lunedì 16 maggio 2016

confesso che ho vissuto

Scrissi sulla lavagna una delle mie citazioni di Adorno preferite:
'La più alta forma di moralità è sentirsi estranei in casa propria'.

Giornata della memoria, con Vivi, a Carbonia, mia terra natale.
Non ci tornavo da molti anni.
Per me, che penso sempre di non avere radici, è strano sentire quanto mi sento legato a quelle colline piccole, alle cave di trachite, a quelle pietre rosse delle case fasciste e della chiesa al centro, a quei piccoli chioschi dei gelati e dei giornalini, alle solite vie percorse per anni per andare a scuola o tornare a casa.
E le scalette semplici e strette, corte e sottili della casa d'infanzia in via Marche 24, che ora ha un nuovo nome, ed in cui riconosco solo un cognome tra quelli che ricordavo.
E la crisi ulteriore, dopo quella degli anni 50, fatta di serrande abbassate, lavori sempre in corso, pratiche inevase e palazzi incompiuti.
E le invenzioni fatue della post modernità, le mega stazioni di puro cemento nel nulla, arte brutta e brutale e le periferie desolate di capannoni dismessi, outlet di provincia, cinesi in affitto, ponti di plastica sospesi tra quartieri simil-albanesi rifatti.
E l'orribile vita nel lager-miniera, ad abbruttirsi di lavoro e ceneri nere, di silicosi e discese negli inferi in gabbia.

Camminare tra i profumi della città giardino, degli ex orti di città, dei resti di una tanto vagheggiata autarchia.
Rivedere scuole elementari e medie rinnovate e sempre così uguali ad allora, i luoghi in cui mi sono ferito, ho imparato a sentire il dolore e la noia, ho iniziato a parlare e a correre, ad andare in bici senza rotelle, a inventarmi e a stare con qualcuno.
Il Monte Rosmarino, piccolo e verde, dove ho curato la pertosse.
E il Campo prigionieri verso cui andavamo a fare scampagnate, di fronte a casa, verso la cava rossa.
Ripensare alla mia famiglia, a quella che sembrava tale, negli anni in cui la scena era ancora in corso, in cui anche loro erano vivi, e provavamo a stare sul palco, pur senza crederci mai del tutto, insicuri di ogni vincolo.
E gli incontri con il passato, con allievi di corsi ora al lavoro, con ricordi di case e strade, con immagini e romanzi di formazione.
L'incontro con Don Rosso, che non vedevo da quarant'anni, Ha fatto il gruista a Portovesme sino al 2000, di notte. E di giorno, ha sempre fatto il prete, nella sua piccola parrocchia di via Piolanas, dal 1972, ed ora ne ha 76: circondato dai quadri di Febe, tra cui anche uno che sembra proprio di mia sorella, dalle sue perpetue che perpetuamente puliscono casa e chiesa, dai suoi milioni di libri e riviste, d pizze e di video. I tempi del cineforum al buio nella stanzetta o delle comunioni col pane spezzato e il calice comune sono lontani, ma dentro di me sono rinvenuti vicinissimi e profondi, sereni e lancinanti.
Mi ha commosso parlare con lui, ritrovarmi ragazzino, e ritrovarlo sempre così tranquillo e insieme provocatore, come allora. Ho capito dove e come, tra l'altro, ho imparato ad essere me.

'Ma che senso ha l'amore in un mondo come il nostro ?', domandò una voce dal fondo della stanza.
'E quale sarebbe secondo voi il tipo di mondo adatto all'amore ?', replicai.
Nyazi alzò a mano di scatto: 'Ora non abbiamo tempo per l'amore', disse. 'Almeno per quell'amore. Ci siamo votati a un altro tipo d'amore, più alto, più sacro.'.
Zarrin si voltò e disse, sarcastica: 'E per quale altro motivo si combatte una rivoluzione?'...

Rispecchiarmi in tutto questo, e rispecchiarlo con e per V., mi ha smosso come non potevo prevedere e come non era mai accaduto: ho pianto spesso, e gli intrichi di questo tutto che è la mia vita, si sono riaperti e ritorti ancora, come ferite, cicatrici e squarci di quel che avanza, come novella Gradiva, e gradita, e pericolosa e impaurente.
Invecchio, piango di più, mi sciolgo. Il mio cuore si impappina, ora.
Ed anche le parole languono, languiscono, si fanno più dolci e più amare, si troncano all'improvviso, ammutoliscono e gioiscono, muoiono.
Come la scuoletta di Serbariu, ormai distrutta, senza tetto, disabitata da tutti fuorchè da me e dai miei ricordi.

Stremato e pieno di grazia, riprendo a vivere, senza sapere troppo, senza aver trovato soluzione a nulla, ripieno di una storia che non ricordo più, che non ho più bisogno di sforzarmi di ricordare, perchè ora - lo so- sono me, se questa parola può significare ancora qualcosa.

'Un romanzo non è un'allegoria', dissi verso la fine della lezione. 'E' l'esperienza sensoriale di un altro mondo. Se non entrate in quel mondo, se non trattenete il respiro insieme ai personaggi, se non vi lasciate coinvolgere nel loro destino, non arriverete mai al cuore del libro. E' così che si legge un romanzo, come se fosse qualcosa da inalare, da tenere nei polmoni. Dunque, cominciate a respirare. Ricordate solo questo. E' tutto: potete andare'.

Le citazioni sono da Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, 2003)





2 commenti:

  1. Citaz.: "Mi ha commosso parlare con lui, ritrovarmi ragazzino, e ritrovarlo sempre così tranquillo e insieme provocatore, come allora. Ho capito dove e come, tra l'altro, ho imparato ad essere me.".

    Eccolo il "luogo del delitto": una persona! Così sono risolti in una botta sola, tutti i gialli di Agatha Christie :)

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  2. Carissimo... Dai preti si impara sempre, o in bene o in male... D

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