Ci fu un momento in cui Brahma
credette che la sua opera sulla terra fosse compiuta. Tutto aveva
creato dalla mente, ma non dava un suono giusto. Tutto sembrava una
smaltata pittura di corte. Tutto si muoveva, tutto apparina normale.
Ma non si deteriorava. E neppure cresceva. Sarebbero rimasti intatti
per sempre ? Era forse quella la terra che spettava a Brahma creare ?
Il dio ebbe un sorriso triste, da solitario monologante. Sapeva che
così non era.
La creazione di Brahma soffriva di
una debolezza: tutti nascevano soltanto dalla mente, ma soprattutto
nessuno moriva. Dinanzi a questo mondo chiassoso e inerte si accumulò
a lungo nel suo creatore, acre e subdola, un'ira che sembrava volersi
scaricare in una conflagrazione finale.
Brahma stava seduto in disparte, con
le gambe incrociate, e guardava il suo mondo con disprezzo, come un
padre che osserva la mediocrità del figlio. In ogni cosa riconosceva
un senso di generale fatuità. Fu allora un gesto di mosericordia
quando Siva suggerì a Brahma quella figura che mancava al mondo e
sola avrebbe potuto evitargli una fine brusca e dispettosa: Mrtyu,
Morte.
Il Signore Brahma, dopo aver creato
i suoi figli nati-dalla-mente, non era soddisfatto della sua opera.
Qualcosa mancava, un sapore essenziale. Brahma cominciò a invocare
un nome (Gayatri? Satarupa?Savitri?Sarasvati?, non si riusciva a
distinguere bene, in quel mormorio ronzante), finchè il suo petto si
aprì per lasciar scivolare sulla terra un essere femminile.
La voce di Brahma fissava la
fanciulla come se null'altro esistesse, e diceva: Che bellezza! Che
bellezza!
I figli di Brahma lo guardavano con
dispetto. Perchè il loro padre era così poco dignitoso ?
Brahma rimase a lungo immobile, con
gli occhi sempre chiusi. Sentiva che il suo corpo era svuotato
dall'immane tapas (ardore) che fino a quel momento aveva suscitato le
creature.
Quanto al mondo esterno, sapeva che
in quel deserto uno solo dei suoi figli nati-dalla-mente continuava
ad aggirarsi, presenza molesta: Kama, Desiderio, con le sue frecce
fiorite.
Un giornò si trovò di fronte
Satarupa. Senza accorgersene, aveva allungato una mano, mentre lei
faceva lo stesso gesto verso di lui. Si sfiorarono la punta delle
dita. Brahma capì in quel'istante che cos'è il contatto, come una
scossa e una rivelazione. Allora si alzò e camminò con lei, senza
dire una parola. Cercava un luogo delizioso e nascosto, dove mai
potessero penetrare gli sguardi dei suoi figli. Arrivarono davanti a
uno stagno. Brahma invitò Satarupa a stendersi sopra un petalo di
loto. Poi si distese accanto a lei. Il petalo si richiuse lentamente
su di loro. Così rimasero, per cento anni degli dei, amandosi come
si ama la gente comune.
Così fu creato Manu, che fondò la
società degli uomini.
Nulla incanta la mente come
l'esistenza del mondo esterno, di qualcosa che le è refrattario e
non le obbedisce. Viziata dalla propria onnipotenza, dalla propria
capacità di connettere e identificare tutto con tutto, la mente
volle un ostacolo, grande non meno del mondo, e lo desiderò.
Inseguirlo, penetrarlo: questa
poteva essere la sfida esaltante, la più incerta. Fu la corsa dietro
l'antilope. Non si arrestò mai.
Questo raccontava Atri: 'Perchè
esiste il sesso? Noi non sapevamo, all'inizio, neppure cosa fosse.
Nati-dalla-mente di Brahma, avvezzi
al moltiplicarsi di immagini precarie, restammo sconcertati quando
Brahma annunciò che a noi spettava avviare un nuovo modo della
creazione. E accennò al corpo della donna. Presto ci trovammo
distesi in un letto, per la prima volta non soli. Scoprimmo- e anche
loro scoprirono- con grande naturalezza e gravità che cosa occorre
fare. Brahma non aveva neppure menzionato il piacere. Ci colse di
sorpresa.
Passarono alcuni millenni. Un giorno
che ci aveva chiamati a raccolta domandammo a Brahma:'A che serve il
piacere ?'. Brahma ebbe un sorriso lievemente imbarazzato: 'A
mantenere la patina del mondo'.
'Piacere è il tapas dell'esterno.
Il mondo è come un manto che va indossato, altrimenti si impolvera.
Se il tapas ci traesse sempre indietro, verso il luogo senza forma da
cui proveniamo, il mondo deperirebbe troppo presto. E' bene che le
nostri mogli ci disturbino, è bene che i re ci mettano nel letto le
loro figlie, è bene persino che le Apsaras vengano a imbrogliarci
con quei loro trucchi così puerili e così efficaci...Ogni volta che
cediamo, noi aiutiamo il mondo a ritoccare la sua patina'.
Che cosa si sacrifica allora in un
sattra ? Se stessi. Al centro del mahavrata c'è un'altalena. E' il
sole. Poi tracciano qualcosa di simile a una pista, per una gara con
i carri. E montano un bersaglio, che è una pelle di vacca. Poi
comincia la danza dell'acqua. Sei davanti, tre dietro, nove fanciulle
muovevano da sinistra a destra, battendo lievemente un piede sul
suolo, ciascuna con una brocca colma d'acqua sulla testa. 'Qui è il
dolce', dicevano molte volte.
Alla fine della danza versavano
l'acqua per terra.
Quella scena mi incantava. Non
conoscevo nulla di più grazioso al mondo.
Poi l'hotr si avvicinava
all'altalena, ma senza salirci. Tastava il sedile con i gomiti, con
le mani, poi con il mento. Sembrava un serpente che saggia il
terreno.
Quando finalmente l'hotr montava
sull'altalena, irrompevano i canti. Tutti i desideri diventavano
parola. Suonavano i tamburi, i flauti, le arpe. Gli officianti
cantavano fino a esaurire il fiato. C'erano poi molte altre fasi: la
corsa dei carri, il coito della 'non-puttana chiamata-puttana' con
l''uomo-non-del-Maghada chiamato uomo-del-Maghada, dietro una tenda
che fremeva.
Si diventa ciò che si pensa. Questo
è l'eterno enigma.
Chi conosce si trasforma. Non è
piena conoscenza ciò che non fa diventare come ciò che viene
pensato. Anche per questo pensare è pericoloso. Se chi pensa
l'orrore diventa anche l'orrore, il suo pensiero dovrà essere già
molto vasto, perchè l'orrore vi si depositi accanto ad altro e non
lo soffochi, come di fatto è accaduto, come accade a molti infelici
che non mancano di percezione.
Yajnavalkya disse: 'So che per molti
di voi il cruccio è quello di abbandonare il vostro caro corpo.
Giustamente pensate che la felicità di un'anima separata abbia
qualcosa di insipido. Ma non è così. Dopo la morte, vi troverete a
vagare nella caligine., gridando senza essere uditi, ma a un tratto
sarete voi a udire. Vi accorgerete che qualcuno vi segue, come un
animale nella foresta, ma ora nell'oscurità dei cieli. Chi vi segue
è la vostra oblazione, l'essere che si compone di ciò che nella
vita avete offerto. Sussurrando vi dirà:' Vieni qui, vieni qui, sono
io, il tuo Sè'.
E alla fine lo seguirete.'.
(Roberto Calasso, Ka, 1996)
Avete già capito ?
Tra qualche giorno,
per la prima volta nella vita, partirò per l'India.
Andremo a sud, nel
Kerala e nel Tamil Nadu.
Verso la punta,
dove il continente finisce, e un nuovo viaggio può cominciare...
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