Scrissi sulla lavagna una delle mie
citazioni di Adorno preferite:
'La più alta forma di moralità è
sentirsi estranei in casa propria'.
Giornata della memoria, con Vivi, a
Carbonia, mia terra natale.
Non ci tornavo da molti anni.
Per me, che penso sempre di non avere
radici, è strano sentire quanto mi sento legato a quelle colline
piccole, alle cave di trachite, a quelle pietre rosse delle case
fasciste e della chiesa al centro, a quei piccoli chioschi dei gelati
e dei giornalini, alle solite vie percorse per anni per andare a
scuola o tornare a casa.
E le scalette semplici e strette, corte
e sottili della casa d'infanzia in via Marche 24, che ora ha un nuovo
nome, ed in cui riconosco solo un cognome tra quelli che ricordavo.
E la crisi ulteriore, dopo quella degli
anni 50, fatta di serrande abbassate, lavori sempre in corso,
pratiche inevase e palazzi incompiuti.
E le invenzioni fatue della post
modernità, le mega stazioni di puro cemento nel nulla, arte brutta e
brutale e le periferie desolate di capannoni dismessi, outlet di
provincia, cinesi in affitto, ponti di plastica sospesi tra quartieri
simil-albanesi rifatti.
E l'orribile vita nel lager-miniera, ad
abbruttirsi di lavoro e ceneri nere, di silicosi e discese negli
inferi in gabbia.
Camminare tra i profumi della città
giardino, degli ex orti di città, dei resti di una tanto vagheggiata
autarchia.
Rivedere scuole elementari e medie
rinnovate e sempre così uguali ad allora, i luoghi in cui mi sono
ferito, ho imparato a sentire il dolore e la noia, ho iniziato a
parlare e a correre, ad andare in bici senza rotelle, a inventarmi e
a stare con qualcuno.
Il Monte Rosmarino, piccolo e verde, dove ho curato la pertosse.
E il Campo prigionieri verso cui andavamo a fare scampagnate, di fronte a casa, verso la cava rossa.
Il Monte Rosmarino, piccolo e verde, dove ho curato la pertosse.
E il Campo prigionieri verso cui andavamo a fare scampagnate, di fronte a casa, verso la cava rossa.
Ripensare alla mia famiglia, a quella
che sembrava tale, negli anni in cui la scena era ancora in corso, in
cui anche loro erano vivi, e provavamo a stare sul palco, pur senza
crederci mai del tutto, insicuri di ogni vincolo.
E gli incontri con il passato, con
allievi di corsi ora al lavoro, con ricordi di case e strade, con
immagini e romanzi di formazione.
L'incontro con Don Rosso, che non
vedevo da quarant'anni, Ha fatto il gruista a Portovesme sino al
2000, di notte. E di giorno, ha sempre fatto il prete, nella sua
piccola parrocchia di via Piolanas, dal 1972, ed ora ne ha 76:
circondato dai quadri di Febe, tra cui anche uno che sembra proprio
di mia sorella, dalle sue perpetue che perpetuamente puliscono casa e
chiesa, dai suoi milioni di libri e riviste, d pizze e di video. I
tempi del cineforum al buio nella stanzetta o delle comunioni col
pane spezzato e il calice comune sono lontani, ma dentro di me sono
rinvenuti vicinissimi e profondi, sereni e lancinanti.
Mi ha commosso parlare con lui,
ritrovarmi ragazzino, e ritrovarlo sempre così tranquillo e insieme
provocatore, come allora. Ho capito dove e come, tra l'altro, ho
imparato ad essere me.
'Ma che senso ha l'amore in un mondo
come il nostro ?', domandò una voce dal fondo della stanza.
'E quale sarebbe secondo voi il tipo
di mondo adatto all'amore ?', replicai.
Nyazi alzò a mano di scatto: 'Ora
non abbiamo tempo per l'amore', disse. 'Almeno per quell'amore. Ci
siamo votati a un altro tipo d'amore, più alto, più sacro.'.
Zarrin si voltò e disse,
sarcastica: 'E per quale altro motivo si combatte una
rivoluzione?'...
Rispecchiarmi in tutto questo, e
rispecchiarlo con e per V., mi ha smosso come non potevo prevedere e
come non era mai accaduto: ho pianto spesso, e gli intrichi di questo
tutto che è la mia vita, si sono riaperti e ritorti ancora, come
ferite, cicatrici e squarci di quel che avanza, come novella Gradiva,
e gradita, e pericolosa e impaurente.
Invecchio, piango di più, mi sciolgo.
Il mio cuore si impappina, ora.
Ed anche le parole languono,
languiscono, si fanno più dolci e più amare, si troncano
all'improvviso, ammutoliscono e gioiscono, muoiono.
Come la scuoletta di Serbariu, ormai
distrutta, senza tetto, disabitata da tutti fuorchè da me e dai miei
ricordi.
Stremato e pieno di grazia, riprendo a
vivere, senza sapere troppo, senza aver trovato soluzione a nulla,
ripieno di una storia che non ricordo più, che non ho più bisogno
di sforzarmi di ricordare, perchè ora - lo so- sono me, se questa
parola può significare ancora qualcosa.
'Un romanzo non è un'allegoria',
dissi verso la fine della lezione. 'E' l'esperienza sensoriale di un
altro mondo. Se non entrate in quel mondo, se non trattenete il
respiro insieme ai personaggi, se non vi lasciate coinvolgere nel
loro destino, non arriverete mai al cuore del libro. E' così che si
legge un romanzo, come se fosse qualcosa da inalare, da tenere nei
polmoni. Dunque, cominciate a respirare. Ricordate solo questo. E'
tutto: potete andare'.
Le citazioni sono da Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, 2003)
Citaz.: "Mi ha commosso parlare con lui, ritrovarmi ragazzino, e ritrovarlo sempre così tranquillo e insieme provocatore, come allora. Ho capito dove e come, tra l'altro, ho imparato ad essere me.".
RispondiEliminaEccolo il "luogo del delitto": una persona! Così sono risolti in una botta sola, tutti i gialli di Agatha Christie :)
Carissimo... Dai preti si impara sempre, o in bene o in male... D
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