mi lasciasse in pace. Avevo smesso di fumare nel 1979 per amor suo, avevo smesso di bere nel 1994 per amor suo; a partire da quello stesso anno per amor suo avevo cominciato a mangiare pochissimo, una portata sola a pranzo, una portata sola a cena, senza sale, senza pepe, senza peperoncino, senza nemmeno una briciola di pane, solo un filo d'olio per condimento...
A parte la prostata che è un pò ingrossata da quasi un decennio, tutti i valori sono nei limiti. Segni di deterioramento in questi quattro anni non se ne sono visti.
Certo, da un pò di tempo non sento da un orecchio. Certo, giro male il collo sia a destra che a sinistra e fatico a fare la retromarcia con l'automobile. Certo, niente mi entusiasma più come una volta. Però tutto questo non si chiama cattiva salute, si chiama invecchiamento.
Ormai, per colpa del traffico, sempre più gente, non solo ragazzi e ragazze ma anche gente matura, si spostava in motorino. Parcheggiavano, toglievano il casco con una mano sola, si ravvivavano un pò i capelli. Li osservai a lungo con ammirazione, sembravano ancora attraversati dal vento, dalle polveri della città...Ridevano tra loro, parlavano a voce alta, mangiavano panini, toast, pizzette; bevevano birra, vino, superalcoolici, caffè; accendevano una sigaretta e fumavano voluttuosamente.
Ecco la vita piena, pensai con crescente simpatia, ecco la vita valorosamente imprudente; sono tutti sotto pressione con allegria sforzata; corpi floridi aspirano a far di tutto per guastarsi...il bisogno vero dei corpi, mi dissi, belli o brutti, grossi o sottili, non è preservarsi, ma sperperarsi, e anzi la cura di sè, la stessa buona forma, sono un'ascesi finalizzata a scialare meglio...
Mi abbandonai a fantasticare su come la gente ovunque si stesse impegnando a consumare la propria vita prima della data di scadenza. Io invece mi risparmiavo il più possibile. Trattenevo il tempo, ma senza risultati.Mi pareva che negli ultimi anni le ore fossero diventate troppo veloci e che la loro velocità avesse risucchiato anche quelle lente e impazienti della giovinezza e quelle ben ritmate, dense e sfrontate della maturità. La voglia di sgualcirsi a dovere mi sembrò bella e il mio risparmiarmi mi immalinconì.
A me e ai miei amici piaceva soprattutto inseguirci, guerreggiare, ucciderci con fucili, pistole, frecce avvelenate, ma nessuno di noi, mi ricordo, voleva mai morire, per paura di uscire dal gioco.
Feriti sì, dibattersi fra la vita e la morte sì, ma morire non se ne parlava, eravamo tutti immortali.
Solo io, ad un certo punto, non so perchè, cominciai a morire volentieri.
Esatto, da bambino morivo spesso. Morivo di tutte le morti possibili, tranne quelle per malattia o per vecchiaia, che non mi venivano nemmeno in mente.
Morivo trafitto da una spada o da una lancia, morivo fucilato, annegato, morivo durante un terremoto o un'eruzione del Vesuvio, morivo nel corso di un bombardamento, in fondo a un precipizio, volando appeso a una liana, sulla sedia elettrica, impiccato, scalando montagne, sciando, attraversando un deserto, anche in croce.
E in genere la morte mi ghermiva mentre lottavo per la mia vita e per quella degli altri.
Dopo morto mi alzavo estenuato ma contento e andavo a mangiare...
Gli appunti che avevo preso sulla parola sparpetuo...
Il verbo è sparpetià o sparpetejà. Deriva da palpitare, a cui è stato aggiunto il prefisso s per togliergli il pulsare ritmico delle viscere e immetterci lo scombino degli organismi morenti, i colpi a vanvera degli artigli, l'aria percossa con le ali, la testa che si dimena, il becco che annaspa, le ultime scosse.
Se sparpetuo, dunque, mi evoca l'agonia del morente, palpitare mi sospinge verso i palpiti d'amore e mi butta in un vortice di senso. Così, da palpiti, viene fuori palpare, da cui pàlpere, e da pàlpere palpebra e da palpebra le ciglia palpitanti e, subito dopo, gli occhi palpitanti che si chiudono dopo lo sparpetuo.
Ma in sparpetuo c'è anche perpetuo.
Lo sparpetuo non è infatti una cosa di pochi secondi a fine vita, ma ci incalza in continuazione.
La vita, esclusi pochi momenti di serenità, è tutta uno sparpetuo, uno spalpitio, un tremore...
E perpetuo mi ha spinto con naturalezza verso una parola toscana, sperpetua.
La sperpetua è la scalogna. Ma all'origine era la lux perpetua del Requiem.
Facile a quel punto immaginarmi che la stessa lux perpetua, vagabondando in napoletano, era diventata lu(c) sparpetuo, gli spasmi dell'agonizzante a un passo dalla morte...
(D. Starnone, Spavento, 2009)
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