Alcuni
giorni a Portoscuso, a festeggiare gli 80 anni di Cast, l'highlander
dell'economia alternativa.
Lui,
che aveva lavorato in giovinezza all'illusoria pianificazione
economica del dopoguerra, si è ritrovato ora in vacanza in uno dei
luoghi più devastati dall'industrializzazione selvaggia in Italia.
Passi
oggi in un deserto di ciarpame di ferro e progresso senza senso, di
quel che era chiamata rinascita e sviluppo e che oggi è solo
desolazione e inquinato silenzio di morte.
Il
mare è bellissimo, a vedersi. La natura resistente e ridente. La
gente si affolla sulle spiagge.
Ma
il disastro è stato compiuto, anche nelle anime e nei corpi malati,
nell'insorgenza massiccia di tumori e leucemie, nelle bonifiche promesse e mai eseguite, negli occhi risentiti
dei senza lavoro di oggi.
Costeggiare
Portovesme, ritrovare i luoghi della mia infanzia non ancora
contaminata, rivedere i paesetti intorno dai nomi fantasiosi
(Matzàccara, Paringiànu, Bruncu Tèula, Flumentèpido), mi ha dato
piacere e dolore insieme.
Ora
si riprova ad incartare il prodotto, a renderlo nuovamente appetibile
per i turisti.
Mi
sembrano le boulangerie francesi, che impacchettano tutto in
involucri infiniti, o i ristoranti della nouvelle cuisine, che
infiorettano mezzetto di cibo come se fosse oro, e così lo paghi.
Mi
sembrano come i vescovi che celebrano i funerali sulle macerie, dopo
il terremoto.
E
che invocano un Dio che è già fuggito da tempo, scacciato dagli
uomini.
O
invocano Madre Teresa, e la fanno santa, per proseguire a caritare
sulla povertà prodotta dai potenti.
Si
cercano modi di stare nel nulla, di consolarsi e confortarsi per non
pensare e per non cambiare.
Si
prosegue la vacanza, mentre il carbone continua a nutrire le
centrali, le petroliere si muovono sullo stretto dei tonni, ed anche
il nostro giorno tramonta con splendidi riflessi di rosa.
Leggo
in questi giorni Adriano Olivetti, negli scritti e discorsi degli
anni '50, raccolti in 'Città dell'uomo':
E
non resta all'infelice città che ricorrere quando ormai è troppo
tardi a clamorose e decorative lotte contro i rumori, a costosissimi
sventramenti, all'uso indiscriminato, incontrollato e caotico
dell'elemento verticale, i quali rimangono i sintomi più
appariscenti di una concezione e di una strategia urbanistica errata.
..
Per
questo, il mondo moderno,avendo richiuso l'uomo negli uffici, nelle
fabbriche, vivendo nelle città tra l'asfalto delle strade e
l'elevarsi delle gru e il rumore dei motori e il disordinato
intrecciarsi dei veicoli, rassomiglia un poco ad una vasta, dinamica,
assordante, ostile prigione dalla quale bisogna, presto o tardi
evadere...
Le
metropoli, nella loro crescita disordinata, presentano forme ormai
esaurite, incapaci di contenere il nuovo nella sua giusta
proporzione. Il borghese si avvede dell'inadeguatezza delle città
solo quando la sua automobile è ferma in coda a lunghe file nella
circolazione ormai ostruita, ovvero quando non trova più spazio per
il parcheggio. Non sa che era già vecchia per l'operaio che non
trova casa che a due ore di distanza dal luogo del proprio lavoro...
Se
lo Stato, i Comuni e le Provincie dovessero limitarsi ai puri aspetti
economici dell'edilizia popolare, la civiltà si muoverebbe sul puro
piano della tecnica.
Affinchè
la tecnica serva all'uomo e non divenga un'insensata dominatrice
occorre dunque che i complessi edilizi servano ad edificare gli
elementi di una civiltà nuova.
Molte
coscienze inquiete sono oggi in crisi, in una crisi dolorosa, perchè
per esse i partiti non hanno rispettato la verità, non hanno avuto
tolleranza e hanno in qualche modo tradito gli stessi ideali dai
quali erano nati. Per risolvere questa inquietudine, che è una
malattia delle anime, bisogna far sì che il moto naturale per la
conquista del benessere individuale coincida nell'azione di ogni
giorno con la propria coscienza sentimentale...
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